MIODI 2011
05/07/2011 – Circolo Magnolia – Segrate (MI)
A cura di Marco Gallarati
Fotografie di Emanuela Giurano
Schiacciato in un’immane morsa, pressato da Gods Of Metal, Sonisphere e posizionato alla vigilia del Big Four, il Miodi del 2011 poteva essere snobbato da molti. Ma così non è stato: la terza edizione dell’evento messo in piedi al Circolo Magnolia di Segrate, avamposto dell’Idroscalo di Milano, dai ragazzi di SoloMacello e Rockit ha visto invece riempirsi alquanto la location di numerosi amanti dell’underground ed altrettanto numerosi addetti ai lavori e standisti vari. E diciamolo senza problemi: lontani dalle grandi folle, dalle grandi attese e dall’enorme battage pubblicitario, fa proprio piacere ritrovarsi una volta, a modico prezzo e devastati da plotoni assatanati di zanzare, in un’atmosfera più familiare, intima e marcia rispetto al recente solito. Tre palchi come l’anno scorso, per il Miodi 2011, con il Main Stage all’aperto, l’Into The Void ‘Rock Hard’ Stage sotto il tendone all’ingresso della venue ed il minuscolo Messicano Stage nella bolgia calorifera del locale interno. Passiamo al bill, ricco e di valore, ovviamente restando in campo underground e alternativo: sludge metal, post-hardcore, gruppi strumentali, minestroni musicali, avanguardie psichedeliche, lisergie varie. Ce n’è per tutti i gusti, stolidamente e chiaramente anti-commerciali e a tratti pure semplicemente do-it-yourself. Spiace non aver visto i primi gruppi impegnati al Miodi, ma tempistiche di lavoro ci hanno fatto arrivare in loco appena in tempo per lo show dei Rise Above Dead, con buona pace, quindi, dei precedenti Civil Civic, Nashwuah, Saade, Derma e Dogs For Breakfast e dei contemporanei Devoggol. Per quanto riguarda il resto della serata, abbiamo cercato di visionare tutto il transitato, ma con tre palchi a disposizione e un solo redattore roteante, l’impresa non è stata delle più semplici. Ecco comunque cosa abbiamo spremuto fuori dal Miodi 2011, kermesse che con il suo stile e il suo target certo si conferma un’ottima occasione per ascoltare buona e diversa musica!
RISE ABOVE DEAD
Come appena scritto, entriamo al Magnolia, scrutiamo un secondo la disposizione dei palchi e ci rendiamo conto che i primi a suonare sono i milanesi Rise Above Dead, calcanti le assi dell’intimissimo Messicano Stage, già piuttosto simile ad una ciotola fumante di chili con carne piuttosto che ad un parterre underground. I ragazzi hanno suoni un po’ deficitari e la voce non emerge del tutto sugli strumenti, ma la situazione non è drammatica e va migliorando durante lo show, per cui l’hardcore dilatato e disperato della band, spesso sforante in una sorta di doom psichedelico e straniante, non fa fatica a farsi strada fra gli astanti, che dimostrano di apprezzare abbastanza l’atmosfera caustica e negativa emanata dal quintetto di casa. Bella botta.
HUNGRY LIKE RAKOVITZ
Rapido giro per le bancarelle di CD, merchandise e mercanzia varia, dopodiché si rientra al caldo e alla mercé dei mosquitos, incuriositi dalla buona nomea degli Hungry Like Rakovitz, band originaria di Bergamo che propone un grindcore bastardissimo e incazzato, spruzzato di thrash e vicino anche per certi versi alla scena black norvegese. Ci vogliono davvero pochissimi secondi per far maturare la violenza insita al gruppo, condotta per mano dalle grida, dai gorgoglii e dal dinamismo di Rubens, vocalist che interpreta benissimo il genere e l’attitudine del combo, non risparmiandosi crowd-surfing e giretti a piedi giù dal microbico palco. L’audience risponde con pogo forsennato per tutta la mezzoretta d’esibizione, chiusa con una audace richiesta di bis severamente non concessa dai fonici. Per quello che abbiamo avuto modo di vedere, esclusi gli Eyehategod, gli HLR (assieme ai seguenti The Secret) hanno spaccato e coinvolto più degli altri gruppi.
