Report di Enrico Ivaldi
Foto prese dai canali ufficiali del Midgardsblot
Anche questa stagione di festival estivi scandinavi targata 2024 volge alla termine e, come tradizione, sarà il Midgardsblot ad prendersi la responsabilità di salutare l’estate con i suoi palchi immersi nel verde di Borre, attorno ad un antico sito funerario vichingo vicino a cui è stato costruito un centro sulla cultura delle popolazioni scandinave del passato. Borre è un piccolo, tranquillo paese sul fiordo, che vede però nella settimana centrale di agosto arrivare un grosso numero di metallari (e non) da tutto il mondo, per quello che è uno dei festival più caratteristici della Norvegia.
I quattro giorni di concerti ed eventi collaterali si sviluppano su tre palchi principali: due esterni chiamati Helheim (il main stage) e Valhalla, e uno all’interno della Gildenhallen, un’imponente ricostruzione in legno di una Casa Lunga vichinga lunga trentatré metri, che domina totalmente l’area ed è riccamente scolpita con decorazioni d’epoca.
Un quarto palco, allestito nell’area merch, viene invece riservato per i numerosi performer e cantastorie che si alternano durante tutto il giorno, donando un’aura bucolica, oramai tipica del festival. Il modo migliore per entrare nel mood rimane secondo noi quello di campeggiare nell’area attrezzata per l’occasione, accanto alla spiaggia che affaccia sul fiordo, per una settimana di totale immersione nella natura.
Presenti anche stand che servono cibo tipico della zona e una grande tendopoli in cui numerosi artigiani presentano le loro creazioni; il tutto, insieme a una grande quantità di persone in vestiti d’epoca, crea un atmosfera lontana dalla modernità. Un evento unico e forse non per tutti, vista l’estrema eterogeneità degli artisti partecipanti, ma un esempio perfetto di quell’apertura mentale che forse trova ancora difficoltà a prendere piede nel nostro paese.
Immergiamoci quindi nella natura e godiamoci questi quattro giorni di musica.
MERCOLEDÌ 14 AGOSTO
La tradizionale apertura del festival è, come sempre, affidata al collettivo FOLKET BORTAFOR NORDAVINDEN che come tutti gli anni esegue il rituale propiziatorio del Blót, un sacrificio pagano dei popoli del Nord Europa alle divinità scandinave, che consiste in due ore di ritmi tribali e ipnotici e la partecipazione attiva del pubblico che danza attorno a statue raffiguranti gli Dèi nordici, in una grande festa pagana con tanto di sangue animale (o qualcosa di simile) e recitati tratti dalle saghe antiche.
Un’inizio pittoresco e molto ben orchestrato, che setta immediatamente il mood generale su livelli estatici specialmente per coloro i quali sono coinvolti appieno nella cultura pagana.
Sono quasi le cinque di pomeriggio e si passa ai concerti veri e propri con gli americani UADA a battezzare i palchi di questo Midgardsblot 2024.
Nonostante l’atmosfera non proprio ottimale, dato il sole ancora alto, i quattro riescono comunque a tirare fuori uno spettacolo compatto e coinvolgente, aiutati dall’abbondante fumo sul palco, e da una prova tecnica di tutto rispetto.
Il black metal degli Uada è atmosferico, dai ritmi spesso serrati stemperati da aperture in cui gli intrecci armonici delle chitarre rasentano il metal classico, creando un atmosfera onirica e inquietante. Ovviamente una parte dello show risente della mancanza della loro classica componente scenica fatta di teloni neri e luci fluorescenti, ma brani come “Djinn” o “Cult Of A Dying Sun” fanno pieno centro.
La loro è una musica sì aggressiva ma che fa dell’intensità il suo centro nevralgico ancora più della violenza stessa, creando picchi emotivi come la conclusiva “Black Autumn, White Spring” che li congeda e li conferma come una scelta perfetta come inizio.
