Quella che si presenta sul palco dello Slaughter Club nella piovigginosa serata milanese di fine dicembre è la storia del black metal italiano: gli alessandrini Mortuary Drape, autori di album leggendari come “Secret Sudaria” e “All The Witches Dance”, dal lontanissimo 1986 sono fedeli ad un suono ortodosso, con un’immagine che riveste un ruolo importante nella loro arte e che negli anni è stata presa come esempio da molte altre realtà a livello internazionale.
I biellesi Opera IX, nati solamente due anni dopo, anch’essi legati ad un immaginario che ha a che fare con l’occulto e la magia nera, propongono invece sonorità che sconfinano nel black metal sinfonico e nel gothic, con dischi storici come “The Call Of The Wild” e “Sacro Culto”. A completare il programma, gli Entirety, dalla provincia di Varese, altro gruppo con una storia lunghissima, e gli Ardeat, da Brescia, che al contrario sono poco più che esordienti.
Un evento che si prospetta interessante, con un bill omogeneo in grado di scaldare i cuori più neri. Vediamo come è andata.
Siamo al penultimo giorno dell’anno e probabilmente l’attenzione della maggior parte di noi è focalizzata sull’organizzazione dei festeggiamenti per il giorno successivo; ma chi ascolta metal, ed in particolare black metal, non può perdersi l’ultimo concerto di questo 2023 e, per questo motivo, allo Slaughter, già all’apertura porte l’affluenza è discreta. Curiosamente, ascoltando i dialoghi tra i presenti si evince come una buona parte venga da fuori Milano, approfittando del giorno di festa oppure perché già nel capoluogo lombardo per passarvi il Capodanno.
La prima esibizione è quella degli ARDEAT: puntualissimi, i bresciani si presentano sul palco in quattro ed attaccano con una lunga parte strumentale che piace per l’alternarsi di riff serrati ed aperture melodiche, in cui il loro black metal si fa atmosferico ed interessante.
Con l’ingresso in scena del cantante, però, la situazione inizia a peggiorare, non tanto per la voce in sé, penalizzata dai suoni ma non da buttare, quanto per la confusione che si viene a creare e che sfocia nel caos più totale: la sensazione è che i ragazzi vogliano suonare estremi e complicati ad ogni costo, pur non avendo ancora la necessaria esperienza. Al di là di qualche imprecisione, le doti ci sono, speriamo riescano a maturarle in modo adeguato.
Tocca ora agli ENTIRETY, band varesotta che può vantare una carriera trentennale e tre album all’attivo, l’ultimo dei quali è “Eternal Fire” del 2017. Il quintetto suona un black metal vecchio stile, lineare e potente, senza grossi sussulti ma malvagio e con una buona carica; si vede che i lombardi sono musicisti esperti, poiché il suono è compatto e pieno, sporco ma senza sbavature.
I pezzi, tra cui un nuovo singolo, sono secchi e veloci, non ci sono inutili orpelli e l’unico difetto è quello di non averne almeno uno che si elevi al di sopra degli altri in modo netto. L’attitudine è quella giusta per chi suona questo genere ed il pubblico, sempre più numeroso, sembra apprezzare, tra applausi convinti e corna alzate al cielo.
Con gli OPERA IX si entra nel clou di questa serata dedicata alle sonorità più oscure: il gruppo di Biella rappresenta una delle realtà più longeve quando si parla di black metal sinfonico ed anche questa sera, pur con qualche ombra, se ne ha avuta una dimostrazione netta.
Più che un’esibizione, la loro è una cerimonia, che raggiunge il massimo livello di suggestività quando sul palco fa la comparsa il fuoco, con bracieri e torce che vengono accesi rendendo lo spettacolo ammaliante anche dal punto di vista visivo.
La scelta di pescare brani da tutta la lunga discografia, compreso l’ultimo “The Gospel” del 2018, è azzeccata, e permette ai piemontesi di evidenziare le varie sfumature stilistiche che nel corso degli anni hanno screziato la loro musica, espatriando spesso nel doom e nel gothic. Ossian è da sempre la solita macchina da riff, ma il centro della scena è della cantante Dipsas Dianaria, ormai perfettamente a suo agio nella formazione, che dimostra di avere carisma e versatilità, cambiando registri vocali con una naturalezza incredibile; tra voci urlate, pulite e operistiche, la sua prestazione è rimarchevole, e non riesce a rovinarla neanche una resa sonora non certo perfetta, unico neo insieme alla mancanza di un tastierista in una band con sonorità così legate proprio alle tastiere.
Il compito di condurre a termine questa parata dedita alla Fiamma Nera, di fronte ad una Slaughter non gremito ma con una partecipazione importante, spetta ai MORTUARY DRAPE, e non potrebbe essere altrimenti: gli alessandrini sono i padri indiscussi di queste sonorità nel nostro Paese e anche dal vivo sono una macchina da guerra inarrestabile.
I cinque fanno il loro ingresso in scena incappucciati ed in fila indiana, sulle tetre note di un’intro strumentale, e sistemano il solito altare coperto da un drappo; il culto ha inizio e, come per magia (nera, ovviamente), la qualità dei suoni diventa inappuntabile. In un magma sonoro che sprigiona orrore da ogni singola battuta, gli strumenti si sentono in modo distinto, si possono apprezzare i classici riff dal sapore thrash che sono il marchio di fabbrica del Drappo Mortuario e di tutti i blackster della loro generazione, ma anche l’interazione tra chitarra e basso, sempre ben in evidenza, e la precisione di una batteria sempre incisiva; il maestro di cerimonie Walter ‘Wildness Perversion’ Maini intona litanie cimiteriali a profusione, circondato da simboli occulti e lumini infernali, ed il pubblico si infiamma.
Inni come “Mortuary Drape” o “Necromaniac”, con il suo irresistibile ritornello, vengono cantati all’unisono, ma questo concerto ha anche lo scopo di presentare il nuovo album “Black Mirror”, uscito circa due mesi fa su Peaceville e dal quale vengono estratti cinque canzoni che non sfigurano affatto rispetto ai brani storici, con un cenno particolare a “Rattle Breath”, a testimonianza di una carriera che non ha mai subito cedimenti nonostante la longevità. I pezzi si susseguono a ritmo serrato senza introduzioni o annunci, mentre le atmosfere si fanno sempre più marce e l’odore di zolfo più penetrante, e si arriva alla chiusura con la storica “Primordial”, lasciata come degna conclusione ed ancora una volta urlata da tutti i presenti in tripudio.
I cinque monaci del male se ne vanno come erano arrivati, in macabra processione, e ci lasciano l’ennesima esperienza che ricorderemo a lungo.