Report di Simone Vavalà
Foto di David Scatigna e Giuseppe Craca
L’anticipo d’estate all’insegna dei grandi eventi hard rock e metal non poteva essere più intenso: ad appena quattro giorni di distanza dalla calata degli AC/DC in quel di Reggio Emilia, tocca ai Metallica radunare circa settantamila persone nella cornice dell’Ippodromo La Maura di Milano.
E già solo leggere queste parole insieme non può che richiamare spettri già evocati in occasione di altre kermesse musicali tenute negli ultimi anni nello stesso luogo dai Kiss agli Iron Maiden; cambia l’ippodromo, in questo caso il più ampio dei due, ma il risultato non particolarmente, in termini di esperienza non particolarmente positiva.
Notiamo, a onor del vero, la massima gentilezza e disponibilità del personale logistico e di sicurezza, ma forse è dovuto anche nel loro caso alle precedenti esperienze e al (probabile) logoramento: lo spazio da gestire è enorme, per carità, ma resta sempre un mistero come in Italia la distribuzione delle diverse tipologie di biglietto – golden, diamond, bronze, pit, pit super sayan, a un certo punto abbiamo perso il conto – ottenga sempre il risultato di essere una delusione rispetto alla tariffa pagata da ciascuno.
I bagni chimici presenti sono risultati in numero decisamente limitato, dato che è impensabile una fila di circa centocinquanta (!) persone davanti a ciascun blocco di toilette, e infine l’annosa ‘rock’n’roll swindle’ dei token per i bar, su cui non ci soffermiamo nemmeno per evitare di citare a profusione santi e membri della Trinità.
Spiace ritornare sempre sulle stesse critiche, specie alla luce di un’organizzazione che in termini umani – come scritto più sopra – riesce a mostrare il suo lato migliore. Però, questa sera e per tutta la durata di questi I-Days (il festival diluito su più giorni in cui erano inseriti i Metallica), parliamo dei numeri su cui da decenni lavorano festival come Wacken o l’Hellfest, dove l’esito e l’accoglienza sono tutt’altra cosa: basterebbero esperienze all’estero, confronto costruttivo e un approccio meno tetragono per migliorare – e tanto – l’esperienza del pubblico.
Ma ora, dopo avervi raccontato un po’ quale fosse la situazione al contorno, facciamo parlare la musica.
La serata si apre a ben vedere in pieno pomeriggio, visto che il compito di scaldare gli animi viene affidato agli ICE NINE KILLS mentre non solo il sole è ancora alto in cielo, ma buona parte del pubblico è ancora impegnato a far girare l’economia al lavoro, come da tradizione meneghina.
La band di Boston non si segnala certo per l’originalità della proposta musicale, un mix di metalcore, alternative e metal melodico che va benissimo come scatola di popcorn in apertura soprattutto grazie al curatissimo impatto scenografico.
Tra citazioni evidenti dal mondo horror – anzi slasher, per la precisione – cambi d’abito, schizzi di sangue e trovate grandguignolesche varie, la band mette in scena uno spettacolo sicuramente apprezzabile, ma in cui i singoli pezzi non si stagliano particolarmente rispetto all’atmosfera generale che sanno trasmettere; nonostante siano passati tre anni dalla pubblicazione, si tratta di un tour di supporto all’ultimo “Welcome to Horrorwood: The Silver Scream 2”, con ben sette brani su dieci tratti da questo disco, per poco meno di un’ora facile facile, con qualche momento divertente, certo non memorabile, a parte forse per l’intro affidata alle immortali (ben prima di Peaky Blinders…) note di “Red Right Hand” di Nick Cave & The Bad Seeds.
Setlist Ice Nine Kills:
Hip to Be Scared
Play Video
Rainy Day
Meat & Greet
Ex-Mørtis
SAVAGES
Funeral Derangements
The American Nightmare
A Grave Mistake
The Shower Scene
Welcome To Horrorwood
I FIVE FINGER DEATH PUNCH potranno essere divisivi quanto si vuole, ma senza dubbio questa sera si trovano al posto giusto e davanti alla miglior platea possibile per esprimere e trasmettere al meglio la loro carica di testosterone e groove.
È inutile storcere il naso rispetto al tasso di genuino contenuto metal della loro proposta, o quanto i grandi nomi che stanno scalando sempre più velocemente le classifiche di gradimento possano essere interpretati come band da confraternita americana: dal look accattivante, all’innegabile energia che trasmettono, passando per i riff adrenalinici e i siparietti con il pubblico a prova di bomba emotiva e cellulari erti a immortalare il momento – in particolare quando Moody fa salire sul palco una bambina emozionata, e corre con lei sulla piattaforma che circonda il pit – i cinque dimostrano mestiere innegabile.
Nell’esperienza personale come loro sincero denigratore, diversi brani fanno oggettivamente scapocciare di gusto, specie quando la chitarra di Zoltan assume ritmi sincopati degni di band come gli Stuck Mojo, sebbene i 5FDP non perdano mai di vista l’approccio melodico e ‘piacione’. Ecco, da questo punto di vista è sicuramente più l’impatto e la generosità col pubblico a fare del succitato Ivan un grande frontman, rispetto a una versatilità vocale relativa; anche se, sulla cover di “House Of The Risin’ Sun”, paracula quanto volete, mostra sicuramente capacità espressiva.
Per il resto, l’ora di esibizione scivola via leggera e apprezzabile come una Miller o una Bud, condivisa ovviamente con amici palestrati e vocianti, percorrendo pressoché tutta la discografia della band: menzione particolare, anche in termini di risposta dei fan – non pochi quelli presenti quasi più per loro che per i Four Horsemen – per la cadenzata “Trouble”, l’adrenalina pura di “Salvation” e l’apprezzatissimo finale affidato a “The Bleeding”, un vero e proprio classico della band di Las Vegas.
