13-15/09/2024 - METALITALIA.COM FESTIVAL 2024 @ METALITALIA.COM FESTIVAL 2024 -

Pubblicato il 22/09/2024 da

Introduzione di Sara Sostini
Report di Alessandro Elli, Andrea Intacchi, Carlo Paleari, Dario Onofrio, Federico Orano, Marco Gallarati, Roberto Guerra, Simone Vavalà, Stefano Protti
Fotografie di Benedetta Gaiani, Dario Onofrio, Enrico Dal Boni, Simona Luchini

Ci sono, nel corso dell’anno, appuntamenti fissi, attesi con un misto di trepidazione e gioia: per noi di Metalitalia.com, il nostro festival è – ça va sans dire – uno di questi.
Due giorni (+ uno) in cui il nostro quotidiano impegno nel documentare e scandagliare i sommovimenti della nostra musica preferita trova la propria realizzazione pratica: portare quella stessa musica su un palco.

Negli anni, abbiamo sempre cercato di lavorare – con i nostri partner e lo staff del Live Club che ci ha adottati dalla prima edizione – per migliorare, implementare e rendere quanto più possibile godibile questo evento, guardando a quelle esperienze, in Italia e all’estero, che lavorano con la medesima filosofia di base e ricavandone energie preziose da investire nel lavoro di costruzione, a tinte ovviamente neroverdi, del festival: che sia la possibilità di entrare ed uscire liberamente dal festival grazie ai braccialetti, i meet & greet (sempre molto partecipati), le postazioni di ricarica di telefonini e dispositivi vari, gli immancabili stand di distro e libri, gli sforzi continui per migliorare l’efficienza di cucina e bar cercando di mantenere prezzi umani, il Metalitalia.com Ink, convention di tatuaggi quest’anno alla seconda edizione. E, ovviamente, tenendo sempre la musica in cima a qualsiasi priorità.

Con l’undicesima edizione, tutta dedicata alle sonorità più thrash, epiche e heavy, con una sana sfumatura di zolfo a condire il tutto (chicche, prime volte in Italia e set speciali inclusi, come leggerete), portiamo a casa un entusiasmo rinnovato e la determinazione di continuare a lavorare con lo stesso spirito anche per l’anno prossimo: prima di raccontarvi il nostro punto di vista sui concerti del weekend appena trascorso, lasciamo a voi del pubblico i feedback finali, e vi ringraziamo ancora una volta tutti – da chi è affezionato spettatore dal 2012 a chi quest’anno è venuto per la prima volta; i moltissimi sorrisi e commenti entusiasti tra un concerto e l’altro sono insieme la soddisfazione e lo stimolo migliore per continuare a fornirvi occhi, orecchie e cuori di musica metal.

 

 

VENERDÌ 13 SETTEMBRE

La serata di warm-up del Metalitalia Festival capita di venerdì 13 e ci piace constatare come, tra il pubblico delle prime ore, ancora sparuto ma sicuramente attento, ci sia un prode mascherato con le fattezze di Jason Voorhees: qual modo migliore di dare il kick-off alla nostra tre giorni metallica?

I lombardi REJEKTS sono i primi a salire sul palco dello storico Bloom di Mezzago e lo fanno ammettendo con ammirevole limpidezza che “noi siamo i Rejekts da Saronno e siamo arrivati in ritardo“: onesti, puliti, basso profilo e via con una mezz’ora di grind/post-hardcore andata in crescendo, in primis grazie alla maggiore scioltezza acquisita dai ragazzi con il passare dei minuti e poi – presumiamo il soundcheck sia stato fatto per miracolo – per un acuto perfezionamento dei suoni, ad inizio show alquanto cacofonici.

A cavallo tra l’ignoranza dei Cripple Bastards, con i quali condividono il cantato in italiano, e l’oscurità melodico/atmosferica dei The Secret, i Rejekts riescono a trasmettere solo a metà la bontà del loro ultimo lavoro “Adamo” (2021), ma non per questo per noi sono bocciati, anzi! Con “Divorati Dal Tempo”, “Enki Li Fece Enlil Li Distrusse” e soprattutto la più articolata, ma massacrante, “Il Quinto Sole”, i cinque saronnesi hanno dimostrato di essersi meritati la posizione d’apertura della nostra serata di riscaldamento. Condizioni non ottimali, impegno massimo, promossi. (Marco Gallarati)

Rejects – Metalitalia.com Festival warm-up – 13 settembre 2024 – foto Enrico Dal Boni

Con i varesini OVERCHARGE la dimensione di questo warm-up si sposta su toni decisamente più classici e inossidabili, trattandosi di un trio dedito ad una divertente e grintosa commistione di speed metal e punk, con ben più di qualche menzione ai leggendari e compianti Motorhead, il cui storico leader Lemmy Kilmister rappresenta ancora oggi una fonte di ispirazione senza limiti, anche per il frontman della band qui presente, Marcello Sarino.

Sin dalle iniziali “Nighthawk” e “Raven!” appare chiara l’attitudine di questi tre pazzoidi, il cui temperamento on stage, abbinato ad una proposta musicale ad acceleratore spianato, rappresenta una scusa validissima per tutti gli astanti per darsi a un po’ di headbanging coi denti digrignati.

Inoltre, fa piacere che ci sia sempre posto per un messaggio morale a tratti semplice, ma anche dannatamente attuale, rappresentato da un brano contro la guerra come “Morire Od Uccidere”, che sancisce anche la fine della prima metà del concerto. In generale non si tratta di uno show con dei guizzi artistici particolari da menzionare, quanto più di una piacevolissima parentesi a base di pura adrenalina ed essenza nostalgica per un sound genuino e meritevole di essere preservato, di cui questa band nostrana si conferma una degna ambasciatrice fino ai momenti finali sulle smitraglianti “Backfire” e “Black Diesel Breath”. (Roberto Guerra)

Overcharge – Metalitalia.com Festival warm-up – 13 settembre 2024 – foto Enrico Dal Boni

Ad essere molto attesa, in questo warm-up, è sicuramente l’esibizione dei BOTTOMLESS, ormai da un anno distaccatisi dalla presenza di Sara Bianchin, oramai presissima dalla creatura Messa. Una formazione chiacchieratissima, ci viene da dire giustamente nel senso più positivo del termine, che si inserisce perfettamente nel revival delle sonorità oscure e occulte, dai Coven ai Black Sabbath, passando anche per i nostrani Black Widow.

