Report a cura di Giacomo Slongo
Fotografie di Stefano Marotta
Dopo la data a Paderno Dugnano della scorsa estate, i Misery Index gettano nuovamente nello scompiglio i dintorni di Milano per promuovere l’apprezzato “Rituals of Power”, disponibile da qualche settimana su Season Of Mist. Ad accompagnarli nel raid, un manipolo di gruppi piuttosto eterogeneo, che spazia dal death-thrash degli australiani Truth Corroded al grindcore della nuova istituzione Wormrot, sconfinando nel blackened sludge dei sudisti The Lion’s Daughter, per una serata all’insegna delle bordate senza compromessi e che richiama in quel del Circolo Magnolia un piccolo ma infervorato manipolo di spettatori…
TRUTH CORRODED
Il ruolo di opener è sempre il più difficile, specie se inserito nel contesto di un bill solidissimo come quello imbastito dagli headliner per il loro comeback europeo. Ciò nonostante, il quintetto di Adelaide non si dimostra intimorito dall’onere e, forte di una carriera giunta con l’ultimo “Bloodlands” a quota sei full-length, si rende protagonista di una performance energica il giusto, precisa quanto basta, in cui death e thrash metal vengono impastati in un amalgama genuinamente brioso e scoppiettante. Musica nata per essere riproposta dal vivo (e che non a caso acquista almeno un paio di marce in più rispetto alla versione da studio), scandita dai riff ora muscolari, ora lievemente tecnici del duo Chris Walden-Trent Simpson e da una sezione ritmica sempre e comunque funzionale allo sviluppo quadrato della setlist. Un buon modo di iniziare la serata e presentare al pubblico i brani dell’ultima fatica edita da Unique Leader.
THE LION’S DAUGHTER
Riportare alla mente tante band senza ricordarne precisamente nessuna. Sembra essere questo l’intento dei The Lion’s Daughter, che dalle paludi del Missouri sbarcano sul palco del Circolo Magnolia con il loro carico di pesantezza e contaminazione viscerale. Una proposta che se già di per sé risulta intrigante su disco – miscelando il black con lo sludge, il rock sudista con le soundtrack possedute da synth dei B-movie anni Settanta/Ottanta – dal vivo palesa tutta la sua efficacia, complice il piglio con cui il terzetto si cimenta nell’interpretazione dei brani. Un’aggressione in bilico tra causticità e derive carpenteriane, che non risente neppure della débacle allo strumento del cantante/chitarrista Rick Giordano (costretto ad interrompere lo show per alcuni minuti in cerca di un cavo jack sostitutivo), restia a scadere nella ridondanza di altri epigoni di Inter Arma e Coffinworm in virtù di una spiccata sensibilità melodica e dell’effettiva capacità di combinare la rudezza del metal estremo con i ritmi simil-danzerecci di certa musica elettronica. Una parentesi di (relativa) distensione prima della carneficina auspicabile dai pezzi forti della serata.
WORMROT
Uno dei migliori gruppi apparsi sulla scena grind nell’ultimo decennio. A fronte dell’ennesima performance stupefacente, l’utilizzo di questa classica espressione risulta tutt’altro che inappropriata per gli Wormrot. Tre ragazzi dall’aria umile e pacifica che però, una volta sul palco, sanno trasformarsi nelle lame vorticose di un frullatore, miscelando vecchia e nuova scuola per un risultato finale a dir poco contagioso e parossistico. Difficile mettersi a scindere i vari brani (sparati come sempre a raffiche di tre o quattro per volta), inutile provare a fare resistenza: non appena la setlist prende il via, l’unica opzione contemplabile è lasciarsi investire dal flusso di sonorità nevrasteniche messo a punto dai Nostri, stando attenti a uscirne vivi e con le ossa intatte. L’aggressione è costante, spesso sul punto di deragliare nel caos, eppure metodica in ogni singolo sussulto, con le vocals schizzate del frontman Arif a legare le partiture in bilico tra Discordance Axis e primi Napalm Death, Assück e Insect Warfare della premiata ditta Rasyid (chitarra) e Vijesh (batteria). C’è tecnica, c’è impatto, ci sono vere e proprie canzoni e non soltanto un ammasso di riff e blast beat scagliati alla velocità della luce; un compendio di frenesia e ingegno ben rappresentato dalla doppietta “Eternal Sunshine of the Spotless Grind” / “The Final Insult”, le cui parentesi mosh seminano letteralmente il panico nel pit, tra calci volanti e pogo assassino.
MISERY INDEX
Jason Netherton, Adam Jarvis, Mark Kloeppel e Darin Morris. Quattro uomini, quattro musicisti, ma soprattutto quattro pilastri del circuito death-grind degli anni Duemila, accostabili (con le dovute proporzioni) a ciò che furono per un’intera generazione di ascoltatori i Terrorizer. Tornati con “Rituals of Power” ad altissimi livelli di presa e coinvolgimento, i Nostri esprimono fin dalle prime battute un affiatamento impensabile per gli altri gruppi della serata; una potenza e una coesione raggiungibili solo dopo migliaia di concerti in giro per il mondo, che consentono loro di fare piazza pulita del locale meneghino con uno sforzo apparentemente minimo. In molti si aspettavano una celebrazione del suddetto full-length, invece – oltre che per l’autorevolezza dell’interpretazione – il gruppo americano stupisce anche a livello di setlist, imbastendo una carrellata di tracce che ripercorre in lungo e in largo la discografia: si parte con i ritmi polemici di “The Great Depression” e si finisce all’urlo della hit per eccellenza “Traitors”, passando per i chiaroscuri di “Ghosts of Catalonia” e le trame di una piccola chicca come “Exception to the Ruled” (dall’EP del 2004 “Dissent”). A conti fatti, l’opera uscita a marzo è rappresentata da appena tre brani, ma nessuno ovviamente ha da lamentarsi o ribattere. Da veterani della scena quali sono, Netherton e compagni possono ormai permettersi ogni cosa, supportati da una foga che non sembra accennare a diminuire nonostante l’avanzamento dell’età. I riff piovono come macigni, le ritmiche non lasciano scampo e gli intrecci vocali si rivelano come al solito efficacissimi. Dopo un’ora abbondante di performance, vissuta su di giri da tutti i presenti, la vittoria dei Misery Index è schiacciante.