Si continua sullo stesso palco con i GRAND MAGUS che, in attesa di pubblicare il nuovo lavoro in autunno, si ripresentano in sede live per una serie di date estive, tra cui quella di oggi in quel di Borre. Il loro doom pesantemente influenzato dal metal classico dei Manowar ben si sposa con il contesto, specialmente grazie alle tematiche di stampo pagano, con un set che spazia da momenti più pesanti come “Hammer Of The North”, “Steel Versus Steel” o “Ravens Guide Our Way” a canzoni quasi speed come “I, The Jury”. Grande responso anche per la nuova “Skybound”, che fa ben sperare per il futuro.
Gli svedesi si confermano in forma e alleggeriscono l’atmosfera in attesa della prossima band in scaletta.
Nella magica cornice della Gildenhallen, intanto, si respira un aria quasi sciamanica con il cantautorato pagano dell’americano JOHNNY HEXX, subito prima dei KALANDRA, anch’essi di casa e in procinto di presentare il nuovo album.
Le loro canzoni fondono la tradizione norvegese con pop e post-rock, in un mix molto originale, lontano dai ‘soliti’ cloni di Warduna ed Heilung. La splendida voce di Katrine Stenbekk ammalia i presenti con il suo tono dolce e potente, mentre la band fa un lavoro egregio nel mescolare suoni elettronici, strumenti tradizionali e chitarre rock. Picchi assoluti si hanno con la commovente “Virkelighetens Etterkant” e la stupefacente cover di “Helvegen” dei Wardruna, che risuona tra i boschi che circondano il sito del Midgards Vikingsenter.
C’è anche spazio per un nuovo brano che mostra una spiccata vena rock, malinconica e sognante, prima di congedarsi con i ritmi quasi progressivi di “Ensom”. Una conferma totale per una delle realtà più originali ed interessanti della scena norvegese che torna al Midgardsbot dopo la presenza di di due anni fa, con un bagaglio ancora più ampio di esperienza.
Ci prendiamo una pausa assaggiano il buonissimo cibo locale mentre il folk del compositore norvegese KJELL BRAATEN risuona tra le mura di legno della Gildenhallen, giusto in tempo per prender posto in attesa del primo headliner del festival.
Gli AMON AMARTH fanno tappa a Borre durante quello che è un lungo tour di date estive, portando il loro show fatto di fuochi d’artificio, un palco trasformato in un drakkar (antica nave vichinga) in mezzo ad un mare in tempesta e la loro solita sequela di guerrieri, martelli di Thor e altri espedienti circensi. Uno spettacolo sicuramente divertente, ben costruito e sceneggiato ma che ha da tempo preso una via che rasenta il pacchiano. L’ora e mezza di concerto scorre non senza qualche sbadiglio a causa di una discografia che col tempo ha appiattivo l’epicità degli esordi.
Molti dei brani si attestano infatti su midtempo costanti e molto simili tra di loro, che mantengono alta l’attenzione solamente grazie ad una controparte visiva oggettivamente coinvolgente. Il pubblico, veramente numeroso, apprezza e si fa trasportare cantanto molti dei brani suonati, dimostrando che, nonostante tutto, i vichinghi svedesi il loro fedele seguito non lo hanno mai perso.
Un successo senza dubbio quello degli Amon Amarth questa sera che, al netto dei limiti di una proposta musicale spesso sull’orlo dell’autocitazionismo, non sembra perder colpi. Gli effetti pirotecnici nel finale di “Raise Your Horn” illuminano il cielo notturno, e noi ce ne torniamo alla nostra tenda in mezzo ai boschi e sotto una leggera pioggia e una temperatura quasi autunnale che ci ricorda di srotolare i nostri sacchi a pelo, mentre i suoni del falò notturno sulla spiaggia del campeggio risuonano fino a tarda notte.
