A cura di Giacomo Slongo
Complice l’uscita dell’ottimo “Með hamri”, avvenuta lo scorso dicembre su Norma Evangelium Diaboli, il 2023 si preannuncia come l’anno della definitiva consacrazione per i Misþyrming, arrivati a questo punto della loro carriera con il vento a favore e forti di una personalità ormai consolidata all’interno del circuito black metal contemporaneo. Con un’agenda di impegni già fitta per i mesi a venire (tra cui un’apparizione estiva sul palco del ‘nostro’ Frantic Fest), il quartetto islandese si è imbarcato in una tournée europea da headliner che lo ha visto battezzare ufficialmente questo nuovo corso, accompagnato da un manipolo di band attentamente selezionate e promotrici di una visione artistica coerente con la sua, fatta di spiritualità deviata e vero attaccamento alla causa underground del genere (parliamo di Nubivagant, Ritual Death e Kringa). Complice il giorno ‘tattico’ della data di Parigi – un venerdì, molto comodo per godersi la città nel weekend – abbiamo quindi deciso di fare i bagagli e partire alla volta della capitale francese, avendo poi conferma, una volta giunti sul posto, dell’eccellente stato di salute della scena estrema locale.
Il Backstage BTM, a pochi metri dall’iconico mulino luminescente del Moulin Rouge, è stato infatti preso d’assalto fin dall’apertura porte, e al sold-out non è occorso molto tempo per venire ufficializzato dagli organizzatori; una condizione ottimale per una serata dal sicuro trasporto emotivo, suggellata da suoni ben bilanciati dal primo all’ultimo minuto e – ovviamente – da una serie di performance più che all’altezza dei nomi coinvolti…
In quanti progetti è (o è stato) coinvolto Gionata Potenti? Onestamente, fatichiamo a tenere il conto. Tra Blut aus Nord, Chaos Invocation, Darvaza, Fides Inversa e mille altri (tra cui gli stessi Ritual Death, in programma subito dopo), il musicista italiano può legittimamente considerarsi un pilastro della scena black metal degli anni Duemila, e non è un caso che l’arrivo sullo stage dei NUBIVAGANT – nei quali il Nostro si occupa di voce e chitarra, anziché della ‘solita’ batteria – sia recepito con un certo fervore dalla platea. L’assetto è quello di gente come Inquisition e Bølzer, e allo stesso modo il fatto di essere in due non limita minimamente l’impatto e la profondità della musica, vuoi anche per l’interessante crasi messa in atto. Un black metal un po’ eroico, un po’ dissonante, che vede negli autori di “Black Mass for a Mass Grave” i suoi principali punti di riferimento, e che a questa base indubbiamente aggressiva sceglie di combinare un cantato pulito di matrice epic doom, anche paragonabile a quello di certi Bathory. Sulle prime – va detto – si fatica ad entrare pienamente in sintonia con la proposta, ma bastano pochi minuti per lasciarsi avvolgere dall’incedere ora battagliero, ora ipnotico della setlist e godersi l’ottima prova di Potenti nelle vesti di frontman, con i brani dell’ultimo “The Wheel and the Universe” ad irretire fan e spettatori ancora all’oscuro del progetto.
Un’apertura di gran classe, che i RITUAL DEATH pensano bene di doppiare, imboccando però una via decisamente più marcia, attraverso una panoramica dettagliata della loro discografia. Il debut album è fuori da poche settimane ma, anziché concentrarsi su quello, il trio guidato da Wraath (efficace e terrificante la sua maschera da teschio umano, peraltro simile a quella di Skeletor di Masters of the Universe) attinge anche dai vari EP precedenti, per una scarica di black/death tanto semplice e primordiale quanto ben scritto e arrangiato. Tra un riff alla Archgoat e una ripartenza alla Darkthrone, la band italo-norvegese tiene in pugno la platea per una trentina abbondante di minuti, non risparmiandosi a livello di movimento e fisicità e dimostrando come anche con margini di manovra ridotti sia possibile essere espressivi in questo universo di sonorità ‘necro’ e lo-fi. La conclusione di “Black Metal Terror”, irrefrenabile e ignorantissima, è la summa di quanto appena scritto, e ribadisce dal vivo i concetti già espressi su queste pagine in sede di recensione. In sostanza, un gran bel concerto.