L’apertura è affidata a “Burning The Vampire”, proveniente dallo split con i Witching Altar di prossima uscita: se qualcuno aveva dubbi sul songwriting e la presenza scenica può stare sereno, visto che Giorgio Trombino, David Lucido e Laura Nardelli tirano fuori uno show oscuro, doom e tenebroso quanto basta.
Gran parte della setlist viene ovviamente dedicata all’ultima prova in studio “The Banishing”, uscita nel 2023: fra una “The Great Unknown” e l’ottima “By The Sword Of The Archangel”, il disco si prende tutta la scena, lasciando al debut omonimo della band “The Talking Mask” e “Centuries Asleep”, in un concerto che vede il gruppo in forma come non mai.
La chiusura è affidata a “Shadows Call”, proveniente di nuovo dallo split di prossima uscita. La riconferma di una delle realtà emergenti nel panorama doom occulto italiano, che non vediamo sinceramente l’ora di risentire con una setlist più lunga. (Dario Onofrio)

Questo tipo di suoni è perfetto per inaugurare anche un momento di collaborazione artistica collettiva: i tatuatori Clod The Ripper, Welt, Giancarlo Capra e Maurizio Brughera si avvicinano alle quattro tavole bianche appese sulla parete del Bloom e cominciano a tracciare, ognuno col proprio unico stile, un disegno che cambia volto e muta forma ad ogni cambio di mano. I quattro si alternano sulle tavole, studiandone l’evoluzione, lavorando di carboncino, dita e gomma per dare ad ogni tratto un’impronta unica.
Ciò che emerge – ad ogni cambio di mano, ad ogni cambio di gruppo – sono quattro visioni su terre di incubi: figure femminili, demoni dalla forma caprina, paesaggi non euclidei, ossa, carne e cartilagine, occhi folli, luci splendenti, ali luciferine… Ogni tavola come figlio bastardo e meticcio di otto mani e quattro menti diverse, a testimoniare – la sera stessa e i due giorni successivi, in esposizione al Live Club – il legame unico tra la musica metal e le altre forme d’arte.
Un esperimento riuscito, anche vedendo l’interesse generale con cui viene seguita l’intera sessione di disegno. (Sara Sostini)

Art Fusion Night – Metalitalia.com Festival warm-up – 13 settembre 2024 – foto Enrico Dal Boni

Continua la varietà di generi estremi all’interno del warm-up del Metalitalia Festival 2024 con l’avvento on stage dei modenesi GRUMO, che vanno a posizionarsi nello slot di band più intransigente della serata, fra l’altro posta in mezzo alle due proposte invece più orecchiabili e rètro, ovvero quelle degli ottimi Bottomless e dei Ponte Del Diavolo.
Fermo, almeno ufficialmente, alla pubblicazione del secondo full-length “Fallimento”, ormai risalente al 2015, il quartetto ha in realtà in setlist praticamente tutto il nuovo disco “Sons Of Disgust”, terminato di registrare a fine 2023 e, se non abbiamo saltato qualche passaggio, ad oggi ancora inedito.

I ragazzi emiliani hanno compiuto vent’anni nel 2024, una vita trascorsa nell’underground più vero e pulsante, evolvendo da sferragliante realtà gore-grind a più matura creatura death/grind con molti spunti groovy e americaneggianti, tanto che ora accostarli ai classicissimi Napalm Death pare limitante: Suffocation, Dying Fetus e, nelle parti più lente, Obituary danno meglio l’idea del suono dei Nostri, che al Bloom sono stati ben in grado di incendiare un’audience forse un po’ impreparata alla dose di violenza dei Grumo e più propensa a farsi cullare dalle melodie ondeggianti e Seventies degli appena scesi dal palco Bottomless.

Nessuna paura, comunque, per i quattro di Modena, che hanno spaccato tutto con una precisione, una tecnica ed una resa sonora di primo piano. E anche la presenza scenica, dopo due decadi di esperienza, è stata quella di un gruppo navigato e consapevole della propria volontà di fare del male. Davvero potenti mazzate, cari Grumo, in attesa di tornare tra le brume esoteriche del metal più oscuro e fumoso… (Marco Gallarati)

Grumo – Metalitalia.com Festival warm-up – 13 settembre 2024 – foto Enrico Dal Boni

L’ultima band a salire sul palco sono i PONTE DEL DIAVOLO. L’ora è ormai tarda, le energie residue, dopo questo lungo venerdì sera, sono al lumicino, soprattutto considerando che siamo solo all’antipasto di tre giorni di fuoco, ma uno show dei torinesi è un piatto troppo ghiotto per lasciarselo scappare e, proprio per questo motivo, molti sono rimasti al Bloom per assistere allo spettacolo.

Sono trascorsi ormai sette mesi dalla pubblicazione di “Fire Blades From The Tomb”, primo album del quintetto, uscito su Season Of Mist dopo tre EP, e i piemontesi hanno sfruttato questo lungo periodo di tempo con una proficua attività live, tanto da guadagnarsi un meritato posto al prestigioso Inferno Metal Festival in Norvegia per il 2025.
Si parte, come da consuetudine, con le note registrate di “Non, Je Ne Regrette Rien” di Edith Piaf, sulle quali il gruppo entra in scena per attaccare con i riff serrati di “Demone”: è subito chiaro come i cinque siano ormai rodati ed affiatati, un’intesa consolidata grazie a tutte le date recenti in giro per l’Italia e non solo.

Il centro del palco è tutto per la cantante Elena Camusso (nome d’arte Erba Del Diavolo) che, istrionica e coinvolgente, guida i pezzi con la sua voce destreggiandosi su più registri, alternando italiano ed inglese. Non ha senso bollare con un’etichetta il genere proposto, il quale si contraddistingue per le soluzioni originali che vanno a pescare da un certo doom dal carattere esoterico come dal post-punk e dal goth rock, non disdegnando altresì qualche puntata nel black metal, e la scelta, sicuramente azzeccata, di avere due bassi in formazione è un ulteriore passo verso questa eccentricità.

La resa di brani come “La Razza” e “Un Bacio A Mezzanotte” è impetuosa e carica di nera energia, e così si può dire per il trascinante ritornello “Scintilla”, mentre la misteriosa “Covenant” e l’atmosfera jazzata di “Red As The Sex Of She Who Lives In Death” permettono ai presenti di tirare il fiato almeno per qualche istante. “Ave”, altro tuffo nel passato, va a suggellare cinquanta minuti di musica oscura e sanguigna.
A questo punto non si può più parlare di effetto sorpresa, e lo spettacolo di questa sera è solo la conferma del valore del Ponte Del Diavolo: si conclude così il warm-up del Metalitalia Festival, e non poteva esserci miglior preparazione per le due giornate infernali che ci attendono. (Alessandro Elli)

Ponte del Diavolo – Metalitalia.com Festival warm-up – 13 settembre 2024 – foto Enrico Dal Boni

 

SABATO 14 SETTEMBRE

È il ruggito di una motosega ad aprire il nostro festival, quella con cui sale sul palco il cantante degli HUSQWARNAH: un suono che diventa in pochi secondi una ninna nanna, rispetto all’impatto mortifero e devastante di “Melting Face”, il brano con cui la band lombarda decide di assalire il già discretamente numeroso pubblico.
I cinque danno subito l’impressione di voler dare il massimo, ma anche di volersi divertire: è probabilmente lo spirito migliore per sfruttare solo mezz’ora a disposizione e in un orario non di spicco, e infatti il risultato viene colto nel segno.