Setlist Amon Amarth:
Raven’s Flight
Guardians of Asgaard
The Pursuit of Vikings
Deceiver of the Gods
As Loke Falls
Tattered Banners and Bloody Flags
Heidrun
War of the Gods
Put Your Back Into the Oar
The Way of Vikings
Under the Northern Star
First Kill
Shield Wall
Raise Your Horns
GIOVEDÌ 15 AGOSTO
Il Ferragosto norvegese ci sveglia sotto un sole caldo e tra l’odore della terra baganata dalla pioggia caduta durante notte, e dopo una mattinata passata a goderci il caldo inaspettato ci presentiamo ai cancelli per assistere ai giovanissimi BÆRZERK, band del vicino paesino di Horten. Nonostante la giovanissima età che non raggiunge i vent’anni i quattro hanno energia da vendere, nonostante un black metal abbastanza standard ma parecchio aggressivo, che piace ai presenti.
In attesa che il primo gruppo di esibisca sul palco principale, assistiamo all’interessante workshop a cura del giornalista norvegese Harald Fossberb autore del libro “Nyanser Av Svart” (Sfumature Di Nero) che presenta un excursus storico sulla nascita del black metal, attraverso ascolti guidati e aneddoti molto interessanti. Nulla di nuovo per chi il genere lo conosce bene, ma un’ottima possibilità per i più giovani per capirne la sua nascita ed evoluzione.
Quando l’orologio segna le cinque, gli INCULTER iniziano il loro set sotto una pioggia leggera che ha preso il posto del caldo sole della mattina.
I thrasher norvegesi, reduci col loro “Morbid Origin” dalla nomination per il miglior album metal allo Spellemanpris (Grammy norvegese) non perdono un secondo e sciorinano un’ora senza interruzioni, in cui dimostrano di essere una macchina live ben oliata, precisa e coinvolgente.
Il loro thrash venato di death crea un delirio continuo tra i piú giovani che si gettano in un moshpit continuo. L’ultimo lavoro è ovviamente quello più rappresentato, con brani come “Extinction”, “Chained To The Void”, mentre “Endless Torment” dal debutto conclude un concerto intenso e senza un minimo di respiro.
Numerose attività alternative, tra cui interviste, letture e addirittura un tasting di idromele ci separano poi da quello che sarà un vero e proprio massacro: i VADER prendono possesso dell’Helheim Stage per un ora abbondante, ricordandoci perché dopo più di quarant’anni siano ancora macchina devastante.
Il loro è un live violentissimo, in cui tecnica ed esperienza si fondono per un unico scopo: annichilire. Quattordici i brani suonati, che ripercorrono tutta la loro carriera, da “Dark Age”, passando per “Sothis”, “Blood Of Kingu” e “Wings”. Sorprendentemente non viene suonato nulla dai lavori più recenti ma quasi metà della scaletta prende a piene mani dal classico “Black To The Blind”. Peter e compagni dimostrano un’attitudine e una professionalità che non sembrano scemare, regalando una delle esibizioni più solide dell’intero festival.
Ci scostiamo dal metal con i TRIO ORO, tre musicisti incredibili che suonano un indecifrabile quanto sconvolgente misto di suoni folk del Marocco, bluegrass, flamenco, danze tipiche norvegesi e ballate medievali francesi, il tutto coerentemente mescolato tramite una tecnica fuori dal comune. Una delle classiche sorprese a cui questo festival ci ci ha ormai abituato.
Si rimane su coordinate acustiche con il suggestivo spettacolo degli svedesi HINDARFJÄLL (che prendono lo slot dei GÅTE, costretti a cancellare per problemi di salute) collettivo che presenta un folk cupo e avvicinabile alle atmosfere medievaleggianti degli Arcana. Grande attenzione viene data alla parte visiva, con numerose comparse vestite in abiti d’epoca, guerrieri armati e addirittura la presenza di Peter Franzen, attore finlandese famoso per il suon ruolo di Harald Bellachioma nella serie “Vikings ” (e dei fratelli Koskela nel videogioco “Alan Wake 2” per i più nerd). Un’esperienza visiva e musicale potente, evocativa e per nulla pacchiana, che si piazza tra le migliori in assoluto di quelle al di fuori dall’ambito metal.