Intanto che le candele degli altari sullo stage, adornati anche da ossa e ratti mummificati, continuano a bruciare, i KRINGA fanno la loro comparsa da dietro le quinte dando subito l’impressione di essere su di giri, quasi posseduti dall’atmosfera diabolica ormai tangibile all’interno del locale. Una formazione, quella austriaca, da sempre sinonimo di caos nichilista e disordine punk, e che anche in quel di Parigi non si smentisce in fatto di trasporto e modo di approcciare lo show. Detto di un look anni Ottanta degno delle migliori/peggiori photo session dei Celtic Frost, i quattro si tuffano in un groviglio di raw black metal restio a seguire schemi troppo lineari e prevedibili, quasi volendo assecondare i loro stati emotivi alterati e tutt’altro che stabili nel tempo. Con il bassista e uno dei due chitarristi a spartirsi le linee vocali, fra grida acidissime, simil-puliti e ululati animaleschi, i Kringa alzano l’asticella della tensione e dell’anarchia con il passare dei minuti, e incentivati probabilmente dal tasso alcolemico nel sangue finiscono per assumere pose degne dei Mötley Crüe (quelli di una volta, s’intende…) o di altre rock star famose per i loro eccessi sul palcoscenico. Le sbavature inevitabilmente ci sono, ma fanno parte dello spettacolo, e soprattutto non stemperano l’effettivo coinvolgimento generato dai riff di una “Gardens Bloom” o di una “Unwind to Gap Anew!”, tanto che lo show, con qualche alto e basso, può comunque dirsi un successo.
A questo punto della serata, restano solo i MISÞYRMING, ormai inquadrabili come uno dei nomi di punta della scena mondiale e come unici veri leader del circuito islandese (anche a causa della prematura scomparsa della creatura Svartidauði). Come detto, tutti i gruppi del bill si sono resi protagonisti di performance egregie, ciononostante il ‘salto’ fra loro e i quattro di Reykjavík è di quelli importanti per autorevolezza, compattezza e fiducia nei propri mezzi; per quanto giovani, D.G. e compagni hanno dalla loro una carriera che si è già tolta delle soddisfazioni incredibili, e se a questo aggiungiamo uno stile sempre più rifinito e personale, ottimamente rappresentato dall’ultimo “Með hamri”, va da sé che non possa esserci partita con chi li ha preceduti. Allo stato attuale, infatti, i Nostri si esibiscono con la cazzimma di certi totem degli anni Novanta all’apice dello strapotere fisico, e la platea risponde di conseguenza, quasi come se il cantante/chitarrista fosse un Satyr o un Abbath nel ’99. Un impatto poderoso si sprigiona fin dai primi secondi dell’opener “Orgia” (anticipata dall’intro registrato di “Hælið”), e da lì non si torna più indietro, con la formazione scandinava che sembra acquisire ulteriore ferocia e trasporto a mano a mano che, sul parterre, gli spettatori perdono la testa. Il pogo è violento, si arriva persino ad evocare un wall of death (neanche fossimo ad un concerto dei Terror!), mentre dal palco i brani vengono restituiti con assoluta fedeltà e precisione, celebrando in egual misura “Algleymi” e “Með…” (tre episodi da ciascuno) e dando il giusto spazio anche al folgorante esordio “Söngvar elds og óreiðu”. In uno scambio pressoché fisico tra band e audience, il concerto giunge così al termine in un attimo, come sempre accade in certi casi, e la sensazione che si lascia dietro è a tutti gli effetti quella di un piccolo trionfo. Quello della musica underground sulle banalità e le delusioni che ci accompagnano durante il giorno.
Setlist:
Hælið
Orgia
Söngur heiftar
Með Harmi
Engin miskunn
Engin vorkunn
Ég byggði dyr í eyðimörkinni
Ísland, steingelda krummaskuð
Allt sem eitt sinn blómstraði