METALITALIA.COM FESTIVAL 2019 – 1° giorno
01/06/2019 – Live Music Club – Trezzo sull’Adda (MI)
Running order e programma meet&greet:
Introduzione
Squadra che vince non si cambia… più o meno. L’ottava edizione del nostro festival si presenta carica di solide conferme e qualche novità: la cornice è ancora una volta quella del rodatissimo Live Club di Trezzo sull’Adda, da sempre teatro imprescindibile del festival neroverde, mentre a livello temporale ci siamo spostati (o potremmo dire che ‘siamo tornati’) da settembre a maggio, come nei primi anni. Inalterati rimangono anche vari punti a livello logistico-organizzativo, fiori all’occhiello dell’offerta del locale: la presenza del corposo e sempre più nutrito Metal Market, la varietà della proposta gastronomica (con un occhio di riguardo veg) con Beergarden incluso (qui tutti i dettagli) e – per i fan più sfegatati – l’appuntamento per i meet&greet con moltissime delle band presenti.
A livello musicale, dopo due anni di alternanza tra le varie declinazioni del power (et similia classicheggianti) e le sonorità più sulfuree ed oscure, quest’anno abbiamo scelto di virare leggermente, portando in cartellone delle proposte lievemente diverse e dai contorni meno definiti rispetto ad alcuni bill passati. Ecco allora che questo sabato vedremo l’alternarsi di chicche come lo show speciale dei Darkane (che riproporranno tutto “Rusted Angel” in occasione del ventennale dalla sua pubblicazione), le proposte più sinfoniche e barocche di Genus Ordinis Dei, Graveworm e Fleshgod Apocalypse (alla prima presentazione live del nuovissimo “Veleno”) e il death metal spruzzato di -core dei The Modern Age Slavery, passando per l’epicità battagliera degli Stormlord, la violenza dei The Crown e giungendo al gran finale delle bordate da guerriglia urbana lanciate dagli Arch Enemy.
In leggero ritardo sulla tabella di marcia, si aprono quindi le porte dell’ottava edizione del Metalitalia.com Festival; vi aspettiamo al nostro stand (quest’anno situato nell’area esterna del locale) e vi invitiamo a posizionarvi davanti al palco per inaugurare questa intensa giornata in compagnia dei Genus Ordinis Dei!
(Luca Pessina)
GENUS ORDINIS DEI – 14:00/14:40
Provenienza: Crema, Italia
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Il ruolo di opener è sempre il più difficile, specie se inserito nel contesto di un bill che vedrà alternarsi pilastri (Arch Enemy, Fleshgod Apocalypse) e leggende (The Crown, Darkane) della scena metal mondiale. Incuranti dei paragoni e facendo leva su una gavetta di tutto rispetto, i Genus Ordinis Dei interpretano nel migliore dei modi la parte a loro assegnata, sciorinando con disinvoltura e compattezza il mix di Goteborg sound, metalcore e sinfonie bombastiche che ne contraddistingue la proposta. Musica che, quando supportata da suoni decorosi (come quelli odierni) e da un songwriting attento a non sfociare nella mera ruffianeria, si presta puntualmente a rompere il ghiaccio, trovando la giusta quadra tra aggressività e orecchiabilità e mettendo il pubblico nelle condizioni di scaldarsi in vista dei pezzi forti della giornata. Incentrato per buona parte sui brani dell’ultimo full-length “Great Olden Dynasty”, vecchio ormai di due anni, lo show del gruppo cremonese scorre quindi trascinato dalla verve del cantante/chitarrista Niccolò Cadregari e dalla solidità del guitarwork e della sezione ritmica, abili a non complicarsi la vita e a perseguire innanzitutto la via dell’impatto, con evidenti rimandi al groove enorme di Lamb Of God e Gojira e alle inflessioni catchy di Mikael Stanne e compagni. Quel che si dice un buon inizio, immortalato dalla sempre efficace cover di “Hail and Kill” dei Kings of Metal Manowar.