In una Gildenhallen strapiena tanto da non riuscire ad accogliere tutti, intanto, i giovanissimi MORTAL FEAR, anch’essi di Horten come i Bærzerk, scaldano il pubblico con un thrash old-school prima dell’arrivo dell’headliner di questo giovedì.
Con una formazione che vede i tre membri originali Billy, Peterson e Skolnick affiancati dal fedele Di Giorgio e dal nuovo entrato Chris Dovas, i TESTAMENT presenteranno questa sera una serie di brani tratti esclusivamente dai primi due lavori, “The Legacy” e “The New Order”, per la gioia di tutti i numerosissimi fan.
Per un’ora abbondante in cui la pioggia non sembra volersene andare, la band di Oakland tributa se stessa un classico dopo l’altro, con una perfezione tecnica e una presenza sul palco imponente.
Dall’iniziale “Eerie Inhabitants” passando per le immortali “The New Order”, “Apocalyptic City”, “Preacher” e una “Do Or Die” da panico, veniamo investiti da una sequenza di midtempo micidiali, assoli dal sapore fusion di Skolnick e un lavoro al basso increibile che crea un groove irresistibile. In gran forma anche Chuck Billy che passa da growl cupi a parti quasi melodiche con una disinvoltura invidiabile e quando arriva il momento del trittico finale “C.O.T.L.O.D.”-“Over The Wall”- “Into The Pit” il pubblico si scatena, guadagnandosi un lungo applauso da parte di una delle ultime band in grado di tenere alto il vessillo del thrash, sapendosi evolvere senza snaturare quell’attitudine che fece grandi i classici degli anni Ottanta.
Ancora frastornati e sotto una pioggia che si fa pesante torniamo alle nostre tende, per riposarci ed affrontare la seconda metà del festival.
Setlist Testament:
Eerie Inhabitants
The New Order
Apocalyptic City
The Haunting
The Preacher
A Day of Reckoning
Do or Die
First Strike Is Deadly
Disciples of the Watch
Over the Wall
Into the Pit
VENERDI 16 AGOSTO
Lasciataci alle spalle la pioggia a rate dei giorni precedenti, il meteo per il resto del weekend promette sole e temperature quasi mediterranee, e molti ne approfittano per un bagno mattutino nelle acque del fiordo, aspettando che aprano i cancelli per questa terza giornata che vedrà, tra l’altro, l’apertura dell’ Helheim Stage, portando a quattro i palchi totali.
Si inizia con un divertente workshop sulle tecniche di canto in scream e growl nella Gildenghallen, mentre sul Valhalla Stage si sta preparando il tutto per i VULTURE INDUSTRIES e il loro black metal progressivo e avangurdistico, figlio degli Arcturus.
Con una carriera che rasenta i vent’anni, il combo di Bergen non ha forse mai raccolto quello che avrebbe meritato, e vederli su palco non fa altro che rafforzare questa impressione.
Brani mai banali, complessi e dalle atmosfere teatrali che hanno imparato benissimo la lezione di In The Woods, Manes e appunto Arcturus, suonati con una tecnica impeccabile mantenendo una buona dose di immediatezza che aiuta a non far perdere il bandolo della matassa: “Deeper” e “New Lord Of Light” dall’ultimo “Ghosts From The Past” affiancano brani meno recenti come “Strangers” e “Blood Don’t Eliogabalus” e il responso dei presenti è quantomeno entusiasta e meritato.
Dopo una dimostrazione di combattimenti storici con spade, armature e scudi accompagnati dai ritmi tribali e dai canti tradizionali da parte dei Folket Bortafor Nordavinden, si continua su atmosfere pagane con gli EREB ALTOR, che tornano dopo cinque anni in quel di Borre.