Se si esclude qualche problema tecnico nel missaggio della voce – ed è un vero peccato, perché Maurizio Caverzan mostra anche in sede live una versatilità e una potenza notevoli – la loro formula funziona alla grande.
Fuori dai paragoni con Asphyx o Bolt Thrower, c’è uno spiccato elemento di personalità nel modo in cui amalgamano un gran tiro e tanto groove: il basso di Lorenzo Corno spicca in diversi passaggi, specie ripensando alla sua assenza sul palco del Magnolia nel concerto dello scorso luglio, ed è un perfetto contraltare alla batteria tellurica (e tecnicissima) di Riccardo. Le due chitarre, con uno stile e un approccio differente, si intersecano alla perfezione: vedere la velocità di polso del nuovo ingresso Emanuele farebbe godere qualsiasi fisioterapista per le prospettive di lavoro, mentre JP Lisi ha movenze più misurate, e anche questo contribuisce alla buona e spavalda presenza scenica della band.

La scaletta è equamente divisa tra il primo disco e il nuovo full-length, in uscita proprio in questi giorni, e sicuramente il tiro e l’apprezzamento del pubblico non risentono dello spazio dedicato a brani inediti. Citiamo come uno dei momenti che abbiamo apprezzato maggiormente “Screams From The Cellar”, con il suo affascinante avvio rallentato, dall’atmosfera morbosa, che esplode poi come un treno a tutta velocità. Buona la prima (band)! (Simone Vavalà)

Husqwarnah – Metalitalia.com Festival – 14 settembre 2024 – foto Benedetta Gaiani

A questo punto sono gli URAL a prendersi il palco del Live Club per iniziare a portarci in territori più vicini all’headliner di giornata.

Forti dell’uscita, lo scorso anno, del più che apprezzabile “Psychoverse” e dell’entrata in line-up del nuovo chitarrista Luca Maggi, i torinesi guidati dalla voce acutissima di Andrea Calviello tirano su uno show di tutto rispetto. Fra una “Heritage” – ultimo singolo uscito per promuovere l’album – e altri brani provenienti dai precedenti “Just For Fun” e “Party With The Wolves”, gli Ural trovano finalmente il posto che secondo noi spetta loro di diritto nella scena italiana, proponendo anche “Virtual Sleep” dall’EP “Cyber Requiem” uscito nel 2022.
Calviello e soci sono delle macchine da palcoscenico: fra chitarre incrociate, lupi mannari e ritmi thrash devastanti c’è anche il tempo di suonare “So What”, traccia che concludeva la penultima prova in studio, mentre ad un certo punto Alex Gervasoni scende addirittura in mezzo alla platea per eseguire un assolo.

Che dire? L’ottima attitudine che sta seguendo l’ultima uscita della band sta dando giustamente spazio a una formazione attiva quasi da quindici anni, che non ha mai mollato il proprio posto nel panorama thrash italiano: sentiremo sicuramente parlare degli Ural di nuovo. (Dario Onofrio)

Ural – Metalitalia.com Festival – 14 settembre 2024 – foto Benedetta Gaiani

Dopo le tranciate degli Husqwarnah e la cazzutaggine degli Ural, ecco gli ANGELUS APATRIDA. Chi li ha già visti in azione, sa benissimo di cosa sono capaci i quattro di Albacete, i quali, per la cronaca, stazionavano presso il Live Club già di prima mattina, rendendosi subito disponibili per saluti e chiacchiere con i fan.
Semplici ed essenziali, pochi, pochissimi fronzoli, tanta energia, pugni nello stomaco e birra a corredo: il thrash degli ‘Angeli senza Patria’ ricalca questa formula, aggiungendo quel sano modernismo di orecchiabilità che riesce a non snaturare i dettami della vecchia scuola.

La doppia ‘A’ sullo sfondo dà il benvenuto ai quattro spagnoli, lasciando poi che le immagini estratte dai vari album pubblicati facessero da narratrici visive durante lo show. È il batterista Victor a calcare per primo il palco, seguito immediatamente dal chitarrista David G. Alvarez e dai fratelli Izquierdo, Josè al basso e Guillermo alla voce.
Pronti via e l’assalto prende la forma tellurica di “One Of Us”. Volumi? Discreti (sono andati poi migliorando). Affluenza? Stesso discorso. Per alcuni, quello di sabato è stato il primo approccio con gli Apatrida e così, dopo un primo e un po’ distratto ascolto iniziale, in parecchi si sono riversati all’interno dell’area concerti per assistere all’impennata iberica di metà pomeriggio e farsi travolgere da “Indoctrinate”, uno dei must assoluti proposti in sede live da Guillermo e compagni, grazie al suo massiccio groove di matrice ‘panteriana’, sapientemente bilanciato dall’esplosione in doppia cassa sparata a salve da Victor.

Come da programma, la setlist ha colto a piene mani dall’intera discografia del combo spagnolo, preferendo i brani più diretti e vivaci, cogliendo ogni volta quello stacco più arioso e, per così dire, sobrio, tale da rendere l’impatto finale altrettanto accessibile ad un maggior numero di appassionati.
E allora, pronte su un piatto d’argento, a sollevare cordiali mosh & circle pit, ecco servite “We Stand Alone” e “Give’em War”: da parte loro gli Angelus hanno confermato quell’atmosfera professionale e familiare, divertendosi nelle pause tra un pezzo e l’altro, brindando col pubblico, ma perfettamente in sintonia quando c’è da macinare riff e martellare cambi di ritmo, egregiamente testimoniata da “Sharpen The Guillotine”, brano-manifesto degli Apatrida, anticipando le mine finali tra cui “You Are Next” ha cementato l’ultima mattonella di un concerto in cui il bandierone thrash di stanza ad Albacete ha sventolato a dovere. (Andrea Intacchi)

Angelus Apatrida – Metalitalia.com Festival – 14 settembre 2024 – foto Enrico Dal Boni

In un’orgia gravida e brulicante di sonorità thrash metal dai più disparati toni, l’arrivo dei CRIPPLE BASTARDS sulle assi del MIF 2024 suona un po’ come una pausa pranzo inframezzante un massacrante turno di lavoro da otto ore in catena di montaggio…con un’unica differenza: l’ora di riposo risulta più ‘indigesta’ di tutto il resto e lascia quell’amaro sapore in bocca che tutti noi conosciamo – il sapore delle crude verità e delle negatività assolute, quelle che si realizzano quando ti alzano il sipario d’illusione che tutti i giorni vela occhi e cervello.