MIDRYASI / RUSSIAN CIRCLES (pillole)
La prima importante sovrapposizione avviene in concomitanza con l’apertura del Main Stage, dove questa sera sono in programma solo tre band. Prima di vederci un po’ i tanto apprezzati Russian Circles, però, facciamo una capatina nel tendone all’ingresso, dove si stanno esibendo i Midryasi, stoner/doom metal band alquanto lisergica, prog-oriented e pregna di anarchia da palco. Riusciamo a vedere solo due pezzi prima della chiusura della setlist, assieme ad uno sparuto nucleo di spettatori: non ci hanno molto impressionato, i varesotti, complici dei suoni approssimativi e la prestazione vocale di Convulsion un po’ troppo sopra le righe. Quattro passi veloci, dunque, ed eccoci al cospetto del palco principale, dove i tre Russian Circles stanno dando sfoggio del loro carisma e della loro abilità strumentale, concentrata in prevalenza sul drummer Dave Turncrantz. Spettacolare l’esecuzione di “Death Rides A Horse” e, sebbene il gruppo stia in silenzio e si dimostri quasi assente sul palco, i ragazzi riescono facilmente a tenere incollato un buon pubblico alla loro esibizione. I suoni bassi e un po’ ovattati – prezzo da pagare per chiunque si esibisca sul Main Stage del Magnolia – non sono stati un grosso problema per il combo strumentale, che ha davvero ben impressionato.
VALERIAN SWING
Arriviamo velocemente alla band-sorpresa della serata, i Valerian Swing. Autori di due full-length assolutamente anti-convenzionali, “Draining Planning For Ears Reflectors” e “A Sailor Lost Around The Earth”, il trio di musicisti di Correggio riversa sulla plateina del Messicano tutta la propria esuberanza strumentale e la sua enfasi compositiva, facendosi tanto apprezzare anche da chi non li conosceva. Ormai quasi del tutto strumentale, la proposta del combo emiliano è un continuo sobbalzare, contorcersi e avvilupparsi su se stessa tra math-core, digressioni Mastodoniane, progressive attitude e catatoniche parti post-core, per un ascolto d’insieme veramente intenso e corroborante. Incredibilmente bravo il drummer David, una vera piovra umana, mentre Alan al basso e Steve alla chitarra (e alle sporadiche voci) interpretano umoralmente i brani, rimbalzando impazziti durante le sezioni nevrotiche e ipnotizzandosi immobili nell’atmosfera dei lunghi arpeggi depressi. Spettacolari. E poi magari ci si gasa per delle robe immonde che arrivano da chissà dove. Ascoltateli!
BORIS
Derby giapponese alle porte: Boris contro Church Of Misery. Stavolta decidiamo di starcene tranquilli e fermi un attimo e optiamo per la performance sul Main Stage del primo dei due gruppi citati. D’altronde i Boris sono ormai un pezzo di storia ed un’istituzione della musica alternativa e senza barriere, per cui è bene dar loro la giusta importanza. Chi scrive non ne conosce molto le gesta, ma si intuisce dall’attesa pressante del pubblico e dal suo numero che i nipponici potranno fare molti prigionieri. E’ un bene che, evidentemente stimolati dal tiro metal e hardcore del bill del Miodi 2011, Atsuo, Takeshi e Wata abbiano scelto di proporre del materiale piuttosto pesante, senza praticamente mai lasciarsi andare alle derive drone e alla psichedelia comunque in auge nel loro repertorio, fatta esclusione per la chiusura pacata di spettacolo. Anche i Boris sono stati alquanto penalizzati dal limitato numero di decibel raggiungibili dal Main Stage del Magnolia – non certo per deficit tecnici, sia chiaro – e l’ovattazione del sound è stata a tratti deprimente. Però il gruppo ha veramente personalità da vendere e se pensiamo che è da quasi vent’anni che fa quello che vuole con la sua arte…be’, c’è da togliersi solo il cappello.
