LIFEND
Opener del Metalitalia On-Stage sono i milanesi Lifend, autori quest’anno dell’ottimo come-back discografico “DeviHate”, ovviamente protagonista della setlist di Alberto e compagni. Mezzora a disposizione davanti al primo sparuto gruppo di avventori non sono certo le coordinate ideali per una performance stellare, ma la band ce la mette tutta per mostrare impegno, professionalità ed abilità musicali. Suoni discreti consentono una piacevole fruizione del concerto, aperto dalla diretta “Purify Me” e proseguito con quattro brani tratti dall’ultimo disco, fra i quali “Prometheus Purpureal” e “Parasite”. Ha chiuso l’esibizione un inedito strumentale e senza titolo, che ha fatto intravedere la nuova direzione dei Lifend, più atmosferica e un po’ meno death. Confermandosi una bella realtà, che probabilmente avrebbe meritato di suonare più in là nella serata, i nostri post-death metallers restano fra le formazioni più sottovalutate della Penisola. Vi sproniamo di nuovo ad andare ad ascoltarli!
STILLNESS BLADE
Con un certo ritardo sulla tabella di marcia, dovuto ad un sound-check piuttosto difficoltoso da parte della band stessa, il trio in questione parte subito a palla con il suo death metal brutale ma allo stesso tempo tecnico. Dal vivo la proposta dei ragazzi viene decisamente migliorata rispetto alla resa su CD: le tracce eseguite, in parte estratte dal loro album “The First Dark Chapter (Misanthropic Elevation)”, in parte nuove, vengono suonate con indubbia perizia e pongono sugli scudi quella vera e propria piovra che risponde al nome di Antonio Donadeo. Il ragazzo fa faville dietro le pelli e non per niente nel suo curriculum può vantare collaborazioni prestigiosissime, tra cui spiccano quella con gli Undertakers e quella di live session per i Vital Remains. Antonio è pienamente supportato dal basso pulsante di Gianpaolo Marsano, che all’indubbia padronanza dello strumento aggiunge una presenza scenica di tutto rispetto. A completare il tutto il cantante e chitarrista Max Schito, dotato di un growling profondo e piuttosto particolare. Il death metal degli Stillness Blade richiama band quali Nile, Suffocation ed Hate Eternal e risulta quindi veloce, potente e martellante, con chitarre taglienti e ritmiche a tappeto, anche se i nostri, grazie a Donadeo, non si limitano a continui blastbeat ma risultano molto più fantasiosi. La loro musica è senza compromessi, sebbene in rari frangenti, e soprattutto negli inediti “Break Of The Second Seal” e “Napalm Rain”, Schito inserisca degli assoli e dei riff dal vago afflato melodico e con un tocco leggermente più moderno. La performance dei ragazzi è quindi risultata piuttosto buona, peccato solo che mentre suonavano loro il locale non era ancora pieno e sotto il palco non c’era quasi nessuno.
THE TRUE ENDLESS
I The True Endless arrivano da Novara per tenere alta la bandiera del black metal puro, incontaminato e oltranzista. Con una carriera decennale alle spalle, piena zeppa di pubblicazioni underground e impreziosita da ben quattro full-length album, il quartetto piemontese si dimostra esperto il giusto per non sfigurare in questa occasione: anche per loro l’audience non ha ancora raggiunto livelli accettabili e per qualche seguace dei Dark Quarterer magari sarà pure sembrato fuori luogo doversi sorbire l’esibizione con face-painting incorporato di una formazione black, ma tant’è… L’attitudine è quella giusta, si vede proprio che i The True Endless conoscono l’argomento e ci girano attorno da anni: il black malato e a tratti corroso da un filo di thrash, pregno di influenze Carpathian Forest e Gorgoroth, viene sciorinato dai ragazzi e dalla minuscola – e cattivissima – bassista Soulfucker con discreta perizia e buon vigore, sebbene i suoni e i volumi siano fin troppo impastati e alti. Più di tanto non poteva fare la band novarese, in una serata certo non a tema per loro: presenza un po’ dimessa, ma comunque gradita.