La formazione astigiana, guidata al solito da un Giulio The Bastard caustico e abrasivo (nonostante suoni non perfettamente potenti come loro costume), si dimena furiosa, annichilente e perfino divertita nei meandri della propria sterminata discografia, trasformando lo spettacolo in una colata nevrotica e parossistica rigettante pece nera e fiumi di piombo.
Der Kommissar sciorina riff e convulsioni uno dietro le altre, senza quasi far capire a che punto si è della performance, mentre al basso, in sostituzione provvisoria del titolare Schintu The Wretched, troviamo Eugenio Sambasile dei cremonesi Embryo, il quale viene presentato anche come nuovo secondo chitarrista, certamente un futuro valore aggiunto per la macchina mortale dei Cripple. Dietro le pelli, da par suo, Raphael Saini festeggia il suo decimo anno in formazione spappolando tamburi, cassa e rullante, tenendo botta facilmente all’andatura schizofrenica del liveset proposto.

Dell’ora a disposizione i Bastards ne usano solo quaranta/quarantacinque minuti, ma l’intensità e la foga della loro venuta sono state tali da non farci desiderare un’ulteriore dose di massacro, lieti di riaddormentarci nel fasullo torpore catatonico delle nostre vite di merda. Supremazia italiana, ci ha detto un addetto ai lavori prima dell’esibizione dei Nostri, e così è stato. (Marco Gallarati)

Cripple Bastards – Metalitalia.com Festival – 14 settembre 2024 – foto Benedetta Gaiani

Dopo essere sopravvissuti alla violenza catartica dei Cripple Bastards, sul palco ci attendono gli XENTRIX, che per celebrare la loro prima volta in Italia dalla fondazione (1985), decidono di riproporre per intero in scaletta l’esordio “Shattered Existence”, un lavoro in grado di riportarci al periodo più fecondo del thrash metal, quello in cui la perizia tecnica di “…And Justice For All” lasciava appena intravedere la svolta commerciale del “Black Album”.

Certo, la prima parte della loro setlist possiede una coerenza stilistica che, col senno dei trent’anni dopo, rasenta talora l’immobilità, ma in fondo cosa possiamo attenderci da un brano intitolato “No Compromise”?

A partire dalle accelerazioni improvvise di “Bad Blood”, comunque, il gruppo ci ricorda come sin dai primi passi fosse in grado di abbinare un’impressionante tecnica d’esecuzione (ora dovuta in gran parte alla sezione ritmica, formata da Chris Shires al basso e dal batterista Dennis Gasse) alla capacità di inserire divagazioni interessanti pure all’interno di una struttura rigidamente thrash, e ne sono un esempio la bella melodia che impreziosisce “Position Of Security”, o il ritmo serrato della caustica e trascinante “Reasons For Destruction”.

In chiusura, gli Xentrix decidono di regalarci “For Whose Advantages?” e “Questions” dal secondo e più celebre album (“For Whose Advantages?”, appunto), vere e proprie madeleine proustiane per chi ha potuto ascoltare quei dischi alla loro pubblicazione (e siamo sicuri che alcune di quelle persone fossero presenti, stasera).
Il concerto si chiude così, con Kristian Havard, la sua sei corde e tutta la band esausta e visibilmente felice, di fronte ad una platea che in loro onore non si è risparmiata né in applausi né in crowd surfing. (Stefano Protti)

Xentrix – Metalitalia.com Festival – 14 settembre 2024 – foto Benedetta Gaiani

La band che nel 1990 era probabilmente una delle più estreme dell’intero panorama thrash metal si appresta a calcare per la prima volta un palco italiano, e ci riferiamo naturalmente ai mitici MORBID SAINT e al loro granitico mix a base di speed e thrash metal, con in più quellasapiente spruzzata di death che non guasta mai.
L’inizio è invero un po’ deboluccio, complice probabilmente anche qualche iniziale problema tecnico, come confermato anche dai numerosi cenni del chitarrista Jim Fergades in direzione dei tecnici. Fortunatamente la situazione ben presto migliora, come ben confermato dai volumi sempre più impattanti e dalla risposta sempre più feroce da parte degli astanti, che hanno ancora decisamente tanta birra in corpo da smaltire nel moshpit.

Ben presto la carneficina prende piede, permettendo ad autentici inni del calibri di “Lock Up Your Children”, “Crying For Death” e “Beyond The Gates Of Hell” di sprigionare tutto il potenziale di una formazione sottovalutata come poche, nonché dal tocco riassuntivo di ciò che, all’epoca dell’uscita del leggendario “Spectrum Of Death”, significava suonare in una band estrema.

La presenza sul palco è essenziale, ma il frontman Pat Lind riesce a indossare le vesti dell’intrattenitore con somma naturalezza, tra una sfuriata vocale e l’altra, mentre alle sue spalle il combo macina riff e mazzate con tutta la volontà di lasciare un segno del proprio primo passaggio in terra italica.
C’è posto anche per qualche pezzo più recente, inclusa l’apprezzata e ancora nuovissima “Rise From The Ashes”, ma appare lapalissiano che le attenzioni maggiori vadano tutte a quel capolavoro datato 1990, che in questa sede viene omaggiato e valorizzato con la dovuta cura, indipendentemente dall’inizio un po’ timido.

La nostra speranza, una volta concluso uno show che definiremmo solido e dritto al punto, è di poter nuovamente assistere ad una calata dei Morbid Saint dalle nostre parti, come enunciato anche dalla band stessa, visibilmente contenta e divertita almeno quanto noi di quanto appena svolto su questo palco. (Roberto Guerra)

Morbid Saint – Metalitalia.com Festival – 14 settembre 2024 – foto Benedetta Gaiani

Una delle note, anzi, oseremmo dire l’unica nota dolente di una prima giornata semplicemente impeccabile ha purtroppo riguardato i suoni percepiti durante alcune delle otto performance in programma.
E tra di esse, purtroppo, la maggiormente colpita da una sfortunata gestione dei volumi è stata quella dei DESTRUCTION. Il cingolato tedesco, guidato dall’eterno Schmier e protagonista di uno dei meet & greet meglio riusciti, proprio per l’entusiasmo dimostrato dalla band stessa nei confronti dei fan, ha fatto il suo ingresso on stage sulle note di “Curse The Gods”.

