Introduzione a cura di Marco Gallarati
Report a cura di Giacomo Slongo e Marco Gallarati
Foto di Francesco Castaldo
Assieme alla data che ha visto compressi in un’unica sfera di caos metallico Kreator, Morbid Angel e Nile, la nuova calata dei robottoni svedesi Meshuggah, di nuovo indoor dopo diverso tempo, era sicuramente l’appuntamento più atteso dai metallari italiani in questa fredda fine 2012. Fine 2012 che, inevitabilmente, ci condurrà anche alla fine del mondo ma che, nello stesso inevitabile modo, ci ha portato in dono l’Ultima Apocalisse Meshugghiana, forte di quel “Koloss” che è uno dei top-album dell’anno, ma anche con in dotazione un delirante back catalogue di oscuri e cibernetici capolavori. Dopo aver devastato i palchi aperti del Frozen Rock (2007), del Gods Of Metal (2008) e del Parco della Certosa Reale (2011), come scriviamo sopra finalmente il quintetto di Umea torna in un locale al chiuso, dopo ben quattro anni e mezzo! Ed è per questo motivo che l’audience di questa serata infrasettimanale milanese, a ridosso della festività di Sant’Ambrogio, ci è parsa particolarmente cospicua ed eterogenea, con tanta gente venuta da altre regioni e tanti dialetti diversi uditi, se non proprio linguaggi: segno evidente che trattavasi di un’occasione rara, quasi unica. Difficile, con tali premesse, immaginare una debàcle della band, ma per i dettagli vi rimandiamo subito al trafiletto dedicato qui sotto. Non prima, però, di aver dato una lettura alle nostre impressioni sugli show di Decapitated e CB Murdoc, i due act di supporto: per i polacchi non c’è bisogno di presentazioni, sebbene la loro line-up sia ormai un terno al lotto; per gli svedesini, invece, una pulita raccomandazione direttamente da Tomas Haake in persona e un esordio sugli stage tricolori tutto da seguire. Buon divertimento!
CB MURDOC
Spetta ai misconosciuti CB Murdoc, una delle ultime novità di casa Spinefarm, dare il la alla serata. Il gruppo svedese, autore di un thrash/death metal moderno e roboante (con sintetizzatori al seguito), si presenta sul palco senza troppi preamboli, facendo il possibile per coinvolgere gli astanti che nel frattempo cominciano ad affollare la venue. Detto di un settaggio di suoni abbastanza deficitario per gli standard del locale meneghino, è impossibile non constatare le ingenuità con cui il quintetto gestisce alcuni spunti meshugghiani (altrimenti interessanti), spesso e volentieri assemblati con poca spontaneità al resto del materiale. Una pecca non da poco, che unita alla voce esageratamente monocorde del frontman ha finito per affossare inevitabilmente il nostro responso. Sufficienti, nulla di più.
(Giacomo Slongo)
DECAPITATED
Tra le centinaia di formazioni che nel corso degli anni hanno tentato di replicare le gesta dei Meshuggah, i Decapitated sono tra i pochi ad essere riusciti laddove molti hanno fallito, interpretando lo stile unico ed inimitabile dei Maestri con un gusto ed una personalità tali da evitare banali forme di scopiazzatura o ‘copia e incolla’ (ogni riferimento al tanto strombazzato fenomeno ‘djent’ è puramente casuale). Prova ne sono gli ultimi dischi in studio, “Organic Hallucinosis” e “Carnival Is Forever”, che i quattro polacchi hanno pensato bene di saccheggiare in lungo e in largo, per la gioia del pubblico radunatosi in massa questa sera. Dei suoni potentissimi – fondamentali per godere appieno delle trame apocalittiche e claustrofobiche dei Nostri – ed una line-up in grande spolvero hanno fatto il resto, scatenando una vera e propria guerra di trincea sotto al palco. Mostruosa la prestazione alla chitarra di Vogg, in grado di sciorinare sulle teste degli astanti una sequenza destabilizzante di riff stoppati ed ultra-compressi, semplicemente violentissimi, e quella del neo-acquisto Paul alla batteria, tentacolare al punto da non fare rimpiangere i suoi illustri predecessori. A coronare il tutto, la performance dietro al microfono di Rafal, notevolmente migliorato nei panni di frontman ed impeccabile nel seguire le metriche impazzite dei brani. Su tutti, i cinque minuti abbondanti di “Post (?) Organic”, con i suoi assurdi cambi di tempo, e le parentesi ipnotiche di “A View From A Hole”, alienanti al punto da scaraventare la mente del sottoscritto in una sorta di limbo iperbarico. Unico rammarico – per quanto lieve – la mancanza di episodi dallo splendido “The Negation”, disco che nel 2004 consacrò definitivamente il nome della band e che da qualche tempo a questa parte sembra essere finito nel dimenticatoio… Un vero peccato, vista la bontà del materiale in questione (insomma, chi non godrebbe nel riascoltare una “Three Dimensional Defect”?). Ad ogni modo: da qualsiasi angolazione si decida di osservarla, la prova di Vogg & Co. non ha lasciato spazio a dubbio alcuno, confermando lo straordinario stato di grazia di questi ragazzi. Tra i migliori esponenti del panorama death metal europeo e mondiale… E che ‘viulenza’ sia!