Il loro metal che mescola l’epicità del doom e l’aggressività del viking metal funziona bene e l’ora a loro disposizione passa in fretta e senza sbadigli, nonostante una certa ripetitività dei brani. Si nota una vena più complessa e quasi progressiva nei momenti più recenti quali “Fenris”, “I Have The Sky” e “Den Dighra Döden”, vicine agli ultimi Enslaved.
Ci spostiamo verso l’ombra dell’ Heleheim Stage per assistere agli inglesi FEN che trascinano il mood su binari di maggiore intensità e più atmosferici.
Rispetto ai conterranei Winterfylleth, i Fen giocano ancora più maggiormente sui contrasti tra passaggi post-rock e pesantezze black metal, risultando in una musica estremamente cinematografica che potrebbe rendere ancora meglio se aiutata da un comparto scenografico. La band infatti si presenta sul palco in versione minimal e totalmente causal, cosa che collide un po’ con la bellezza narrativa di molti dei brani ma, a parte questo, riesce a coinvolgere i numerosi accorsi sulla collinetta di fronte al palco.
Mentre la Gildenhallen si riempie dei suoni elettro dark del duo locale FABBRICA 82, sul main stage i DESTROYER 666 raccolgono il testimone di band più estrema della giornata, con un delirio di thrash-black dal sapore old-school suonato con una precisione micidiale.
Tra i presenti conosciamo un gruppo di fan venuti addirittura dal Sudamerica per vedere la band australiana che ripaga con uno show senza respiro, in cui poche sono le pause concesse. Schegge impazzite come “Satanic Speed Metal”, “Wildfire” o “I Am the Wargod” innescano un moshpit continuo e quasi non si ci accorge del tempo trascorso. Una velocissima e pesantissima cover di “Iron Fist” dei Motorhead mette la parola fine ad uno dei concerti più divertenti finora, grazie anche ad un’attitudine che mostra il dito medio alle mode e ai trend.
Si fa sera ed è tempo di cambiare completamente registro con i siberiani NYTT LAND, anche loro di ritorno qua al Midgardsblot. Il loro spettacolo è un lungo ed ipnotico rituale sciamanico fatto di influenze tribali, canti tradizionali e un’immagine inquietante e minacciosa. Una musica non per tutti, spesso claustrofobica nella sua cripticità ma incredibilmente affascinante e perfetto nel contesto di un festival come questo. Un progetto che finalmente si discosta dal classico filone nordico e brilla di luce propria, portando in giro un pezzo di cultura rimasta spesso isolata e che merita di essere riscoperta.
Arriviamo quindi al terzo headliner del festival che, nonostante non sia granchè conosciuta al di fuori dei confini norvegesi, vanta un seguito enorme in terra natia: i presenti accorsi per i SEIGMEN hanno infatti riempito infatti ogni spazio a disposizione, per quello che è il loro secondo concerto estivo dopo quello di un paio di mesi fa al Tons Of Rock.
La band è in piena fase creativa dopo un periodo di inattività di oltre cinque anni dovuto a problemi di salute del frontman Alex Møklebust, e ha in programma la pubblicazione della seconda parte di una trilogia di album che verrà completata ad inizio del prossimo anno.
I Seigmen sono una realtà assolutamente da riscoprire, ed il loro rock gotico dalle atmosfere grigie e cupe, a metà tra i Rammstein meno industrial e gli Einsturzende Neubauten ha un grande impatto dal vivo, grazie anche alla grande presenza scenica del cantante Alex (nonostante un recente incidente che lo costringe a presentarsi con una gamba ingessata) e alla bravura del chitarrista Marius Roth, che con la sua voce è protagonista di momenti fortemente lirici, come la liturgica “Agnus Dei”.
Come sempre, grande responso dei presenti che accompagnano classici della discografia come “Ohm” (coverizzata anche dagli svedesi Shining) o la tristissima “Metropolis” fino al finale con la cupa cover di “Hjernen Er Alene”, classico della band rock norvegese De Lillos.
Un concerto per certi versi intimo e fortemente emotivo ma che conclude in maniera egregia il venerdì.
