Report a cura di Lorenzo Santamaria
Fotografie di Peter Troest
Questa prima discesa dei Metallica in Europa è stata mossa come da tradizione da un grandissimo hype nei confronti della band californiana, la quale ha deciso di focalizzare il tour promozionale del nuovo acclamato disco nella terra natia di Lars Ulrich, la Danimarca. Ben due date ravvicinate, poi addirittura raddoppiate a causa dell’incredibile domanda di biglietti, per inaugurare la nuova Royal Arena di Copenhagen, progetto architettonico di ultima generazione che va ad affiancarsi al Parken, unica altra vera concert hall di dimensione significativa della città della Sirenetta, e alla Malmo Arena nel sud della Svezia. Per i Four Horsemen, però, le cose non sembrano essere partite nel migliore dei modi: dagli iniziali problemi di salute del povero James Hetfield nel corso della prima data, il 3 febbraio, che hanno portato alla conclusione anticipata dello show e addirittura al posticipo della data del 5, i Nostri hanno davvero provato di tutto per accelerare la guarigione del frontman e per riuscire a essere sul palco la sera del 7, per dare un segnale ai fan danesi, particolarmente affezionati alla band di San Francisco, avendo portato tutte le date a essere completamente sold out (circa 64.000 biglietti) nell’arco di pochi minuti. Ad aprire le danze troviamo i locali I’ll Be Damned, i quali provano a scaldare gli animi del pubblico in questa fredda serata di febbraio!
I’LL BE DAMNED
La band di Aarhus ha vinto il contest online tra le band danesi per aprire questa data dei Metallica, come gli Hatesphere nella prima serata, gli Asphyxion nella (sfortunata) seconda e i Defecto per l’ultima. Immaginiamo quanto questa possa essere stata sentita come l’occasione della vita per la giovane ma comunque sufficientemente conosciuta, almeno nel circuito locale, band dello Jutland, ed infatti i ragazzi tirano fuori uno show straordinariamente energico, nonostante la blanda proposta musicale, ovvero un rock ipervitaminizzato con voce graffiante, debitore di band quali D-A-D, Supercharger et similia. Il palco situato al centro del pit, a forma di stella, vede i nostri zompettare da un lato all’altro in scioltezza e senza alcun apparente timore reverenziale nei confronti degli ingombranti headliner, suonando una discreta porzione dei singoli del loro album self-titled uscito nel 2015, cavandosela in maniera più che discreta. Il pubblico in sala sembra gradire la performance, anche se la sovrabbondanza di magliette dei Metallica e la distrazione di alcune frange degli astanti, più intenti a fare scorta di birra al bar che a seguire ciò che stava accadendo sul palco, dimostra quanto la Royal Arena in realtà stesse aspettando qualcun altro. Sicuramente sarà stata una serata memorabile per gli I’ll Be Damned, dato che non capita tutti i giorni di condividere il palco con la metal band più famosa del pianeta. E a casa propria poi!
METALLICA
Dopo il congedo del support-act notiamo come, lentamente ma considerevolmente, il pit e gli spalti comincino a riempirsi, e di come l’attesa e la trepidazione si facciano crescenti attorno a noi. Da brave dive navigate quali sono, i Metallica si fanno attendere una quarantina di minuti buoni rispetto all’orario prestabilito, e il popolo danese, culturalmente poco avvezzo ai ritardi, sembra iniziare a sbuffare un pochino; ma al sentire le prime note di “The Ecstasy Of Gold” del nostro orgoglio nazionale Ennio Morricone, l’arena scoppia in un vero boato liberatorio e punta il naso in alto dove lo schermo gigante orizzontale è collocato esattamente sopra il palco e sul quale assistiamo ad una sequenza de “Il Buono, Il Brutto e il Cattivo”. Pochi secondi e “Hardwired” fa scoppiare l’energia dei presenti in un urlo collettivo, e ci fa davvero piacere notare come il pezzo in questione abbia un ottimo tiro live. “Ciao Copenhagen! Stiamo meglio adesso, non trovate? Grazie a tutti per la pazienza, siete fantastici!”, urla James Hetfield, e via di “Creeping Death” dall’indimenticabile “Ride The Lightning”, brano che onestamente non ci aspettavamo. E dello stesso avviso devono essere stati una buona parte dei presenti dato il coinvolgimento nel corso del bridge finale, tra pugni in aria che andavano a scandire i “Die!” di James. Lo show perdura tra effetti laser e fumogeni coreografici davvero ben realizzati e continua a presentarci una setlist davvero ben congegnata, con svariati classici imprenscindibili (“For Whom The Bell Tolls”, “Master Of Puppets”, “One”, “Seek And Destroy”), ma che va anche a pescare dal passato meno mainstream della band di San Francisco, con pezzi quali la strumentale “Orion” da “Master Of Puppets”, una piccola chicca che non capita di sentire tanto di sovente. Come di consueto, i Nostri si profondono in piccole bizze soliste per allentare la tensione tra un brano e l’altro, e se alle tamarrate col pedale wah-wah di Kirk Hammett siamo abituati, altro effetto ci fa l’assolo in slap di Robert Trujillo, davvero groovy e coinvolgente; assolo che poi sfocia in “Anaesthesia: Pulling Teeth”, probabilmente suonata in onore dell’imminente compleanno del mai dimenticato Cliff Burton, provocando così un ‘piacevole’ moto di commozione tra gli astanti. Al momento dell’immancabile “Seek & Destroy” assistiamo ad un simpatico siparietto tra Lars Ulrich ed un giovane del pubblico, che viene fatto salire sul palco per dare la battuta iniziale al pattern di batteria, tra il plauso generale dei presenti, particolarmente divertiti da quello che sembra essere un fuori programma: un altro personaggio che non dimenticherà questa serata tanto facilmente. Dopo il commiato di rito, e l’abbandono del palco, i Four Horsemen non si fanno attendere più di tanto e si ripresentano con un altro pezzo degli esordi, “Whiplash”, facendo contenta la frangia più ‘navigata’ dei presenti, per poi invece continuare con la ‘solita’ “Nothing Else Matters”, lasciando il pubblico a cantare per la maggior parte del tempo, e concludendo in bellezza con “Enter Sandman”, ormai in una venue completamente illuminata, facendoci scatenare per un’ultima volta. Grandissimo show per la band di San Francisco, la quale si è fatta completamente perdonare le precedenti (anche se involontarie) debacle, e ha dimostrato quanto sia ancora ben lungi dal pensionamento, riuscendo come sempre a proporre show spettacolari e professionali, ma sempre con un occhio di riguardo nei confronti del pubblico. Menzione a parte la meritano il capitano James Hetfield, un eterno ragazzino, la cui presenza scenica totalizzante mette ancora in ombra i restanti membri della band, ed i pezzi del nuovo “Hardwired… To Self Destruct”, che hanno davvero un tiro live irresistibile.
Setlist:
Hardwired
Creeping Death
For Whom the Bell Tolls
Wherever I May Roam
Welcome Home (Sanitarium)
Now That We’re Dead
Moth Into Flame
Orion
One
Master of Puppets
Fade to Black
Seek & Destroy
Encore:
Whiplash
Nothing Else Matters
Enter Sandman