Report a cura di Andrea Raffaldini
Fotografie di Enrico Dal Boni
Una serata all’insegna dell’impatto e della violenza sonora quella che a Bologna ha visto alternarsi sul palco High On Fire e Meshuggah. Due modi diversi di concepire il concetto di musica d’assalto: grezza, sudata, marcescente e viscerale per gli High On Fire; glaciale, chirurgica, ultra-tecnica per la formazione svedese. Arriviamo di buon’ora davanti ai cancelli dell’Estragon di Bologna e subito notiamo una buona affluenza di persone, che crescerà via via fino a riempire quasi del tutto il locale. Il pubblico si è dimostrato molto caldo nei confronti di entrambe la band, che hanno offerto due show tanto diversi quanto ugualmente soddisfacenti.
HIGH ON FIRE
Quando Matt Pike sale sul palco, è delirio: capelli lunghi bagnati/unticcio-sudati, torso nudo, tradizionale panzone che ricorda i vecchi tempi degli eccessi, Gibson Les Paul tra le mani. Si attacca col botto, “The Black Plot” e “Carcosa” sciolgono il ghiaccio e ci aprono la porta per il mondo degli High On Fire. Des Kensel alla batteria martella come un fabbro, mentre Jeff Matz si nuove e scapoccia come un indemoniato. Nonostante i due musicisti facciano del loro meglio per catalizzare il pubblico, nulla possono di fronte all’innato carisma del loro boss. Matt Pike infatti è il motore trainante della band ed il protagonista indiscusso dello show, sembra un allievo della scuola Lemmy che, pur non muovendosi mai troppo sul palco, riesce a sprigionare magnetismo e personalità in quantità industriale, tanto da focalizzare su di sé gran parte dell’attenzione generale. “Slave The Hive” e “The Falconist” massacrano i nostri timpani, i suoni sono partiti male ad inizio concerto, ma con il trascorrere dei minuti, tutto è stato sistemato al meglio dagli abili esperti dietro al mixer. Il breve show degli americani sta per giungere al termine: “Blood From Zion” e “Snakes For The Divine” sono gli ultimi estratti di una scaletta convincente, suonata alla grande da una band in forma strepitosa. Il lungo percorso di disintossicazione che Matt Pike ha dovuto affrontare oggi sta dando tutti i suoi frutti. Una voce senza cali, energia da vendere ed una coesione impressionante tra leader e band fanno degli High On Fire una delle realtà più interessanti e potenti attualmente in circolazione.
MESHUGGAH
Un breve cambio palco ci permette di rilassare i timpani, di berci una birra gelida con gli amici e di prepararci psicologicamente per lo show dei Meshuggah. Gli svedesi attaccano con la devastante “Clockworks” e subito si capisce che non ce n’è più per nessuno. Come detto nell’introduzione a questo articolo, l’impatto della band è molto diverso da quello sanguigno degli High On Fire. Siamo di fronte ad una band impassibile, fredda, ferma, che non si cura tanto dell’aspetto prettamente entertainment dello spettacolo. Ciò che conta è la musica ed i Meshuggah suonano veramente alla grande. Quattro grossi pseudo-semafori posti sul palco offrono un interessante spettacolo di luci che calza a pennello con il sound della proposta musicale firmata Meshuggah. Jens Kidman non interagisce molto col pubblico, limitando al minimo i movimenti, mentre gli altri ragazzi della band sono praticamente fermi, immobili sul palco, tutti concentrati ad offrire la miglior performance tecnica possibile. Il risultato lascia quasi a bocca aperta: “Born In Dissonance”, “Perpetual Black Second” o “The Hurt That Finds You First” sono una goduria per le nostre orecchie, perché difficilmente si trovano formazioni di metal estremo che suonano in modo così tecnico e preciso. Durante lo show l’Estragon sfiora quasi la portata massima di capienza, il pubblico caldo ed entusiasta non manca di sostenere gli artisti dall’inizio alla fine. Il concerto va avanti con la stupenda “Lethargica” da “ObZen” e l’attacco frontale dei Meshuggah prosegue senza cali di intensità. Kidman offre una performance vocale di qualità sopraffina, come dicevamo non gli interessa perdersi in chiacchiere o interagire, per lui conta solo la musica e la sua voce, che questa sera fa davvero dei miracoli. I ragazzi all’interno dell’Estragon fanno headbanging e cantano insieme al gruppo, dovunque ci si sposti troviamo persone piene di carica ed entusiasmo, persino il bancone del bar in alcuni frangenti è quasi vuoto perché non ci si vuole perdere nemmeno una nota di questa serata assassina. Il trittico “Violent Sleep Of Reason”, “Dancers Of A Discordant System” e “Bleed” sigla formalmente la fine dello show, ma in realtà le sorprese non sono finite. La band infatti ha in serbo un paio di bis, “Demiurge” e “Future Breed Machine”, che danno il colpo di grazia ai presenti mandandoli in stato di adorazione totale. In effetti il sottoscritto non si sarebbe aspettato uno show diverso dai Meshuggah: statici sul palco erano e statici sono rimasti; poco avvezzi al dialogo. e così sono rimasti; dal vivo suonano alla grande…e questa volta hanno suonato alla grandissima! Uno dei più interessanti concerti dell’anno grazie ad una coppia di band che non ha proprio nulla da invidiare a nessuno (a parte forse il conto in banca dei Guns’n’Roses…).