Al centro il mastodontico bassista, con lui i fidi sodali alle sei corde Damir Eskic e Martin Furia; là dietro, a comandare, Randy Black e la sua batteria, altrettanto imponente, tutti bardati con tanto di gilet borchiato e scenografia ad hoc; insomma, il classico set da Destruction.
Ci siamo appostati in zona transenna per vivere al meglio l’atmosfera e, a fronte di un collaudatissimo moshpit – rimasto tale sino all’ultimo rintocco di “Bestial Invasion” – qualcosa è balzato immediato all’orecchio: le regine assolute del thrash, le macchine letali del classico ‘fffeefffefffere….” (leggasi, ‘riff’), insomma le chitarre, sono rimaste sin da subito coperte dall’operato del poderoso drumkit di Tony Black, creando un suono poco limpido da una parte e sin troppo caotico dall’altro; un fattore determinante se si pensa alla nuova formula a quattro adottata dalla band.

Non convinti, abbiamo deciso di spostarci in diverse zone del locale, salendo poi anche ai piani alti per verificare se la situazione potesse migliorare ed invece, nonostante l’entusiasmo generale (quando Schmier & Co. pigiano il piede sull’acceleratore il godimento è assicurato), la risposta uditiva è risultata anche peggiore, con la voce del leader teutonico coperta dalla baraonda sonora, apparsa ancor più evidente nei passaggi più tirati.

Nel frattempo, la setlist non si è discostata molto da quelle proposte nell’ultimo periodo, pescando soprattutto dai primissimi lavori pubblicati: dei dodici pezzi previsti in scaletta, ben sette hanno caratterizzato la malvagità di album come “Infernal Overkill” ed “Eternal Devastation” o la grettezza di un EP come “Sentence Of Death”. Con essi, l’ipnotica “Release Of Agony”, “Nailed To The Cross”, ormai eletta ad un vero e proprio classico, e la recente “Diabolical”. Nuova, infine, “No Kings No Masters”, rilasciata lo scorso giugno e pronta per essere inserita nel prossimo disco, il quale, da voci di corridoio, dovrebbe arrivare nei primi mesi del nuovo anno.

Attraversate ben bene altre postazioni del Live Club, abbiamo infine sostato in zona mixer dove, effettivamente, qualcosa di più ‘chiaro’ è arrivato ai nostri padiglioni auricolari, riuscendo così a cogliere una dose maggiore della colata thrash riversata dai Destruction.
Concerto quindi dai due volti, quello portato a termine dai pazzi macellai di Weil am Rhein: se sul palco Schmier e compagni hanno confermato la consueta potenza in sede live, altrettanto non si è potuto dire al di qua della balaustra, dove suoni non calibrati hanno inficiato sulla resa finale dell’esibizione. (Andrea Intacchi)

Destruction – Metalitalia.com Festival – 14 settembre 2024 – foto Benedetta Gaiani

Citando il grande Sergio Leone, il quale etichettò Clint Eastwood come un attore da due sole espressioni, “con il cappello e l’altra senza cappello“, anche il leader degli OVERKILL, Bobby Blitz, si ha seguito l’esempio dell’attore americano, esibendosi con e senza cintura. Per chi infatti non l’avesse notato, in più di un’occasione il cantante della thrash band statunitense ha cercato di terminare il brano di turno con la cinta bella abbottonata ed invece, con un gesto di totale liberazione, si è visto ogni volta costretto ad allentare la tensione, sganciando completamente la fibbia, come se qualcosa (la stessa cintura, a quanto pare) impedisse la regolare respirazione.

Singolare minuzia a fronte di uno show laminato neroverde, intriso di grinta e bordato di acciaio. Gli Overkill sono arrivati alla data del Metalitalia.com Festival nelle vesti di headliner, concludendo di fatto il tour europeo che li ha visti protagonisti, insieme agli Angelus Apatrida, di questa prima parte del mese di settembre.
La band del New Jersey, lo sappiamo bene, è sinonimo di energia e divertimento. E alla base di questa elettrizzante formula vi sono due autentici pilastri, incastonati da oltre quarant’anni: da una parte lo stesso Bobby Ellsworth, dall’altra D.D Verni. Cosa accadrebbe se uno dei due dovesse mancare on stage? La risposta l’abbiamo avuta direttamente noi: la spalla del bassista è tornata a ridare problemi e, di comune accordo con il resto della band, la presenza negli show del tour è stata ridotta al minimo, anticipando così il rientro di D.D. in terra d’Oltreoceano. Da qui la sostituzione: fuori Verni, dentro Christian ‘Speesy’ Giesler, bassista storico dei Kreator.

Ma se sul piano tecnico la prestazione globale non ha subìto grossi scossoni (anche se il basso di D.D. è, come dire, più tonante), dal punto di vista scenico e di hype generale la scarica elettrica è stata in un certo verso dimezzata. Più che Giesler, infatti, quello che ha suonato al fianco di Bobby è sembrato essere lo spiritello del teutonico bassista: esile, compassato, quasi intimidito; per certi versi ha ricordato le ultime apparizioni del chitarrista Mike dei Destruction. Passare da una sorta di secondo frontman ad un’apparizione così schiva non è stato semplice, tuttavia la potenza sprigionata dal resto del gruppo, mista all’esperienza di fondo, ha prevalso sulla ‘riservatezza’ di Giesler.

Sono state le note di “Scorched”, title-track e opener dell’ultimo album rilasciato dagli Overkill, ad introdurci nell’ultima tirata thrash della prima giornata del festival. Un’apripista pesante, marchiata di groove, utile ad anticipare uno di quei brani in grado di far rizzare i capelli anche a coloro che ne sono sprovvisti: “Rotten To The Core” ha vinto ancora. Punto.
Da par suo Bobby ha ‘litigato’ come al solito con l’asta del microfono, colpevole di non essere così pronta e reattiva rispetto alle sue continue scorribande fuori e dentro al palco: “Devi stare ferma, ok?” sembra dirgli ogni volta. In ogni caso non si esime dal riversare sul pubblico la potenza di pezzi come “Bring Me The Night”, la più leggiadra “Hello From The Gutter” oppure “Electric Rattlesnake”, altra hit capace di scuotere ogni singolo disco intervertebrale.

Lo show di sabato ci ha inoltre permesso di vedere all’opera il nuovo batterista Jeramie Kling, già drummer dei Ribspreader e in passato dei Venom Ink.: in attesa di capire se verrà ufficializzato o meno, ci limitiamo a dire che, rispetto a Jason Bittner, una maggior irruenza esecutiva è andata di pari passo con una minor precisione stilistica. A chiudere il cerchio, anch’essi ormai divenuti membri storici, il nerboruto Dave Linsk e Derek Tailer.

