09/07/2018 - MOGWAI @ Abbazia di Santa Maria in Silvis - Sesto al Reghena (PN)

Pubblicato il 12/07/2018 da

Report a cura di Chiara Franchi
Si ringrazia per le foto Davide Carrer

“Musica, merchandise, copertine… i Mogwai hanno stile in tutto”: le conclusioni di questa serata sono tratte prima ancora che lo show inizi, mentre ci godiamo una sempre ottima birra Zahre (se non l’avete mai provata, ponete rimedio) e ammiriamo la splendida cornice in cui si tiene la seconda serata dell’ormai tradizionale Sexto’Nplugged. Una manifestazione alla quale chi vi scrive è piuttosto affezionata e che, come gli artisti che stiamo per vedere sul palco, di stile ne ha da vendere. Giunta alla tredicesima edizione, questa piccola ma raffinatissima kermesse porta ogni anno alla meravigliosa abbazia di Santa Maria in Silvis di Sesto al Reghena, in provincia di Pordenone, alcuni tra i musicisti più sofisticati della scena elettronica, rock e alternative: dagli Interpol a St.Vincent, da Mark Lanegan a Trentemøller, dagli Enstürzende Neubauten ad Anna Calvi, passando per Apparat, Soap & Skin e troppo altro perché si possa ridurre a pochi nomi tutta la bella, bellissima musica che gli organizzatori sono stati capaci di portare in questi anni in una cittadina così piccola.  Ci limitiamo qui ad indicarvi il sito dell’evento e a consigliarvi di prenderlo in considerazione per una eventuale gita fuori porta (e fuori genere, per molti lettori). Passiamo senza altri indugi al resoconto della nostra serata di post rock.

 


MOGWAI

Nonostante siano le nove e mezza di sera, è solo il crepuscolo quando i Mogwai salgono sul palco. C’è dunque ancora una luce leggera quando si sentono le prime note di “Mogwai Fear Satan”, opener del primo album della band di Glasgow. La musica si distende su uno scenario praticamente perfetto: il blu delle luci sul palco e quello del cielo, il fumo di scena e le nuvole, la sagoma nera del campanile dell’abbazia e, tutto intorno, le mura medievali. I suoni sono incerti solo nella primissima parte dello show, per il resto della serata saranno puliti e ben bilanciati tanto sulle melodie più cristalline quanto sulle distorsioni più spinte. A proposito di suoni, c’è un piccolo appunto da fare sui volumi: dalla nostra posizione sul lato destro del palco risultavano accettabili (secondo alcuni addirittura un po’ bassi), ma la differenza era notevole se ci si spostava verso il centro della platea, dove  l’intensità del suono risultava perfino eccessiva su alcuni passaggi. Il secondo brano in scaletta è “Party In The Dark”, tratta dal recente “Every Country’s Sun”. Con nostra sorpresa – ma non con totale dispiacere, siamo sinceri – l’ultima uscita firmata Mogwai ha occupato una parte modesta della setlist. A rappresentare la release, infatti, ascolteremo solo questo brano, “Don’t Believe The Fife”, la bella titletrack, ancora più catchy ed efficace dal vivo che su disco, e poco più. Per il resto, il concerto è un tributo a tutta la lunga carriera della band, con poche eccezioni. La carica di “Hardcore Will Never Die But You Will” ci viene gettata addosso sulle note di “Rano Pano”, “Auto Rock” ci fa sfiorare il lirismo di “Mr. Beast”. Da “Happy Songs For Happy People” viene il momento forse più poetico di tutta la scaletta, “Hunted By A Freak”, cui fa concorrenza solo la delicata “2 Rights Make 1 Wrong” e, forse, “I’m Jim Morrison, I’m Dead”. In tutto questo susseguirsi di emozioni, atmosfere e colori emerge chiaramente come i Mogwai non abbiano bisogno né di un vero frontman (Stuart Braithwaite, in fin dei conti, si limita a dispensare ‘Grazi milli, thank you so much’ alla fine di ogni brano), né di strafare sul palco. Per riempire la scena, basta e avanza la loro musica e la sua carica evocativa.
Dopo quasi un’ora e mezza di performance ci si avvia verso gli ultimi brani di un concerto ancora lontano dalla chiusura. Il gran finale è affidato alla potente “Remurdered” e a “We’re Not Here”, viaggio ai limiti del doom intriso di malinconia e drammaticità. Sarà un caso, ma dopo giochi di luce che ricordano i colori del tramonto, i Mogwai scelgono di circondarsi dei toni dell’alba per salutarci con l’imponente “My Father, My King”: una suite di venti minuti giocata praticamente su un solo riff, portato dalla morbidezza di un canone quasi infantile a sonorità che lambiscono il metal e l’industrial.
Una serata splendida e uno splendido live show, senza sbavature né cali di pathos, in cui i Mogwai hanno dato prova di essere forse ancora più coinvolgenti dal vivo di quanto già sanno essere in studio.

 

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