18/04/2005 - Millencolin + Lawrence’s Arms + Streetdogs @ C-side - Milano

Pubblicato il 25/05/2005 da
A cura di Fabio “Ray” Angeleri

Lanciati nella massacrante maratona di promozione del loro nuovoalbum “Kingwood”, che li sta portando attraverso tre continenti,toccano anche l’Italia i punkster svedesi più americani che ci siano:al C-Side di Milano per la loro unica data italiana, organizzata da AF Concerti, ecco gli esplosiviMillencolin!

MILLENCOLIN

Una sorta di maledizione meteorologica sembracolpirmi con tediosa regolarità ogni volta che devo recarmi “perlavoro” a seguire un concerto per Metalilalia.com, e anche questa voltanon si scappa: dopo giorni torridi che preannunciavano un’estate ormaigià quasi giunta (“…non c’è più la mezza stagione!…”), la sera del19 aprile, il cielo è di nuovo nero e congestionato di nuvolacce, cheper tutto giorno hanno martellato Milano con una serie di acquazzonibrevi ma a dir poco fastidiosi. Quindi, l’arrivo del vostro eroicoredattore alla biglietteria avviene puntualmente in ritardo. Infatti,una volta entrato nel locale, da poco trasformatosi in una discotecaproto-fighetta dopo essere passato in gestione alle sapienti mani didue noti calciatori, faccio in tempo ad accorgermi che lo show dellaprima delle due band di supporto ai Millencolin, i pittoreschiStreetdogs, è praticamente già giunto al termine, essendo probabilmenteiniziato con una puntualità inaspettata. Mi dò una rapida occhiataintorno, e mi accorgo con un certo sgomento che io e l’amico che miaccompagna sicuramente alziamo l’età media degli spettatori delconcerto di almeno 8-9 anni. Ma almeno non vomitiamo la mezza bottigliadi birra (magari pure analcolica) tracannata in tutta fretta, comevediamo fare, accasciato su un divanetto kitch, da un ragazzino checronologicamente parlando potrebbe essere mio figlio. Poco male, perchécomunque i tre componenti della seconda band, i Lawrence’s Arms,guadagnano in fretta il loro posto sul piccolo e scarno palco delC-Side, sormontato da una colossale bandiera con la scritta-logo delnuovo album degli headliner. Lo show del trio americano è rapido, seccoe scattante, così come il loro stile: un punk semplice e volutamentegrezzo venato in alcuni brani da sfumature di rock puro e persino daalcune armonie di chitarra country. I tre sgallettati non annoianoaffatto, grazie anche alle due belle voci di bassista e chitarrista chesi alternano al microfono in parti più o meno uguali della durata delbreve concertino. Dopo una mezz’oretta abbondante, durante la quale itre punkster americani riescono comunque a catturare l’interesse delgiovanissimo pubblico (il pogo abbonda), la performance dei Lawrence’sArms si conclude con un soddisfacente e sincero applauso da parte di unpubblico all’inizio sospettoso, ma poi conquistato. Non resta cheaspettare le star svedesi, che purtroppo si fanno attendere per un belpezzo: i fonici (e non solo loro, ndA) sembrano piuttosto insoddisfattidella resa sonora dei due precedenti show, e fanno di tutto perapportare migliorie alla strumentazione nel più breve tempo possibile,in modo che almeno gli headliner possano godere di prestazioniacustiche decenti. La folla di ragazzetti punk rumoreggia, fischia edintona biascicanti pezzi dei loro idoli, che finalemnte appaiono sulpalchetto, facendo un ingresso sobrio e sbrigativo. Un accordo dichitarra semplice e pulito, e subito il frastuono della folla vocianteè ammutolito. Si parte con un brano del nuovo album, ed è facilecapirlo dal fatto che solo un’esigua percentuale del saltellantepubblico ne conosce a memoria le parole. Si capisce subito che iMillencolin sono bene a loro agio nella dimensione live, e che questogruppetto solido e ottimamente affiatato ha parecchio da insegnare allebanduccie punk tutte casino e niente arrosto. Il batterista è unamitragliatrice umana, i due chitarristi hanno mano ferma, discretainventiva e capacità di improvvisazione; Nikola, il cantante bassistagiganteggia, immobile, o