(Giacomo Slongo)
THE MODERN AGE SLAVERY – 15:00/15:40
Provenienza: Reggio Emilia, Italia
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Lavorando con calma e senza il timore di allargare a poco a poco i loro orizzonti stilistici, i The Modern Age Slavery hanno saputo diventare una piccola certezza in materia di ‘modern’ death metal e sonorità al cardiopalma. La loro proposta tecnica, brutale e adrenalinica, non priva di inflessioni -core, è ciò che occorre per entrare definitivamente nel mood ‘da festival’ del weekend, con brani che sembrano pensati appositamente per aprire voragini nel pit e non lasciare scampo a chi si trova nelle immediate vicinanze. Un cocktail affinato sapientemente nel corso di tre full-length e che trova nella setlist di oggi un riscontro di notevole ferocia e confidenza nei propri mezzi, guidato da una line-up ormai scioltissima sia nell’esecuzione che nella tenuta del palco. Nell’insieme, spicca senza dubbio il frontman Luca Cocconi, abile nel muoversi tra diverse sfumature del growling e dello screaming e a mantenere sempre alta la tensione; ma è appunto l’intero gruppo emiliano a non prestare il fianco a critiche, ripercorrendo i punti salienti della sua carriera (con un occhio di riguardo per l’ultimo, symphonic-oriented “Stygian”) e togliendosi lo sfizio di aizzare i presenti all’urlo di ‘God hates us all!’ (dalla cover di “Disciple” piazzata a tradimento a metà setlist). Tra Aborted, Decapitated, The Red Chord e Fleshgod Apocalypse, i The Modern Age Slavery mettono quindi a segno il secondo colpo grosso della giornata, con un breakdown finale da cervicali spaccate. La palla passa ora ai capitolini Stormlord e alle loro visioni battagliere…
(Giacomo Slongo)
STORMLORD – 16:00/16:50
Provenienza: Roma, Italia
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Gli Stormlord fanno il loro ingresso sul palco del Metalitalia.com Festival per presentare al pubblico “Far”, recentissima prova discografica che arriva dopo sei anni di attesa. La proposta della band si incastra benissimo nella giornata dedicata alla violenza sonora, pur mantenendo ben salde quelle coordinate che la contraddistinguono: un approccio battagliero, fiero ed epico, che si nutre della nostra tradizione, solcando ora il Mar Mediterraneo, ora l’Egeo. La band, veterana di tanti concerti, appare perfettamente a suo agio sul palco, con Cristiano Borchi a urlare nel microfono tra grugniti death metal e lo screaming di scuola black, mentre il bassista Francesco Bucci si fa carico di incitare il pubblico, coinvolgendolo in cori ed invitando tutti a partecipare attivamente alla performance. Lo spettacolo si apre con “Leviathan”, seguita a ruota da “Dance Of Hecate”, e da lì é un susseguirsi di leggende e miti, che spesso sfociano nella celebrazione della nostra Storia e della nostra Cultura, come nel caso di “Mare Nostrum”, che narra delle guerre tra Roma e Cartagine. Ottimo il bilanciamento dei suoni, che riesce a valorizzare ogni strumento e, sopratuttto, non affossa le tastiere, elemento centrale nel sound degli Stormlord, capace di far emergere l’atmosfera arcana e talvolta esotica (come nel caso di “Legacy Of The Snake). Non a caso, il tastierista Riccardo Studer è posizionato in prima fila e sfoggia spesso una keytar che gli permette di affiancare più liberamente basso e chitarra. La scaletta si divide in maniera efficace tra episodi già rodati ed altri recentissimi: tra questi ultimi apprezziamo in particolar modo la title-track, “Far”, e l’ottima “Crimson”, che mostrano come la lunga attesa non sia stata vana. Il pubblico del Live Club appare coinvolto e, al termine dell’esibizione, tributa un doveroso e sentito applauso alla formazione romana. Nel corso della giornata ci saranno momenti più veloci, violenti e aggressivi, ma certamente l’esibizione degli Stormlord ci ha messo nello stato d’animo migliore per proseguire questa prima, adrenalinica giornata.