Nel frattempo, le cartucce sparate nella prima parte dello show hanno lasciato spazio ad uno stacco centrale più lento e corrosivo, con la tetra “Horrorscope” a fare da padrona, anticipando così altre due pietre miliari della discografia degli Overkill. La prima è riconosciuta a tutti gli effetti come la canzone che ha dato il via alla seconda giovinezza del gruppo: il rombo “Ironbound” ha praticamente aperto i battenti per la seconda bombetta, quella “Elimination” presentata come sempre dall’acutissimo ringhio di Bobby. Rapida, essenziale!
Si parla spesso, infine, di fratellanza tra metallari: se sia vero o no ci interessa poco, ma sentir cantare a pieni polmoni dai presenti “In Union We Stand”, guidati dallo stesso Ellsworth nei panni di direttore d’orchestra, ha regalato un emozionante momento di aggregazione generale. A chiudere, come da programma, ci ha pensato un globale “Fuck You”, in cui Bobby, seguendo il copione, ha chiamato in causa “Diii Diii!!!” per attaccare il brano, salvo accorgersi e correggersi subito con un simpatico “Speeeeeeesy!!!“.
Sudati, stanchi, ma con gli sguardi intrisi di euforia: lo stato d’animo di chi ha goduto di un’elettrizzante serata (o giornata) all’insegna del sano e vecchio thrash metal. (Andrea Intacchi)

Setlist:
Scorched
Rotten to the Core
Bring Me the Night
Hello From the Gutter
Deny the Cross
Electric Rattlesnake
Mean, Green, Killing Machine
Necroshine
Horrorscope
Under One
The Surgeon
Ironbound
Elimination

Encore:
In Union We Stand
E.vil N.ever D.ies
Fuck You

Overkill – Metalitalia.com Festival – 14 settembre 2024 – foto Enrico Dal Boni

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DOMENICA 15 SETTEMBRE

Il Live Club comincia già a popolarsi, complice il meet&greet imminente con i Cirith Ungol, di una discreta dose di spettatori sin dall’apertura del secondo giorno di festival.
È quindi con loro grande sorpresa che gli HELL FIRE si trovano davanti un pubblico già abbastanza nutrito, a cui viene già pettinata la chioma con la prima “Medieval Cowboys”, tratta dall’ultimo album in studio “Reckoning”, uscito nel 2022.

Gli Hell Fire sono infatti una americanissima formazione dedita a uno speed/thrash velocissimo e killer, basato sulla voce devastante di Jake Nunn, che dal vivo dimostra la stessa bravura che in studio. Anche se nessuno ha ancora molta voglia di pogare, si vede qua e là qualche headbanging quando partono botte come “Addicted To Violence” o la più scanzonata “On The Loose”, capace di dimostrare come la formazione attiva da quindici anni voglia sfruttare questa giornata come grande apertura del tour di spalla ai Satan.

Spiccano le doti di ognuno dei musicisti, dal basso di Kai Sun alla batteria di Mike Smith, a loro agio anche sui dischi usciti precedentemente al loro ingresso nella band. Dopo qualche capatina nei dischi antecedenti con “War Path”, lo show non può che chiudersi con “Reckoning”, la title-track dell’ultimo album che, dopo la pettinata della prima traccia, ci fa diventare direttamente biondi: speriamo che gli Hell Fire non si perdano nel grande calderone della scena New Wave Of Traditional Heavy Metal, perché con la grande grinta dimostrata a questo Metalitalia.com Festival si sono meritati ben più di un applauso! (Dario Onofrio)

Hellfire – Metalitalia.com Festival – 15 settembre 2024 – foto Benedetta Gaiani

Il pubblico si fa più folto quando alle 14.40 iniziano, puntuali come un orologio svizzero, i metaller californiani HAUNT.
Dopo l’energia incontrollata degli Hell Fire, non è impresa facile salire sul palco e pareggiarne la dedizione: al gruppo condotto e capitanato dal chitarrista e cantante Trevor William Church, manca un po’ di adrenalina per incendiare lo scenario e scatenare i presenti che, sorseggiando la loro birra, apprezzano ed applaudono ma senza esaltarsi più di tanto – e, a dire il vero, probabilmente aprire lo show con brani cadenzati come “Steel Mountains” e “Mind Freeze” non è stata la scelta più azzeccata.Al drumming di Andres Alejandro Saldate manca un pizzico di elettricità mentre il lavoro alle voci, dove si scambiano Andy Lei e lo stesso Trevor, non è certo tra i migliori che si possa trovare all’interno del panorama heavy metal classico, ma comunque i nostri riescono nell’impresa di mettere la marcia giusta.

I ritmi spediti di “Hearts On Fire ” danno infine una svegliata all’atmosfera, mentre la massiccia “Burst into Flame”, estratta dall’omonimo disco, chiude lo show tra riff esplosivi ed un cantato più tirato.
In un contesto di livello elevato, come quello che abbiamo vissuto durante tutta la giornata, gli Haunt escono a testa alta e tra gli applausi ma senza rimanere – a fine serata – nei ricordi dei presenti. (Federico Orano)

 

Haunt – Metalitalia.com Festival – 15 settembre 2024 – foto Benedetta Gaiani

Per chi scrive, vi era parecchia curiosità nel vedere all’opera i NIGHT DEMON.
Il trio californiano, guidato dal bassista Jarvis Leatherby, fautore tra le altre cose della rimessa in moto dei Cirith Ungol, ha sviluppato nel tempo il tipico heavy-power di sostanza NWOBHM, roccioso, melodico e stradaiolo, riuscendo, con l’ultimo “Outsider”, ad uscire un po’ da un pericoloso e scontato seminato, aggiungendo qualcosa di proprio ad una formula sin troppo collaudata.

Per cui, quando dalla casse è partito il preludio della stessa “Outsider” l’adrenalina ha raggiunto livelli più che accettabili ma… nel momento esatto in cui il concerto ha preso inizio, una strana sensazione ha lentamente preso il sopravvento, come se una barriera avesse trattenuto qualsiasi influsso emozionale, impedendo alla band di andare oltre la ‘semplice’ esecuzione dei vari brani.

Se, per esempio, gli Hell Fire hanno vinto grazie al loro approccio, immediato e spontaneo, sparando sulla folla genuinità e grinta da vendere, facendo pronunciare a diversi presenti il solenne e definitivo “hanno un bel tiro”, da parte loro i Night Demon hanno peccato proprio in questa fase, non riuscendo a trasmettere la giusta energia, elemento cardine di un live.
Sgangherata “Screams In The Night”, appassionante “Escape From Beyond”, poderosa “Dawn Rider”, ma in alcuni momenti è stato come se sul palco, anzichè una band, ci fosse uno stereo, con i vari album impegnati a diffondere i pezzi programmati.

