Live report a cura di Alessandro ‘Bracco’ Corno e Matteo ‘Robbaman’ Cereda
Foto di Bianca Saviane
La domanda che si sono posti tutti è: ma che cavolo c’entra il “Milano” Thrash Fest in provincia di Pavia? La risposta è chiaramente da ricercare sia nella crescente scarsità di locali in zona milano adatti a eventi del genere, che nella volontà di On Dead Sound ed Eagle Booking di mantenere la continuità di un nome rappresentativo di un evento ben riuscito e destinato a ripetersi con cadenza annuale. In effetti dopo la prima edizione di “rodaggio” positiva in termini di affluenza, la seconda edizione dello scorso 30 maggio al Thunder Road di Codevilla è andata anche meglio delle più rosee previsioni nonostante i 22 euro di biglietto. Con una bill composta quasi interamente da band underground della scena thrash norditaliana, più una vera e propria icona del metal europeo che risponde al nome di Sodom, il Milano Thrash Fest 2009 ha richiamato nuove e vecchie generazioni da tutta Italia. Un vero e proprio ritrovo di veri thrasher in jeans, toppe e magliette scolorite, armati di alcolici vari e con tanta voglia di divertirsi. La gente era quella giusta, l’ambiente quello giusto ed è nata una vera e propria festa all’insegna del thrash metal più incontaminato.
ART OF SILENCE
Agli Art Of Silence spetta l’ingrato compito di aprire le danze del Milano Thrash Fest 2009. Sono infatti trascorse le sette da pochi minuti e il locale è ancora poco affollato, tuttavia la band Milanese fresca del debutto discografico autoprodotto "When Nature Storm", non si perde d’animo e sin dalle prime note mostra una carica degna di una platea più numerosa. Il gruppo lombardo mostra fra l’altro caratteristiche sonore differenti rispetto agli standard della serata, proponendo su base thrash metal influenze che spaziano dal death sino ad aperture melodiche di stampo classic. Il singer Hurricane Master mostra una pregevole varietà di registri spaziando dallo scream al growl, non disdegnando soluzioni in pulito che valorizzano le puntate in territori epic. La scaletta del concerto prevede l’esecuzione di sole cinque canzoni ed ovviamente è incentrata sulla freschissima pubblicazione, dalla quale apprezziamo le variegate "Illusion", "Glorious Death" e "Psychosis For Domination". Chiusura affidata, per la gioia di un pubblico con l’andar del concerto sempre più numeroso, al classico degli Slayer "Angel Of Death", in grado di creare il primo sanguinoso scompiglio sotto il palco.
BLAZE OF HATE
ENDLESS PAIN
Gli Endless Pain sono degli abitudinari dei concerti targati On Dead Sound e in effetti li avevamo visti anche allo scorso Milano Thrash Fest e all’Headbanger’s Party. Per noi questa volta però l’interesse è soprattutto nel verificare la tenuta della band dopo l’ingresso in formazione del nuovo cantante Hate, dall’approccio più death-grind del precedente Antonello Lorandi. Il gruppo bresciano attacca a tutta velocità con l’irruenta "Poison Into The Blood" e si nota da subito il diverso taglio dato ai brani dall’attuale singer. Se la base strumentale, fatta di un thrash metal veloce di scuola primi Sodom, è infatti sempre quella, Hate rende il sound decisamente più estremo, lasciando inizialmente un tantino spiazzati i thrasher in platea. Una dietro l’altra, la band sfodera le sue armi con una serie di canzoni estratte dall’ultimo non molto esaltante "De-generation War". La violenta "Smell Of Death", "Religion Illusion" o "Mark The Innocent", episodi di thrash compatto e senza compromessi che però stranamente non smuovono più di tanto la platea, piuttosto attenta alla prestazione del gruppo e del cantante e un po’meno agitata che durante altre esibizioni. La band chiude il suo breve set con l’accoppiata "Buried Alive" – "Sindon" dove i soli fulminei e le ritmiche serrate della coppia di chitarre si lasciano apprezzare da un pubblico che saluta il quintetto con un caloroso applauso. Anche se il nuovo approccio vocale non ha convinto in tutti i frangenti, risultando a volte un po’ poco adatto al genere proposto, gli Endless Pain hanno dato ancora una volta prova di essere più efficaci e incisivi in sede live che in studio.