NEFAS
Contrariamente a quanto detto a riguardo degli Stillness Blade, la proposta dei Nefas è più convincente su disco che non dal vivo: intendiamoci, i ragazzi hanno sciorinato un pugno di canzoni estratte dal loro repertorio che sono realmente da mal di testa, con continui cambi di tempo, tempi dispari, riff dissonanti e via dicendo, e la loro perizia tecnica é stata seconda solo a quella dei Dark Quarterer, però, forse a causa di un suono non sempre perfetto, non sono riusciti a dare il meglio di loro stessi. A prescindere da queste considerazioni, va segnalato che i milanesi hanno suonato piuttosto bene, con Dario Pagotto (voce e chitarra) che se l’é cavata egregiamente con la sei corde, dando vita a dei riffing particolarissimi e di non facile assimilazione. Si nota che i nostri sono una macchina molto ben oliata, che anche su passaggi ipertecnici riesce a non perdersi e, a tratti, a farli apparire semplici. Il pubblico li ha sostenuti con calore e nel locale iniziava ad essere abbastanza numeroso, ed anche a fine concerto abbiamo visto gente richiedere con insistenza il merchandising della band. Questo gioca assolutamente a favore dei Nefas e della loro musica, che probabilmente abbisognerebbe di un ascolto più meditato per essere compresa a fondo.
RAINTIME
Di fronte ad un pubblico via via sempre più numeroso arriva finalmente l’ora dei Raintime, chiamati a confermare dal vivo quanto di ottimo fatto sentire tra i solchi della loro ultima fatica, quel “Flies & Lies” che li aveva imposti come una delle rivelazioni della scorsa annata metallica. Troppe volte infatti ci siamo trovati di fronte a “fenomeni da studio” che tuttavia si rivelavano dei clamorosi fiaschi in sede live…ma non è per fortuna il caso dei sei ragazzi di Pordenone. Veri animali da palcoscenico, i nostri, dopo la simpatica intro affidata alla sigla della 20th Century Fox, mettono subito a ferro e fuoco il palco del Marmaja con l’arrembante tripletta “Rainbringer”, “Rolling Chances” e “Flies & Lies”, sulle cui note parecchie teste iniziano a roteare vorticosamente. Più forti anche degli immancabili incovenienti tecnici (occorsi peraltro al sostituto del chitarrista solista Luca, affetto da tendinite), i nostri rallentano per un attimo la loro marcia trionfale andando a ripescare dal più acerbo debut “Tales from Sadness” la solo discreta “Faithland”, per poi tornare su livelli di assoluta eccellenza con l’accoppiata “Apeiron” e “The Black Well”. Di fronte ad una simile botta di adrenalina, ulteriormente acuita dagli incitamenti dell’istrionico singer Claudio, non poteva mancare la risposta del pubblico, che difatti non si fa attendere: oltre al consueto headbaging e alle classiche air guitar tra le prime file spuntano anche alcune chitarre gonfiabili, con il risultato di scatenare una spassosa lotta all’ultima plettrata alternata sopra e sotto il palco. La chiusura affidata alla più aggressiva “Matrioska” suggella nel migliore dei modi uno show imperdibile per gli occhi e per le orecchie, il cui tasso di gradimento trova immediato riscontro nella folla riversatasi in massa allo stand della band a concerto ultimato. Chi invece già li conosceva ha trovato stasera una conferma del loro valore e un motivo in più per attendere il nuovo album di quella che ormai, più che una speranza, può essere tranquillamente considerata una certezza della scena metal nazionale.