E neppure lo stesso Jarvis ha contribuito a migliorare questo aspetto, limitandosi a cantare e darsi il cambio di postazione con l’amico chitarrista Armand John Anthony, senza mai dialogare con il pubblico, se non sul finale quando, grazie anche alla trascinante “Welcome To The Night”, l’hype si è finalmente generato, creando la famosa alchimia tre le parti come proclamava ventiquattro anni fa tal Lemmy Kilmister (“we know alchemy, we bring you rock’n’roll“).
Night Demon bocciati? No, assolutamente, ma ci saremmo aspettati un impatto, in termini di cuore, di maggior portata espresso dal terzetto di Ventura.  (Andrea Intacchi)

Night Demon – Metalitalia.com Festival – 15 settembre 2024 – foto Benedetta Gaiani

Possiamo tranquillamente dire che quella dei SATAN è stata una delle performance migliori della seconda giornata.
La band inglese, forte del recentissimo “Songs In Crimson”, dal quale sfortunatamente non è stato proposto alcun brano, ha tenuto l’ennesima volta una precisa e cordiale lezione di NWOBHM.

Tanto vintage esteticamente, quanto totalizzanti una volta imbracciati gli strumenti, i Satan hanno deliziato i palati sopraffini dei presenti, proponendo il loro particolarissimo repertorio, fatto di indiavolati inseguimenti alle sei corde, guidati dall’eccentrico Russ Tippins, catapultatosi direttamente dagli anni ’70, e Steve Ramsey, anch’egli mattatore sulla sinistra del palco.
Al centro, il direttore d’orchestra, Brian Ross appunto, visibilmente sovrappeso, ma con un timbro di voce diabolicamente unico, nel suo continuo saliscendi sul pentagramma indiavolato scritto dal quintetto britannico. Maestria, classe, eccellenza, dimostrati nel giro di un nanosecondo: “Trail By Fire”, brano di apertura dello storico “Court In The Act”, ci ha portato nell’aula metal di un conservatorio, per assistere, come detto, ad una sessione live di heavy metal, caratterizzata, giusto evidenziarlo, da volumi questa volta coordinati e precisi.

Sullo sfondo, la scritta Satan è andata colorandosi di volta in volta, ma quando un gruppo è così attraente, anche gli orpelli scenografici non ricoprono un ruolo primario: sono bastate, infatti, le note di “Blades Of Steel” per riportare l’attenzione sui cinque di Newcastle, in una sorta di pièce teatrale, dove Ross si muove come una statua di cera nel togliersi i guanti per asciugarsi il volto, mentre il resto della band prosegue negli stacchi labirintici.

Ogni pezzo, da quelli estratti da “Eath Infernal” sino alla bellissima “Into The Mouth Of Eternity” di “Cruel Magic”, ha rivestito i panni di un atto operistico. Ed è stato proprio in occasione di quest’ultimo brano che Brian ha mostrato segnali di fastidio, puntando prima il dito verso la transenna, quindi voltando addirittura le spalle in segno di ‘protesta’. Sta di fatto che, una volta terminato il pezzo, il cantante inglese ha invitato un metallaro posto tra le prime file a filare in fondo al locale, evitando di dar noia al resto dei ragazzi presenti per colpa di un pogo un po’ troppo forsennato.
Superato il momento ‘ni’, il concerto ha chiuso i battenti con la solitaria “Alone In The Dock”, degna conclusione di uno show, ci ripetiamo, impeccabile. (Andrea Intacchi)

Una delle esibizioni più attese dai presenti, inclusi noi della redazione, è senza dubbio quella degli statunitensi WARLORD, la cui attuale incarnazione ha generato più di qualche controversia, soprattutto per via della decisione del batterista e leader Mark Zonder di proseguire l’attività della band, nonostante la scomparsa dell’inimitabile chitarrista William J. Tsamis.

Il combo si presenta on stage con qualche minuto di ritardo, dato da alcune problematiche tecniche iniziali, e suscita inizialmente qualche perplessità, data da certa rugginosità nella coesione generale. Si tratta però di una sensazione destinata a lasciar presto il posto alle emozioni più genuine, stimolate da una selezione corposissima di brani provenienti da gran parte del repertorio degli Warlord, e conseguentemente anche del side project Lordian Guard.
Dalla iniziale ed iconica “Lucifer’s Hammer”, passando per le numerose menzioni all’album “Rising Out From The Ashes”, fino ad arrivare alle ancora recenti “City Walls Of Troy” e “70,000 Sorrows” (dallo scintillante “The Holy Empire”), il concerto assume davvero una connotazione commemorativa di quello che è l’inestimabile lascito del sopracitato chitarrista e fondatore.

Ovviamente, non c’è nulla di più pregevole degli iconici pezzi risalenti al primo periodo, e tra questi è impossibile non menzionare “Penny For A Poor Man”, “Black Mass”, “Deliver Us From Evil” e l’immancabile “Child Of The Damned”, sulla quale alcuni presenti dietro le prime file accennano quasi una sorta di piccolo moshpit, spinti da quello che è probabilmente uno dei pezzi più belli della storia del metallo epico.

Il tutto risulta peraltro gestito ottimamente a livello musicale, malgrado qualche lieve parvenza di debolezza iniziale, presto superata anche grazie ad un sound pulito e al contributo del vocalist Giles Lavery, capace di mettere in risalto la propria ugola dopo qualche minutino di riscaldamento, confermando di essere stato un’ottima scelta per il posto dietro al microfono. Ci spiace un po’ non udire niente dal gradevolissimo ultimo album “Free Spirit Soar”, ma trattandosi di uno show commemorativo possiamo dire che va bene anche così.

A questo punto, a prescindere dalle critiche (pure legittime) sul futuro del gruppo, vogliamo essere speranzosi riguardo il prosieguo di ciò che i Warlord incarnano oggi, anche in base a quanto enunciato dallo stesso Zonder poco dopo lo show, secondo il quale l’importante è che la band funzioni e i singoli musicisti siano adeguatamente affiatati.
Considerando le emozioni provate stasera in concomitanza di determinati pezzi, ammettiamo di volerne ancora, e anche per questo ci auguriamo di avere qualche altra occasione in loro compagnia in futuro. (Roberto Guerra)

Warlord – Metalitalia.com Festival – 15 settembre 2024 – foto Benedetta Gaiani

Se l’esibizione dei Warlord ha già fatto molto per rendere storica questa giornata del festival, ci pensano i CIRITH UNGOL a darne definitiva conferma.
Anche per la band statunitense, infatti, quella al Live Club è la prima data italiana della loro storia e ci rende particolarmente orgogliosi sapere di essere riusciti ad averli qui per il loro tour d’addio. I Cirith Ungol, da parte loro, avevano un solo modo per ripagare al meglio tutti questi anni di attesa, e l’hanno fatto, dando vita ad uno show tirato come una corda di chitarra ed intenso come la più epica delle imprese eroiche.