DEATH MECHANISM
IRREVERENCE
Come potevano mancare al Milano Thrash Fest gli Irreverence, la band capitanata da la cantante chitarrista Riccardo Paioro, notoriamente uno degli organizzatori dell’evento? Ed eccoli qua carichi come mitragliatrici e pronti a scatenare il macello di fronte al palco con il loro thrash primordiale tutto riff e sudore. Il loro sound, figlio degli insegnamenti della band per la quale hanno l’onore di fare da spalla questa sera, non ci mette più di tre note a coinvolgere i presenti e pezzi come "War Was Won" e la successiva "Elements Of Wrath" agitano da subito la platea. Di fronte al pubblico dei Sodom gli Irreverence sono infatti nel loro habitat naturale e lo si vede anche dal sorriso costantemente stampato sul viso di Ricky, che non perde occasione per ringraziare tutti i ragazzi accorsi. Il caldo comincia a farsi sentire in maniera pesante ma loro tirano dritto, "stranamente" meno grezzi, un po’ più precisi e sobri del solito. Forse dobbiamo ringraziare la Polizia per un paio di sequestri di patente e in effetti i "neoappiedati" Davide Firinu, letteralmente indiavolato dietro al drumkit, e il bassista Mauro Passiatore sostengono alla grande il lavoro delle due chitarre rendendo ancora efficaci brani estremamente diretti come "In The Chaos" o "3092". Qui ad ogni modo la tecnica o la classe sono decisamente secondarie e non si sta certo a gurardare all’errore, quello che conta è cercare di scatenare più pogo possibile e in effetti la missione può dirsi compiuta. I ragazzi nelle prime file si danno infatti parecchio da fare in questo senso e non fanno mancare i loro applausi nemmeno per la nuova "Hands Of Fate". Il culmine arriva in coda allo show quando, dopo le consuete "Divine Hideout" e "The Last Chapter", Ricky chiama sul palco nientemeno che Tom Angelripper dei Sodom e attacca con l’alcolica "Es Gibt Kein Bier Auf Hawaii", "capolavoro" proprio di Tom e dei suoi Onkel Tom. Il delirio è totale e a fine pezzo resta giusto il fiato per raggiungere l’uscita in cerca di una boccata d’aria in attesa del massacro finale.
SODOM
E’ da poco finito lo show degli Irreverence e ci aggiriamo per il backstage del locale quando notiamo Tom Angelripper che non sta fermo un secondo e Bobby che manegia nervosamente le sue bacchette. E’ proprio così, anche loro dopo decenni di album e concerti, sentono la tensione del pre-show e noi da perfetti rompiscatole non perdiamo l’occasione per scambiare quattro chiacchiere e per regalare loro una nostra maglia, puntualmente e gentilmente indossata all’istante proprio da Tom. Torniamo quindi al banco del bar per l’ultimo rifornimento alcolico in vista del rush finale e constatiamo come la temperatura all’interno del Tempo Rock sia ormai sopra i livelli di guardia, ovviamente per via della folla che ha ormai riempito il locale. Giusto il tempo di raggiungere il centro di quella che da lì a poco diventerà una vera e propria bolgia, che i Sodom irrompono con "Napalm In The Morning". Un ottimo inizio su tempi medi per riscaldare i motori in vista di "Outbreak Of Evil" e la mitica "Fuck The Police", dove la band inizia a fare sul serio, scaricando riff su riff addosso ai malcapitati presenti. Tom è in discreta forma e le due spalle Bernemann e Bobby non sono da meno, anche se non ci risparmiano qualche imprecisione di troppo. L’audio non è impeccabile ma "Wachturm", "The Saw Is The Law", "Sodomized" e la cover dei Motorhead "Iron Fist" si susseguono senza troppe pause, eseguiti con un’energia in corpo che darebbe filo da torcere a qualsiasi band di ventenni. Il pubblico non può che apprezzare e la tensione cala un solo quando i tre tedeschi ripropongono i brani più recenti come "Blood On Your Lips" e "City Of God". Attesissime invece "Witching Metal" e "Agent Orange" dove si fa realmente fatica a stare in piedi a bordo palco. "Sodomy And Lust", "M-16", le selvagge "Blasphemer" e "Ausgebombt" passano come treni a tutta velocità e ci portano verso il finale, dove come da manuale viene eseguita la sempre acclamatissima "Bombenhagel". Una degna chiusura di un concerto dove l’adrenalina e il sudore sono scorsi a fiumi e che ha visto uscire ancora una volta a testa alta tre "ragazzi" che non saranno mostri di tecnica ma hanno sempre e comunque attitudine da vendere. E in contesti come il Milano Thrash Fest è quello che conta.