(Carlo Paleari)
GRAVEWORM – 17:10/18:10
Provenienza: Bruneck/Brunico, Italia
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La singolare ‘sfida’ Italia-Svezia giunge così a fine primo tempo. Dopo i primi tre show italici, infatti, a scendere in campo per la formazione tricolore ci sono i bolzanini Graveworm, autori di un black metal dalle tinte melodiche e dipinte di gothic. Elementi atmosferici che, tuttavia, per il set dedicato al Metalitalia.com Festival, vengono accantonati a favore di quei brani bollati da sonorità più estreme e tirate. Uno show iniziato in leggera sordina a livello di affluenza ma che, nel corso dei minuti, ha richiamato maggior pubblico. Merito sicuramente del quartetto made in Brunico il quale, forte di una carriera pluriventennale, ha avuto modo di spaziare lungo tutta la propria discografia. Tra i dischi più gettonati ha sicuramente preso il sopravvento l’ultimo partorito in ordine di tempo, “Ascending Hate”, dal quale vengono proposte la coinvolgente “Blood, Torture And Death”, l’isterica “Downfall Of Heaven” e la poderosa “To The Empire Of Madness”. I Nostri badano molto alla sostanza e, invece di parole, preferiscono sputare addosso alla folla, cresciuta nel frattempo, una mole di sfuriate black, in stile ‘filthiane’, alternandole a possenti mid-tempo di sicuro impatto. Plauso particolare al frontman Stefan Fiori, autore di una prova inossidabile: dagli scream più acuti ai growl più cavernosi, l’imponente vocalist è stato in grado da una parte di valorizzare ulteriormente i pezzi proposti, dall’altra di coinvolgere un pubblico che alla fine ha risposto più che positivamente alla prestazione della band. A chiudere la setlist, una interpretazione personalissima e nel contempo ben riuscita del classico ‘maideniano’ “Fear Of The Dark”. Senza fronzoli si sono dimostrati i Graveworm, un minicingolato di sicuro impatto e valore. Ed ora prepariamoci: il terreno di gioco si tinge di giallo-blu. Arrivano i Darkane!
(Andrea Intacchi)
DARKANE – 18:30/19:30
Provenienza: Helsingborg, Svezia
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Se è vero che ogni anno al Metalitalia.com Festival trovano spazio show speciali e scalette particolari, quest’anno una delle chicche più succose in programma è senza dubbio la celebrazione di “Rusted Angel”, splendido lavoro che raggiunge proprio nel 2019 i vent’anni d’età. Rispetto ad altre formazioni, i Darkane non hanno raggiunto la fama meritata, in proporzione alla qualità della loro proposta, e anche il pubblico del Live Club appare diviso all’inizio del concerto, tra coloro che considerano questo show uno dei più interessanti della giornata e chi si aggira semplicemente incuriosito dalla proposta di un gruppo storico, certo, ma non arcinoto. Tocca alle canzoni riempire questo iniziale gap e l’obiettivo viene raggiunto rapidamente. “Rusted Angel”, infatti, suonato dall’inizio alla fine, si conferma per quello che è: un capolavoro. Il gioco di suonare un disco nella sua interezza può essere rischioso di fronte ad una qualità altalenante, ma “Rusted Angel” non corre questo rischio. L’iniziale “Convicted”, “Bound”, la title-track o la spettacolare “July 1999” si abbattono sul pubblico che, ben presto, inizia a rimescolarsi, scatenando focolai di mosh selvaggio lungo tutto il set. I Darkane, da parte loro, a dispetto di una presenza scenica piuttosto compassata, non si risparmiano, macinando riff taglienti e affilati, assoli sferzanti e un drumming martellante che non dà sosta. D’altra parte uno dei principali pregi della band svedese è proprio quella di riuscire ad unire melodie efficaci ad una trama articolata, nervosa e allucinata, che non concede nemmeno un centimetro a quella banalità che in molti altri act è finita per standardizzarsi in un sound sempre uguale a sé stesso. Performance strumentale impeccabile e buonissima anche a livello vocale, sebbene, comprensibilmente, il frontman Lawrence Mackrory appaia più contenuto per poter gestire al meglio la performance dal vivo. Terminati i quaranta minuti e rotti che costituiscono la riproposizione di “Rusted Angel”, gli svedesi concedono al pubblico ancora un paio di estratti della loro discografia, “Chaos Vs Order” ed “Innocence Gone”, due episodi forse non allo stesso livello di quanto ascoltato precedentemente, ma che, per contro, giocano su una maggiore immediatezza ed impatto. La platea scapoccia soddisfatta mentre viene percossa dalle ritmiche monolitiche della band che si congeda tra le acclamazioni del pubblico. Corna al cielo, un abbraccio collettivo, una foto ricordo e adesso è il turno dei The Crown.