IRREVERENCE
Tritacarne, taglialegna, muratori…questi alcuni degli epiteti rivolti agli Irreverence durante il loro show. Ovviamente tutti questi “complimenti” vogliono dire una sola cosa: la band ha spaccato le ossa ai presenti, con una performance diretta e senza fronzoli, di un’ignoranza senza pari. Il loro thrash metal è di chiaro stampo tedesco ed il loro amore per i Sodom è dichiarato in ogni singola nota. I ragazzi poi al Marmaja giocano in casa, ed è per questo che ben presto il loro concerto si trasforma in una festa tra amici, fatta di tante risate, pogo scatenato, brani estratti dagli album della band e alternati da classicissimi quali ad esempio “Agent Orange” e “Ace Of Spades” (dobbiamo davvero dirvi di chi sono gli originali?). Dell’aspetto tecnico della loro performance non c’è nemmeno bisogno di parlare: Riccardo, Luca, Mauro e Davide semplicemente sono saliti on stage, hanno maltrattato gli strumenti per un’oretta, hanno urlato nel microfono, hanno fatto divertire i presenti e sono scesi raccogliendo il giusto tributo. Inutile dire che il loro è stato il live che ha riscosso più successo fino a questo punto (esclusi gli headliner quindi). Divertenti, sguaiati e dannatamente thrash. Vi pare poco per dei taglialegna?
DARK QUARTERER
E’ praticamente l’una di notte quando salgono sul palco i Dark Quarterer. Gianni Nepi, come di consueto abbigliato in impermeabile e cappello neri, introduce lo show con un breve discorso sulle origini e lo stile della band, più che lecito visto il differente orientamento stilistico rispetto ai gruppi che hanno suonato precedentemente. Il quartetto di Piombino inizia la sua esibizione con “Wandering In The Dark”, l’opener dell’ultimo stupendo album in studio “Symbols”. Forte probabilmente dell’ottimo responso mediatico ricevuto dal lavoro, la band decide di eseguire per intero proprio “Symbols”. Una dopo l’altra vengono quindi proposte “Ides Of March”, la lunghissima ed epica “Pyramids Of Skulls”, “The Blind Church”, “Shadow Of The Night” e la spettacolare conclusiva “Crazy White Race”. I nuovi brani sono lunghi, articolati, raffinati e il gruppo offre una prestazione impeccabile suonando con un trasporto e un feeling incredibili. Il cantato di Gianni è perfetto, così come il drumming di Paolo Ninci, integrato a meraviglia con una prestazione strumentale maiuscola da parte di Francesco Sozzi alla chitarra e Francesco Longhi alle tastiere, entrambi molto abili non solo nel riproporre partiture tutt’altro che semplici ma anche nel creare quelle atmosfere che rendono grande un disco come “Symbols”. I suoni a metà strada tra mixer e palco sono ben bilanciati e nulla tolgono alla performance della band; peccato però che l’audience abbandoni man mano il locale con lo scorrere dei minuti, e in questo caso pesano sicuramente il fatto che sia notte inoltrata e che l’epic-prog proposto dai quattro toscani sia decisamente poco affine alla media della proposta musicale sentita nel corso della serata. Spiace davvero perché, come spesso purtroppo accade in Italia, il pubblico metal sembra essere poco interessato alle band non in linea al proprio sottogenere preferito, anche se si tratta, come nel nostro caso, di una delle migliori formazioni metal italiane di sempre. I Dark Quarterer, da grandissimi professionisti, pensano soprattutto a suonare e quindi non risparmiano nemeno una nota e ci offrono un tris finale da pelle d’oca con “Retributioner” (dal mitico “The Etruscan Prophecy”), “Lady Scolopendra”, stupendo lento da “War Tears”, e “Last Song” da “Violence”. Chiusura chiaramente tra gli applausi e le congratulazioni da parte dei pochi rimasti. Chiaro che la grande esperienza del gruppo si è fatta più che valere ed ha evidenziato come questa sia una band in grado di insegnare parecchio su cosa voglia dire far musica con passione. Il primato del primo Metalitalia On-Stage va come da pronostico ai Dark Quarterer, nella speranza futura che riescano a far valere le proprie qualità e a suonare finalmente di fronte a platee ben più numerose.