Niente fronzoli o orpelli scenici per loro, giusto il loro logo proiettato sullo schermo; non serve altro che la musica alla band per portarci in un mondo di racconti epici e oscuri: si parte con “Atom Smasher”, seguita a ruota da “I’m Alive”, e da lì in avanti non ci resta un attimo di respiro per tutti i novanta minuti dell’esibizione.
La scaletta non riserva sorprese rispetto a quanto fatto nel resto del tour europeo, rimescolando giusto un po’ l’ordine dei brani. La scelta delle canzoni è bilanciata tra vecchio e nuovo, con un occhio di riguardo allo storico “King Of The Dead”, di cui viene suonata l’intera prima facciata, e il più recente “Dark Parade”, che non sembra soffrire l’accostamento ai classici della band, grazie ad una performance maiuscola di tutta la band.

Armand John Anthony, che abbiamo già visto suonare nel set dei Night Demon, disegna riff taglienti come lame, mentre Jarvis Leatherby, con il suo basso riesce a sopperire perfettamente all’assenza di una chitarra ritmica, con un muro sonoro impenetrabile.
Tim Baker, da parte sua, urla e ringhia nel microfono con un’intensità invidiabile, con movimenti compassati ma sempre efficaci, come quando su “King Of The Dead” inizia a caracollare come uno zombie, tra le ovazioni del pubblico.

Brani come “Black Machine” e “Chaos Descend” non lasciano scampo e, quando il finale arriva sulle note della devastante “Join The Legion”, si ha nettamente la sensazione di aver assistito ad un evento unico. (Carlo Paleari)

Cirith Ungol – Metalitalia.com Festival – 15 settembre 2024 – foto Benedetta Gaiani

L’ultimo concerto del festival era ammantato dell’aura di evento fin dall’annuncio: una condizione potenzialmente a doppio taglio, ma come leggerete nel seguito, ci risulta difficile immaginare qualcuno deluso dall’esibizione di questa sera dei DEATH SS. Ma andiamo con ordine.
Lo show di Steve Sylvester e (parecchi) soci prevede due distinti set: un best of con l’attuale, già ben rodata formazione, e il ritorno sul palco del gruppo che registrò il mitico “In Death Of Steve Sylvester” nel 1988.

Un’occasione quindi più unica che rara, anche se per i più tassonomici è giusto precisare la presenza di Andy ‘Bull’ Panigada alla chitarra al posto di Kurt Templar e il doppio turno per Freddy Delirio, un sodale ormai imprescindibile nell’economia della band, perfetto per aggiungere i suoi preziosi ricami a una serie di brani che, all’epoca, avevano visto l’ingegnere del suono Baldassarri occuparsi come turnista delle tastiere.

La scaletta della prima parte dello show non ha difetti, se non – ahinoi -quello della brevità. Su un palco impreziosito come sempre da una scenografia catacombale e horror, acuita dalle splendide proiezioni di film che hanno spaziato dagli albori del cinema ai classici della Hammer, i cinque ci propongono una sequenza da applausi e brividi: dopo l’ormai canonica intro di “Ave Satani” da The Omen (e torniamo al cinema!), è subito adrenalina con “Let The Sabbath Begin”.
I suoni sono perfetti e potenti, Steve, da buon vampiro, sembra ringiovanire anziché invecchiare e in generale l’amalgama tra gli altri membri si conferma perfetta, a dimostrazione di come non solo il leader sappia circondarsi di musicisti di alto profilo da sempre, ma anche di non serva nemmeno suonare ogni tre giorni a sagre di paese per essere rodati: le date dei Death SS sono molto selezionate, si sa, ma il lavoro dietro resta sempre mostruoso.

Tra una “Cursed Mama”, “Horrible Eyes” e giù giù fino al gran finale – ormai da prassi di – “Heavy Demons”, fa piacere trovare anche l’accattivante “Zora”; un brano notoriamente recente, ma che giustamente trova spazio in scaletta, perché la band non ha finito di scrivere ottimi pezzi quando c’era la lira. Frequenti e sempre stuzzicanti i siparietti con le performer seminude, che sanno essere a seconda del momento sexy, inquietanti o chiaramente autoironiche rispetto all’esibizione del loro corpo.

La preparazione della seconda parte dello show porta via forse un pizzico di tempo più del previsto, ma la sensazione di trovarsi catapultati indietro nel tempo è poi totale. Il perfezionismo di Steve Sylvester è cosa nota, ma fa comunque effetto rivedere i costumi di scena originali dei Death SS del 1988, ancora impeccabili e perfettamente funzionali – pur con qualche aggiustamento.
Non serve evidentemente l’elenco pedissequo dei brani eseguiti, noti a tutti dal tempo che fu e comunque riportati in calce a fine testo: ciò conta è l’atmosfera percepita, e per chi scrive è davvero, davvero difficile che questo venga scavalcato come concerto dell’anno.
Fin dalle note di “The Hanged Ballad” (bella, peraltro, la scelta di non suonare il disco ‘di fila’) è evidente che i vecchi compagni ci credono e sono presenti per davvero, senza cedimenti o momenti imbarazzanti; per darvi un’idea più chiara, sono passati trentaquattro anni dall’ultima volta che “Werewolf” è stata proposta live, e già alcuni di loro erano fuori dalla band.
Quasi a sottolineare un rituale diverso, è il fumo a farla da padrone, su un palco più scarno, con proiezioni meno frenetiche e anche una sola uscita, ovviamente su “Vampire”, da parte delle due ballerine; tutto contribuisce alla sensazione che non sia un gioco: può essere un omaggio di cuore ai fan, sono sicuramente lontani i tempi delle dissacrazioni di tombe dei fenomeni inspiegabili intorno a loro, ma sul palco c’è davvero la storia dell’horror metal mondiale.

A coronare tutto, e a chiudere il cerchio aperto due ore prima, nel bis ci propongono la cover di “Come To The Sabbath” dei Black Widow, e veramente non sapremmo cosa chiedere di più. Ecco perché chiudiamo, semplicemente, con una sorta di lapide commemorativa.
Grazie, davvero, a
Steve Sylvester, ‘The Vampire’
Christian Wise, ‘The Death’
Erik Landley, ‘The Black Mummy’
Boris Hunter, ‘The Werewolf’
E gli accoliti:
Andy ‘Bull’ Panigada, ‘The Zombie’
Freddy Delirio, ‘The Phantom Of The Opera’
(Simone Vavalà)

Setlist:
Intro-Ave Satani
Let The Sabbath Begin
Cursed Mama
Horrible Eyes
Where Have You Gone?
Baphomet
Zora
Baron Samedi
Heavy Demons

The Hanged Ballad
Murder Angels
Zombie
Death
Black Mummy
Terror
Werewolf
Vampire
Come To The Sabbath (Black Widow Cover)

Death SS – Metalitalia.com Festival – 15 settembre 2024 – foto Benedetta Gaiani

Death SS – Metalitalia.com Festival – 15 settembre 2024 – foto Benedetta Gaiani

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