THE SECRET (pillole)
Ci ritrasferiamo senza sosta sotto il Messicano Stage, dove già una bella calca sta attendendo l’inizio della performance dei triestini The Secret, ultimo gruppo a calcare le assi di questo palco. Il caldo ha raggiunto livelli pericolosi, la pressione della massa lo aumenta e gli stormi di zanzare fotoniche danno il colpo di grazia. Anzi no, precisiamo: il colpo di grazia in effetti ce lo danno gli estenuanti cinque minuti distorti di “Cross Builder” che, uniti alle condizioni pietose della sala, ci fanno quasi collassare. Ci permettiamo di vedere il pogo devastante decollato con “Death Alive” – una mazzata totale tra i denti, sebbene la voce fosse rimasta sulla ruota del luna park dell’Idroscalo – e poi ce la diamo a gambe dal forno crematorio per cercare sollievo all’aria aperta e attendere con calma i Kylesa e gli Eyehategod. Ci spiace, ragazzi, vi abbiamo visto a Conegliano Veneto poco tempo fa e in buona forma: questa volta la lotta per la sopravvivenza ha avuto la meglio.
KYLESA
Davvero arduo scegliere quale dei due co-headliner vedere all’opera in conclusione di serata: verissimo che gli Eyehategod sono uno fra i tre-quattro nomi seminali dello sludge e che non è che proprio passino dall’Italia ogni mese; altrettanto vero che i Kylesa sono attualmente una delle formazioni che più intrigano il sottoscritto, purtroppo per voi. E quindi, per solvere il busillis, decidiamo equamente di goderci i primi pezzi della formazione di Phillip Cope e Laura Pleasants per poi andare a seguire la parte finale della performance degli sludge-gods. E dunque eccoci allo show dei Kylesa, partito letteralmente in modo disastroso: dopo un soundcheck estenuante ed infinito, durante il quale i tecnici di palco le hanno tentate tutte per far innervosire la band – peraltro già in non sobrissime condizioni – i ragazzi di Savannah attaccano con una buona “Unknown Awareness” per lanciarsi subito dopo nella grandiosa “Only One”: non appena avrebbe dovuto partire il giro melodico della chitarra della Pleasants, ecco che proprio alla chitarrista salta qualcosa, zittendola completamente; solo dopo una sequela biblica di smadonnamenti, gesticolazioni varie e tutto il pezzo in questione suonato strumentale, la Pleasants riesce a tornare al suo posto con un incazzato ‘sorry for this bullshit’. E da qui in avanti, per fortuna, evidentemente stimolati dalla malasorte, i Kylesa mettono in fila prodigiosamente un brano migliore dell’altro, facendosi perdonare l’inizio drammatico e anche la prestazione scialbina di cinque mesi fa all’Apartamento Hoffman. Suoni potenti, voci sgraziate come al solito ma in grado di trascinare, strutture ritmiche ai limiti del tribalismo e le stavolta limitate escursioni psichedeliche, con l’uso moderato di tastiere e theremin. Da notare che la band ha cambiato posizione nell’approccio al palco, lasciando i due chitarristi-cantanti all’esterno e portando il bassista-tastierista Corey Barhorst al centro – prima infatti era Laura a fare la frontgirl. Comunque, ottima reazione del gruppo della Georgia ad una situazione di partenza quasi da nevrosi. E sì, in definitiva siamo rimasti fino alla fine e abbiamo pure pogato di bestia. Alé!
EYEHATEGOD (pillole)
Eyehategod, New Orleans, Louisiana. Ci rammarichiamo di non potervi descrivere, se non in pillole, lo show della band di Jimmy Bower e Mike Williams, ma una volta arrivati nei pressi del Main Stage, dopo i volumi abbondanti dei Kylesa, per la terza volta ci tocca ascoltare una sorta di suono zanzaroso e dimesso, che mal si sposa con la deflagrazione sonica solitamente appaiata al termine sludge metal. Ascoltiamo gli ultimi due brani e mezzo e non ci vuole molto a capire che comunque lo show è stato apprezzato e di buon livello, anche considerato l’alto tasso alcolico che traspare dai movimenti dei membri della band. Williams è un istrione e al suo fianco Bower ha tutto il carisma e la presenza che deriva da una carriera stellare, tra Corrosion Of Conformity, Crowbar, Superjoint Ritual e soprattutto Down e Eyehategod. Ci congediamo dal Magnolia, dunque, sudati marci e con le caviglie punteggiate da morsi di zanzara, ma soddisfatti di questa riappacificante serata a stretto contatto con i palchi e alla larga dalla massa metallara e rockettara più mainstream. W il Miodi!
CHURCH OF MISERY