(Giacomo Slongo)
Setlist:
The Knife
Pest
Mother War
Post (?) Organic
A View From A Hole
Homo Sum
Spheres Of Madness
Day 69
MESHUGGAH
Arriva finalmente, quatta-quatta e lemme-lemme, l’ora dei Meshuggah, all’anagrafe Jens Kidman, Fredrik Thordendal, Mårten Hagström, Dick Lövgren e Tomas Haake. Il palco e la sua scenografia, già vagamente intuibili durante le esibizioni di CB Murdoc e Decapitated, vengono denudati dai teloni neri per scoprire infine quattro alti pannelli verticali e un gigante drappo da sfondo, tutti riproducenti sezioni o l’interezza dello stupefacente artwork di “Koloss”, quasi a volere avvolgere tutta la platea nelle sue spire serpentesche e osservanti. Un impianto luci futuristico e ottimamente strutturato, con l’aggiunta anche di proiettori laser, appare al momento silente ma pronto a fornire la giusta atmosfera allo show granitico che, già immaginiamo, sarà protagonista della serata. Chi ha visto in precedenza i Meshuggah sa più o meno cosa aspettarsi: poche sorprese, poco spettacolo, nel senso cabarettistico del termine, poche parole; tutto si basa sul wall of sound immenso creato dal gruppo, sulla sua incredibile precisione metrica e sulle divagazioni psicotiche e stranianti che le poliritmie e le discordanze del cyber-thrash metal degli scandinavi tendono a generare. Ah, e per favore: non chiamate questa musica djent, considerato il fatto che i Meshuggah esistono dal 1988 – quasi venticinque anni! – ovvero una vita prima di quando questo termine modaiolo ha fatto il suo ingresso nella società metallica. Per favore: cyber-metal, post-thrash metal, qualcosa del genere, ma non djent. Chiusa parentesi. L’intro è affidato alle note prima acustiche e poi rimbombanti di “Obisidian”, sulle quali Haake e compari salgono on stage al buio, fra le grida di una folla che è già piuttosto osannante. Quando parte “Demiurge”, primo estratto da “Koloss”, l’esplosione sonora lascia piuttosto basiti: roccia inscalfibile. Le luci decollano in ogni dove, mentre Kidman fa l’automa come al solito. Movimenti di collo, di braccia, sguardi freddi, minacciosi e di compiacimento…e poi il suo cantato a metà strada tra scream e growl, monotono quanto volete ma di un’efficacia estrema, oltretutto cadenzato su ritmiche in cui è parecchio difficile orientarsi per indovinare gli attacchi delle strofe. Insomma, prima canzone e già siamo abbastanza ammutoliti. “Pravus” e “Combustion” arrivano di fila e movimentano la situazione accelerandone le dinamiche. Finalmente la band si ferma un secondo e si accorge che, davanti a sé, ha un pubblico: Jens arriva addirittura ad articolare un ‘thank you’. Thordendal e Haake sono i più ammirati fra i quattro musicisti, ma è bene ricordare anche Lövgren al basso, il più ‘interattivo’ con il pubblico, e soprattutto Hagström, ormai il principale compositore del quintetto. Ottima l’esecuzione di “Lethargica”, davvero imponente e affascinante, mentre durante “Do Not Look Down” la platea di headbanger si è trovata facilitata nella sua mansione a causa del ritmo piuttosto quadrato del brano. La prima sezione dello spettacolo, durante la quale i Meshuggah hanno rivolto ai loro fan non più di cinque-parole-cinque, si chiude e riparte immediatamente con la riproposizione del collage ripreso da “Catch 33”, iniziando da una “Mind’s Mirrors” usata come intermezzo laseristico, per poi vedere rientrare i ragazzi on stage ad eseguire “In Death – Is Life” e “In Death – Is Death”. Minuti da brividi che, per chi li ha retti, sono valsi il prezzo del biglietto. Dopo tale suite, è la volta di due belle sferzate: sui denti, implacabili, ci piombano prima la mazzata “Bleed” – suonata veramente in un maelstrom di caos organizzato al microsecondo – e poi l’assordante “New Millennium Cyanide Christ”, con i suoi groove facilmente memorizzabili e potentissimi. Haake e soci salutano dopo una terrificante “Rational Gaze”, ma non appena appare un secondo microfono sul palco, tutti sanno cosa aspetta loro: i bis si aprono e l’intro cyber di “Future Breed Machine” è un richiamo al pogo, che porta la platea ad animarsi come a voler sfogare una tensione accumulata fino a quel punto della performance; il brano non ci è sembrato coinvolgente come altre volte che lo abbiamo sentito live, ma probabilmente è solo un’impressione di chi scrive, in quanto resta la canzone assolutamente immancabile da una setlist dei Meshuggah. Meshuggah che terminano di saturarci i timpani con l’eclettica “Dancers To A Discordant System”, degno finale di un concerto spettacolare che solo questa band sa rendere in modo così intenso e devastante, pur spesso risultando fredda e vagamente altezzosa. I fan, comunque, non si lamentano di questo atteggiamento e, anzi, ne paiono consapevoli e rispettosi, in fondo la loro abbondante dose di annichilimento sensoriale l’hanno certamente avuta. Uno degli show dell’anno, poco ma sicuro!
(Marco Gallarati)
Setlist:
Obsidian (intro)
Demiurge
Pravus
Combustion
Glints Collide
Lethargica
Do Not Look Down
The Hurt That Finds You First
Mind’s Mirrors (intermezzo)
In Death – Is Life
In Death – Is Death
Bleed
New Millennium Cyanide Christ
I Am Colossus
Rational Gaze
Encore:
Future Breed Machine
Dancers To A Discordant System
The Last Vigil (outro)