quasi, in mezzo al palco, sfoggiandoun’inedita testa rapata. La sua bella voce, calda e pastosa, dal vivosuona anche meglio che in studio, e non ha praticamente cedimenti;anche se c’è da dire che la “svedesità” del quintetto appare evidenteproprio dal fatto che sono molto statici sul palchetto, rispetto adaltre band punk classiche, e non solo di ragazzetti, ma anche rispettoa concerti di nonni come i Bad Religion. Poco male, perché quello chemanca in spettacolarità ed azione, i Millencolin lo mettono tutto inbuona musica, ben suonata e senza interruzioni: nemmeno una pausa traun brano e l’altro, solo le solite occasionali paroline in italianorivolte allo stonato pubblico. La selezione dei brani, iniziata,prevedibilmente, con il singolo del nuovo album, “Ray”, proseguesecondo uno schema abbastanza costante e preciso: una sorta disaliscendi cronologico che li vede eseguire brani di album sempre piùvecchi, per poi risalire gradualmente una volta toccati i brani degliesordi, nei quali il loro punk era quanto di più puro, semplice escarno; e poi di nuovo a risalire, scalando lungo l’evoluzione melodicae la maturazione strumentale e vocale di questa band che ha saputoscavarsi la sua nicchia in una scena nella quale è difficile affiorare,soprattutto se non si è riginari degli Stati Uniti. I singoli dei varialbum vengono riproposti praticamente tutti, da “The Story of My Life”a “Use Your Nose”, da “Man Or Mouse” a “Skauch”, insieme anche a nonpoche inattese chicche, tutte ottimamente e (fin troppo) fedelmenteeseguite, e tutte apprezzate con ardore dal pubblico, con un pogo dalmovimento costante; per fortuna con lo svolgersi del concerto e colsurriscaldarsi degli animi la timidezza dei fan sui pezzi nuovi diventasempre minore. Persiste invece la relativa staticità dei componentidella band sul palco: Nikola resta una roccia piantata in mezzo allostage, fisso sul microfono, continua a dimostrare comunque una maestriacanora veramente notevole. I due chitarristi riescono a gigioneggiaredi più col pubblico, saltellando almeno un po’ qua e la e scambiandosidi posto un paio di volte; nessuno dei Millencolin si lancia in stagediving (scontentando non poco il giovanissimo pubblico), e anche lasalita di fan sul palco per il consueto tuffo è abbastanza scoraggiatadagli attenti omaccioni della security. Il pogo e la circle pit,invece, per fortuna funzionano bene, con un bel ricambio continuo diragazzetti che vanno a farsi massacrare, e tornano dopo un paio dicanzoni a riprendere fiato (non ci sono più i punk di una volta…ndA). La stragrande maggioranza dei pezzi proposti dal quartettosvedese sembra provenire soprattutto dall’album di maggior successo,quello che li ha fatti conoscere al cosiddetto grande pubblico: quelcapolavoro che fu “Pennybridge Pioneers”; la seconda canzone, dopo ilgià citato singolo del nuovo album è infatti la bellissima e scanzonata”Fox” (una canzone dedicata con amore ad uno scooter…), che faesplodere la massa ribollente di pubblico, e non mancano poi “NoCigar”, “Material Boy”, “Pepper” e la splendida “Penguins &Polarbears”, saggiamente piazzata sul finire di concerto; non vieneproposta, invece, piuttosto misteriosamente, e nonostante il solito,triste rituale del ciao-ce-ne-andiamo,no-scherzavamo-torniamo-a-fare-il-bis, ripetuto ben due volte (sic!),l’immancabile e arcinoto lentone “The Ballad”; questa imprevedibilescelta spiazza e delude leggermente, sul finale, l’eterogeneo pubblicodi ragazzetti e vecchietti nostalgici, senza tuttavia nulla togliere adun concerto che per tutta la sua considerevole durata, oltre l’ora emezza, ha più che mantenuto le sue promesse. Ottima piattaforma dilancio, quindi, per “Kingwood”, il nuovo album dei Millencolin, bandcapace di mantenere costante ispirazione e notevole originalità, nonchéimpeccabile bravura live, nel corso di una carriera longeva esicuramente destinata ad ulteriori soddisfazioni e successi futuri.

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