Live report a cura di Luca Paron
Foto a cura di Francesco Castaldo
Nella splendida cornice di Villa Contarini a Piazzola sul Brenta (PD), arriva all’ultima tappa su suolo italico il tour di Lemmy e dei Motörhead, per l’occasione supportati da Extrema e Merendine Atomiche. Una giornata (venerdì 17…) che da bella e soleggiata si trasforma all’improvviso in un fastidiosissimo acquazzone non riesce però a spegnere l’entusiasmo dei tanti metal fan accorsi. Un plauso convinto alla buona l’idea degli organizzatori di far suonare giovani band nei pressi del punto ristoro per ingannare l’attesa.
MERENDINE ATOMICHE
Con buon ritardo, ma anche accompagnate da urla di liberazione del pubblico che aveva temuto anche il peggio a causa della tanta pioggia caduta, salgono sul palco ad aprire le danze le Merendine Atomiche, fresche del nuovo Rude Rebel Brotherhood. La band si presenta carica e forte del pubblico “di casa” sfoderando una buona padronanza strumentale e la giusta attitudine da palco, aizzando i presenti anche a colpi di… brioche lanciate a profusione! Malgrado questo, sembrano un poco indecisi sulla direzione da seguire, partendo dal thrash ed arrivando quasi ai limiti del nu-thrash o del death-rock in alcuni frangenti. Nulla di male, se non fosse che le varie influenze non mi mescolano ma denotano solo singoli brani interi e che il tutto è il massimo della derivatività. Ah, se avessimo preso una di quelle brioche…
EXTREMA
Per quanto scontato sia scriverlo una volta di più, gli Extrema dal vivo sono ancora il solito, irrinunciabile, fottutissimo massacro collettivo! Ancora più scontato e forse più inutile stare a recriminare sul perché non abbiano raggiunto quello che meritavano e meritano, ma le cose stanno così e noi possiamo solo goderceli sull’ ultimo “Pound for Pound” e stasera al massimo delle loro possibilità: un GL Perotti con i capelli tagliati a zero vomita aggressione quanto canta e di chitarristi precisi e fantasiosi come Tommy Massara ne girano pochi. Una parolina anche per la barba ormai “ZZ Top” di Mattia Bigi e tanto di cappello per Paolo Crimi, che dona potenza e dinamismo a pezzi storici come “This Toy”, “Money Talks”, “Generation” e “Six Six Six is Like Sex Sex Sex”. Sempre grandi!
MOTORHEAD
Dopo un’ora di ritardo aggiuntivo, dovuta principalmente alla vana ricostruzione delle transenne ante-palco (vana in quanto dopo quaranta – dico quaranta – secondi di “Iron Fist” hanno bellamente ceduto…), la musica si spegne ed il Rock si accende: i Motörhead salgono con la consueta flemma e danno il via al solito show basato interamente sulla fisicità di canzoni che hanno fatto la storia (loro e della musica heavy). A dire il vero, in questo tour la scaletta ripesca anche qualche classico di serie B (“Another Perfect Day”, “I Got Mine”) ma i tre ci hanno abituato da qualche anno ad aspettarci sorprese, e forse così si divertono di più anche loro.
Arrivano infatti dopo la citata “Iron fist” le risalenti “Stay Clean” e “Be My Baby”, comunque ben accette dai fan adoranti. Da notare la bottigliata presa dal Rickenbacker di Lemmy durante la prima canzone, imprevisto che lo costringerà ad un cambio di strumento, non senza ingiurie rivolte allo sconosciuto attentatore. Tripudio per “Rock Out”, traino dell’ultimo album “Motörizer” e classico ormai a tutti gli effetti. “Metropolis” e “Over the Top” ci riportano agli anni settanta, e indirizzano il concerto sulla via del successo. Ecco poi “One Night Stand”, con l’ottimo riff, e “I Got Mine” che precede il solo di Phil Campbell: non troppo tecnico ma veramente di gusto.
Ancora ultimo album con “The Thousand Names of God”, non tra le migliori, ma l’effetto nostalgia riparte con “Another Perfect Day”. “In the Name of Tragedy” dà modo a Mikkey Dee di ribadire chi è il “migliore batterista del mondo” (cito Mr. Kilmister) sfoderando un assolo molto giocato sulla velocità di esecuzione e sulla straordinaria botta che lo contraddistingue. L’oscura “Just Cos’ You Have the Power” ci accompagna intimidatoria a “Going to Brazil”, un minuto e mezzo in bilico tra rock, punk e metal a dimostrazione del vero fattore vincente dei Motörhead, la trasversalità. Il set volge al termine con gli immancabili classici: “Killed by Death” e “Bomber” ci separano dell’uscita del gruppo, che non lascerà passare molto prima di rientrare tra gli applausi e ringraziare tutti con “Whorehouse Blues” (veramente ben fatta con tanto di Lemmy all’armonica e Mikkey alla seconda chitarra), “Ace of Spades” e naturalmente “Overkill” alla fine. Solito concerto dei Motörhead che sembrano non essere scalfiti dagli anni, e grande l’appagamento del pubblico, che pur non godendo di una delle setlist più blasonate è andato a casa contento.