(Carlo Paleari)
THE CROWN – 19:50/20:50
Provenienza: Trollhättan, Svezia
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‘Destroy, destroy, destroy’. Ok, ora potete anche raccogliere ciò che avete perduto o, nei peggiori dei casi, ricomporre ciò che avete demolito. Già, perché lo show dei The Crown può essere riassunto in tre sole parole: un massacro sudorifero. C’era molta attesa, infatti, per la calata della death-thrash band svedese sul suolo italico: una presenza, quella del gruppo scandinavo, che mancava da qualche tempo. Ed è anche per questo motivo che, tolti gli headliner, molta gente si è recata in quel di Trezzo proprio per assistere alle bombe esplose dall’act di Trollhattan. Miccia che viene immediatamente accesa dalla opening track dell’ultimo album “Cobra Speed Venom”, “Destroyed By Madness”: pezzo roccioso, granitico, utile per settare l’amalgama e l’ugola del buon Johan Lindstrand. Un primo pugno in faccia seguito da un’immediata raffica al basso ventre: “Deathexplosion” non ha certo bisogno di celebrazioni e basta quel riff energico a rispedire indietro di vent’anni la memoria di chi sta scrivendo e di molti dei presenti al di qua delle transenne, a celebrazione di quel “Deathrace King”, memorabile e, ormai, inarrivabile. Tellurica la coppia Olsfelt-Axelsson, letale il duo Tervonen-Sorqvist, un macigno lo stesso Lindstrand, il quale dall’ultimo album richiama la più ‘cadenzata’ “Iron Crow”. Un breve respiro prima di tornare a QUEL full-length e schiaffarci in pieno volto la corale “Blitzkrieg Witchcraft”. Non c’è tregua ed eccola “In The Name Of Death”, con Lindstrand che sputa tutta la propria rabbia vocale mentre arringa con il suo ‘Feel the noise’. La folla sotto il palco è compatta nel moshpit tanto che è lo stesso frontman svedese a chiederci, con fare da sornione, ‘are you still alive?’. Eh, per forza, perché in programma ci sono altre detonazioni senza il minimo sconto, a partire da “Back To The Grave” sino alla direttissima “Face Of Destruction/Deep Hit Of Death”. Mancavano i The Crown, mancava uno show massiccio e fulmineo come questo. La band non cede un passo e, dopo aver giocato ad una sorta di applausometro con i fan su chi fosse meglio tra il ‘devil’ e il ‘jesus’, parte una sentita “Total Satan”, lasciando le battute finali alla definitiva “1999-Revolution 666”. Il telone dei The Crown scende con “Zombified” e gli applausi sono tutti per loro. ‘Destroy, destroy, destroy’. Recuperate le forze, attendiamo i Fleshgod Apocalypse.
(Andrea Intacchi)
FLESHGOD APOCALYPSE – 21:25/22:55
Provenienza: Perugia/Roma, Italia
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Trovare parole nuove per descrivere l’ascesa dei Fleshgod Apocalypse da realtà prettamente underground a nome di punta di certo extreme metal mondiale comincia a diventare impresa ardua. In circa un decennio i Nostri si sono resi protagonisti di un’evoluzione che, passando da sforzi produttivi sempre più consistenti (basti pensare all’imponente scenografia messa in piedi questa sera) a contaminazioni massicce con l’universo sinfonico, ha messo loro nelle condizioni di abbracciare un pubblico eterogeneo e trasversale, che anche in quel del Metalitalia.com Festival 2019 sembra seguirli indefessamente, pendendo dalle labbra e dai gesti del leader maximo Francesco Paoli. La band calca quindi il palco con il fare di chi non ha più nulla da dimostrare a nessuno, ben oliata dopo le recenti tournée con Hypocrisy e Wolfheart e pronta a presentare ufficialmente i brani del nuovo “Veleno”, uscito la scorsa settimana su Nuclear Blast. Consapevole del lungo minutaggio a propria disposizione, il sestetto si prende però il suo tempo prima di sciorinare i nuovi singoli (davvero ottima la resa di “Sugar”, la quale si conferma la traccia principe del recente repertorio), e parte così in una retrospettiva bombastica che lo vede attingere da (quasi) tutti i suoi dischi, “Mafia” escluso. Dalle ritmiche rocciose di “Cold As Perfection” agli acuti dell’opener “The Violation”, passando per gli spasmi frenetici della vecchia “Requiem in SI Minore” e l’epicità romantica della conclusiva “The Forsaking”, la setlist scorre in un profluvio ormai noto di orchestrazioni e bordate tra capo e collo, trascinata dal carisma del succitato frontman e dall’assoluta confidenza degli altri musicisti sul palco. Paradossalmente, solo la cover della stranota “Reise, Reise” dei Rammstein viene accolta in maniera più tiepida del previsto, a riprova – forse – della credibilità dell’Apocalisse del Dio di Carne da queste parti. In definitiva, uno slot da co-headliner ampiamente meritato.