Setlist Five Finger Death Punch:
Lift Me Up
Trouble
Wash It All Away
Jekyll And Hyde
The House Of the Rising Sun
IOU
Wrong Side Of Heaven
Salvation
Under And Over It
The Bleeding
Non sono ancora calate le tenebre quando partono le note di “It’s a Long Way to the Top” degli AC/DC, da tempo aggiunta dai Metallica come intro dei concerti, anche se l’esplosione del pubblico avviene con la successiva “The Ecstasy Of Gold”, il vero annuncio dell’arrivo della band sul palco dal lontano 1983.
Se “Creeping Death” fa subito ben sperare in uno show intenso e veloce, purtroppo si fanno subito notare problemi rilevanti nei suoni: il volume è decisamente insufficiente – specie pensando che ci troviamo nel primo settore – rendendo difficile capire cosa possano sentire i fan collocati duecento metri più indietro (anche per l’uso incomprensibilmente frammentato dei ledwall, che di fatto hanno reso difficile seguire il concerto da lontano); inoltre, anche l’equalizzazione del basso è tremenda, con un suono impastatissimo. E purtroppo i miglioramenti, percepibili a partire da “Enter Sandman”, saranno solo parziali.
Fino all’arrivo del brano che, come opener del “Black Album”, ha cambiato la storia dei quattro, il tiro è notevole, con un altro classico eterno come “For Whom The Bell Tolls”, accompagnato da immagini di campane e stralci i soldati in marcia, e “Holier Than Thou”, dove Kirk combina il primo di non rari pasticci. Ma sinceramente, quanta parte del pubblico è qui per verificare la precisione degli assoli o degli attacchi di Lars – che, peraltro, stasera svolge un lavoro assolutamente dignitoso? La risposta è una percentuale decisamente irrisoria: piaccia o non piaccia, i Metallica hanno trasceso il loro stesso nome, per diventare una band mainstream a tutti gli effetti, di quelle che entrano nel novero degli eventi estivi attirando anche pubblico tutt’altro che affine a certe sonorità, al punto che non mancano commenti o sguardi infastiditi allorché partono piccoli, ma per noi preziosi, scampoli di moshpit.
Non può mancare spazio per il recente “72 Seasons” a partire dalla title-track, a svelare anche il filo conduttore delle proiezioni su bizzarri schermi frammentati, che adattano i cromatismi alle tinte portanti dei diversi album. “Too Far Gone?” e “Shadows Follow” sono purtroppo tra i brani dell’ultimo disco che, pur senza essere pessimi, girano un po’ troppo intorno a se stessi, anche se riescono a non essere il momento di più scarsa concentrazione del pubblico (almeno quello più datato); vince infatti a mani basse la reiterata scelta di concedere spazio a una jam con cover che omaggi il paese ospitante da parte di Trujillo e Hammett e, anche se è sicuramente un momento di divertissement offerto al pubblico con il cuore, la restituzione di “Acida” dei Prozac+ ci fa desiderare dei ferri da maglia nelle orecchie.
A parte questo, però, il resto della scaletta è assolutamente dignitoso e cerca di accontentare un po’ tutte le tipologie di pubblico senza snaturare i ‘Tallica: James, forse, non ha le energie delle serate top, ma è pur sempre Mr. Hetfield, un’icona e un semidio del metallo, che sciorina riff e ritornelli abrasivi come pochi frontman al mondo.
Non possono mancare altri due estratti fondamentali dal disco omonimo del 1991, e ovviamente parliamo di “Nothing else Matters”, con la prevedibile muraglia di telefonini alzati in modalità video, e di “Sad But True”. La velocità torna con l’esaltante “Lux Aeterna” e “Seek And Destroy”, cantata con buona volontà da una minoranza entusiasta, i pochi (almeno, a vista, decisamente pochi) che non hanno alzato la mano allorché James ha chiesto chi stesse assistendo per la prima volta a un loro concerto. Anzi, show: perché di questo si tratta, se contiamo anche qualche corsa sulla piattaforma circolare, fino a quando la band stessa si sposta su di essa per un maggior contatto con il pubblico, poi palloni giganti, gli scontati ma sempre graditi fuochi d’artificio… Non manca nulla per il classico concerto dei Four Horsemen. Decisamente non il migliore a cui abbiamo assistito, non certo una delusione, specie per chi, fortunato, è per la prima volta al loro cospetto.
Il finale è telefonato nel carico emotivo, ma non per questo meno efficace: “One” e “Master Of Puppets” chiudono circa due ore di spettacolo, prima di diversi minuti di saluti, lanci di plettri, promesse di un pronto ritorno, benedizioni papali e tutto ciò che, giustamente, ci aspettiamo da questi mostri sacri.
Anche se la vera emozione, volutamente tralasciata rispetto alla scaletta, è stata per noi “Orion”: un pezzo che dopo quasi quarant’anni non cessa di dare la pelle d’oca, oltre a riportare il pensiero a Cliff, il grande assente dallo stesso lasso di tempo, ma non nel cuore dei fan, e dei suoi amici ancora presenti sul palco a suonare.
Setlist Metallica:
It’s a Long Way to the Top (If You Wanna Rock ‘n’ Roll) (AC/DC)
The Ecstasy of Gold (Ennio Morricone)
Creeping Death
For Whom the Bell Tolls
Holier Than Thou
Enter Sandman
72 Seasons
Too Far Gone?
Welcome Home (Sanitarium)
Shadows Follow
Orion
Nothing Else Matters
Sad but True
Lux Aeterna
Seek & Destroy
One
Master of Puppets
ICE NINE KILLS
FIVE FINGERS DEATH PUNCH
METALLICA
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