SABATO 17 AGOSTO
Dopo una mattinata passata a visitare il museo del Midgard Vikingsenteret, arriviamo puntuali per assistere ai divertenti TEXAS CORNFLAKES MASSACRE, band tedesca che mette in scena un ora di gag a suon di metalcore dalle tinte deathcore e un sacco di cornflakes lanciati sul pubblico. La natura estremamente caricaturale del gruppo e un’immagine divertente riesce a sopperire ad una proposta musicale non originalissima ma comunque ben suonata e godibile.
Mentre c’è fermento sul piccolo palco Kaupangr dove si alternano cantastorie e accompagnati da strumenti folk tipici della culutra scandinava, l’atmosfera si fa fiabesca e bucolica con i LUMSK che portano il loro rock progressivo misto a folk tra il verde di Borre in un contesto a loro perfettamente calzante. Raramente si toccano punte di metal vero e proprio, ma la bravura di tutta la band nel bilanciare la delicatezza della musica tradizionale norvegese a strutture progressive, accompagnata dalla splendida voce della cantante Mari Klingen, non può che affascinare anche chi non è un fan.
Ritornano, questa volta tra le sale della Gildenhallen, i NYTT LAND con un’esibizione totalmente diversa che consiste nella narrazione di leggende della cultura siberiana alternate a momenti musicali di sola voce e percussioni: uno spettacolo intimo e per certi versi inquietante, coreografato benissimo da Anatoly e Natalia Pakhalenko, coppia anche nella vita privata.
Non è ancora tempo di metal, ma si continua su lidi (semi)acustici con LINDY-FAY HELLA & DEI FARNE. La cantante, giù membro dei Wardruna, ritorna col suo progetto solista fatto di dark folk, molta elettronica e un pizzico di rock, per un originale mix che, nonostante una inevitabile vicinanza alla band madre, riesce ad avere personalità, trascinata anche dalla ammaliante bravura di Lindy, sia su palco che dietro al microfono.
Torniamo sul palco principale mentre le prime note degli UNLEASHED riportano il festival su lidi metal estremi, mantenendo comunque il filo conduttore delle tematiche pagane.
La band di Johnny Hedlund, grazie anche ad una line-up che ha visto pochissimi cambiamenti, vive di una costanza invidiabile e una carriera costellata da pochissimi passi falsi. Il tutto è dimostrato da una esibizione massiccia e senza sbavature (a parte un problema tecnico ad una delle chitarre), nella più pura tradizione death svedese vecchia scuola.
Tanti i classici della loro discografia proposti, tra cui “Midvinterblot”, “Into Glory Ride” e “The Longships Are Coming”, in un alternarsi di brani veloci e altri più cadenzati. La violentissima “Before The Creation Of Time” conclude in maniera perfetta un live tra i migliori dell’evento.
Il calendario della giornata inizia a farsi fitto e decidiamo di seguire un paio di brani dei LEADFOOT, progetto blues americano trapiantato in terra scandinava, per poi dirigerci nuovamente verso il Valhalla Stage per i BEL CANTO, storica band norvegese nata a inizio anni Ottanta sulla scia della scena internazionale dream pop e che raramente si esibisce dal vivo.
Fondata, tra gli altri, da Geir Jenssen, diventato un gigante della musica elettronica e ambient sotto il nome di Biosphere, il gruppo di Tromsø rappresenta una delle presenza più attese per un sacco di norvegesi (tra cui Ihshan degli Emperor) che sono cresciuti con la musica dei Bel Canto e visto il risultato dello show non è fdifficile comprenderne il motivo.
La loro è una musica le cui radici sono profondamente piantate nella tradizione e nelle atmosfere dei fiordi, ma che si destreggia tra delicatezze pop, sognanti momenti quasi shoegaze e una sofisticata anima elettronica che li ha resi i capostipiti della scena che ha aperto le porte a band come Röyksopp. Anneli Drecker dirige il tutto con la sua voce fragile e delicata, e i momenti in cui il pubblico si fa sentire maggiormente sono “Bombay”, “Shimmering, Warm & Bright” e la intensa “Unicorn”. Toccante il synthpop di “Erlkönig”, da una poesia di Johann Wolfgang von Goethe, tratta dall’ultimo bellissimo “Radiant Green”.