(Giacomo Slongo)
ARCH ENEMY – 23:30/01:00
Provenienza: Halmstad, Svezia
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Dopo una giornata di spietato metallo pesante, tocca infine agli Arch Enemy dare il colpo di grazia al pubblico del Live Club. Concluse le chiacchiere intorno allo scivolone comunicativo intorno al diritto d’autore, si torna a parlare di musica con il nuovo tour europeo, che esordisce proprio con la data del Metalitalia.com Festival. Gli Arch Enemy salgono sul palco e si buttano immediatamente su “The World Is Yours”, primo dei numerosi estratti da “Will To Power”. La band è in forma e si nota velocemente come una bella fetta del pubblico sia qui questa sera soltanto per loro: il calore dell’audience è palpabile e il grado di coinvolgimento è indubbiamente il più alto della giornata. Gli Arch Enemy rispondono a questa accoglienza con uno spettacolo sparato a mille, praticamente privo di pause e professionalissimo. La sezione ritmica di Daniel Erlandsson e Sharlee D’Angelo picchia senza sosta e pone una base solida su cui si poggiano le rasoiate di Michael Amott e Jeff Loomis. Quest’ultimo, in particolare, appare sempre più integrato nella sua nuova band, iniziando progressivamente ad emergere, sebbene non ancora come protagonista, come avveniva invece nei Nevermore. A dominare la scena, però, c’è lei, Alissa White-Gluz, un piccolo ciclone azzurro che catalizza lo sguardo del pubblico, non solo per la sua bellezza, che indubbiamente l’aiuta, ma soprattutto per le doti espresse sul palco. La voce c’è, ma soprattutto c’è la capacità di guidare il pubblico con i gesti, l’interpretazione e il suo fare teatrale. E qui emerge l’altro aspetto evidente nella performance degli Arch Enemy: quello a cui assistiamo è uno spettacolo perfettamente rodato, misurato in ogni suo aspetto, curato senza lasciare nulla al caso, dalle uscite coordinate tra un pezzo e l’altro, ai movimenti dei due chitarristi, che si avvicinano per le parti all’unisono, fino all’inchino finale, perfettamente coordinato per cadere nel giusto momento dell’outro, dopo la consueta foto di rito. Di fronte ad uno show così curato non si può che rimanere soddisfatti: le canzoni più recenti, come “First Day In Hell” o “The Eagle Flies Alone”, che pure non rappresentano la vetta artistica del gruppo, guadagnano una marcia in più, mentre episodi come “Ravenous”, “My Apocalypse” e la conclusiva “Nemesis” scatenano un vero e proprio putiferio, con una parte del pubblico che, dalle retrovie, si catapulta in avanti per buttarsi nella mischia. Gli Arch Enemy mitragliano il proprio pubblico per più di un’ora e mezza e, nell’entusiasmo generale, fanno calare il sipario sulla prima giornata della nuova edizione del Metalitalia.com Festival. Oggi sono state macerie e distruzione, ma domani tocca all’hard rock, sanguigno, figlio della strada, con tutte le sue tentazioni. Vi aspettiamo!
(Carlo Paleari)
pubblico