Una band unica, capace di trasportare i presenti in un universo tutto suo senza barriere di generi e preferenze.
Si torna sui binari del folk pagano con gli ELDRIMM sul secondo palco ma i pesanti suoni degli DWAAL ci attirano verso la Gildenhallen. Un progetto che merita di essere scoperto, autore di un album stupendo come il recente “Never Enough” (nominato anche allo Spellemanpris, il grammy nazionale) che fonde lo sludge al post-metal fondendolo con tastiere progressive.
Nulla da dire per quello che riguarda la band dal vivo, il suono è quello di un macigno che si schianta sul pubblico, senza cali di sorta e dotato di una grandissima intensità.
Si fanno le nove e mezza passate e sul palco del Valhalla Stage si staglia imponente l’inconfobdibile “Icon E”, che segna il momento di quella che è la band più attesa dai più: gli EMPEROR.
Ihsahn, Samoth e Trym, affiancati da Secthdamon alla seconda chitarra e Jørgen Munkeby (dagli Shining norvegesi) alle tastiere, rappresentano ad oggi un tributo a quello che sono stati e a ciò che hanno contribuito a creare in ambito estremo, e lo fanno con un distacco estetico che ne potrebbe potenzialmente inficiare l’esperienza. Tutto ciò però non accade, primariamente perchè la loro musica rimane qualcosa di immortale e, non meno importante, grazie ad una professionalità che li rende inattaccabili.
Con un’evoluzione artistica che lo ha visto esplorare lidi ben al di fuori del black metal sinfonico, Ihsahn non ha il benché minimo interesse a calarsi nel personaggio che fu oltre vent’anni fa e, nonostante un’immagine che lo avvicina più al Robert Fripp d’annata che non ad un musicista metal e una chitarra dal curioso colore viola pallido, quando attacca “Into The Infinity Of Thoughts” tutte questi pensieri spariscono e quello che rimane è il vortice gelido di una musica che non teme il passare degli anni. Così come decenni addietro le loro canzoni – al netto di una pulizia tecnica che dimostra tutta l’esperienza accumulata – continuano a fare male quando devono, emozionano e riportano numerosi ricordi alla mente dei presenti.
Quasi un’ora e mezzo di quello che è un excursus in ordine cronologico dagli inizi fino al sempre troppo sottovalutato “Prometheus”, con picchi assoluti come “With Strength I Burn”, la claustrofobica “In the Wordless Chamber” e “Thus Spake the Nightspirit”, cantata da tutti. Obbligatorie “I Am the Black Wizards” e “Inno A Satana”, mentre è con la violenza di “Ye Entrancemperium” che gli imperatori si congedano a noi regalandoci uno dei concerti più belli della storia del Midgardsblot.
Setlist Emperor:
Into the Infinity of Thoughts
The Burning Shadows of Silence
Thus Spake the Nightspirit
Ensorcelled by Khaos
The Loss and Curse of Reverence
With Strength I Burn
Curse You All Men!
I Am the Black Wizards
Inno A Satana
In the Wordless Chamber
Ye Entrancemperium
Mentre la notte notte continua con una serie di dj set noi torniamo stanchi ma soddisfatti per un’ultima volta alla nostra tenda, coscienti che la natura e l’atmosfera rilassata di questi quattro giorni ci mancheranno.
Il percorso degli ultimi anni di un festival come il Midgardsblot che sembra muoversi verso una dimensione sempre più eterogenea dimostra una apertura mentale invidiabile e da cui, forse, si dovrebbe imparare qualcosa anche e soprattutto vedendo il responso entusiasta di un pubblico sempre più numeroso.