Report a cura di Alessandro Elli
Foto di Simona Luchini
I Motorpsycho hanno ormai alle spalle trent’anni abbondanti di carriera ed un numero infinito di pubblicazioni, eppure un loro concerto sarà sempre un evento speciale, che i quattro preparano con cura maniacale, a partire dalla scaletta sempre differente e che animano sempre con un ardore ed una passione unici, e questa serata al Live Music Club non fa altro che confermare come la dimensione privilegiata per saggiare la qualità di questi musicisti sia quella dal vivo. I quattro artisti di Trondheim, infatti, non si risparmiano, regalando al pubblico accorso uno show lunghissimo (sfiorando le tre ore di durata) pieno di sorprese. In questo report vi raccontiamo com’è andata.
Chi conosce i Motorpsycho e li segue nei loro tour, sa benissimo che è impossibile prevedere cosa suoneranno durante un loro show: i norvegesi, infatti, sono allergici a qualsiasi tipo di convenzione in questo senso, e sono soliti cambiare scaletta ad ogni serata, non badando nemmeno troppo a proporre pezzi dell’album che stanno promuovendo. Quasi tutti i presenti saranno probabilmente andati a curiosare le setlist di Padova e Nonantola (dove, tra l’altro, hanno suonato “N.O.X.” in tutti i suoi quarantacinque minuti), senza però trovare dei ‘ganci’ per intuire cosa li aspettava; a dir la verità, l’orario di inizio, posto così presto e senza band di supporto, avrebbe potuto far supporre che sarebbe stata una serata particolarmente lunga, ma nessuno poteva presagire quanto.
In perfetto orario, la formazione norvegese si presenta sul palco e parte con le note di “Hell, Part 1-3”, estratto dall’ormai lontano “Still Life With Eggplant” del 2014: dieci minuti di hard rock che profuma di stoner e psichedelia e che stabilisce da subito che la tendenza dello spettacolo sarà quella di privilegiare suoni pesanti, ma anche dilatati ed ipnotici. La band sembra in buona forma: come sempre i quattro norvegesi non sono molto espansivi ma si vede che stanno dando tutto, con una passione per la musica che li rende unici; i suoni sono buoni, con una resa leggermente sporca e vintage senza risultare forzata, anzi, naturale quanto basta a valorizzare uno show che, inclusi le luci colorate ed il look dei protagonisti, sembra arrivare diretto dagli anni ’70. Si prosegue con “The Same Old Rock (One Must Imagine Sisyphus Happy)”, estratto dal penultimo “All Is The One”, così come “The Magpie” mentre, a sorpresa, il nuovo “Kingdom Of Oblivion” è rappresentato dalla sola titletrack: tre pezzi in cui la vena progressive è più evidente che in passato e che permettono di tirare il fiato tra una bordata e l’altra. La ripartenza aspetta a “Little Lucid Moments”, brano lungo e contorto, che alterna melodie beatlesiane, suoni garage e attimi di riflessione dal sapore jazzato. “Cloudwalker (A Darker Blue)” viene riproposta in una versione irrobustita rispetto all’originale (da “Behind The Sun” del 2014), mentre “A Pacific Sonata” (da “The Tower” del 2017) è un altro dei picchi del concerto, con il suo andamento pigro ed evocativo e la coda strumentale che sembra arrivare veramente da una spiaggia californiana di cinquant’anni fa. Ecco poi il primo vero tuffo nel passato, con “S.T.G.” da “Blissard” (1996), elettrizzante e rumorosa con uno splendido finale in dissolvenza e “Hey, Jane”, da “Trust Us”, solo di due anni più recente. La dinamica “No Evil” (da “Black Hole/Black Canvas”, 2006) ci mostra il lato grunge dei norvegesi ed è poi il momento di un’altra sorpresa: “Whole Lotta Diana”, dall’introvabile “Child Of The Future”, pubblicato per festeggiare il ventennale della band e ormai diventato oggetto di culto; d’altronde, quando si può scegliere in una discografia immensa e di livello così alto, non è difficile poter proporre anche qualche gemma nascosta. Ma il tripudio vero e proprio parte con l’arpeggio di “The Wheel”, dal monumentale “Timothy’s Monster”, uno dei brani più amati dal pubblico, lisergico ed ossessivo nel suo incedere pachidermico, capace di lasciare tutti attoniti. Sembrerebbe il finale perfetto, dopo due ore e mezza abbondanti di musica ma, dopo una breve pausa, i quattro imbracciano di nuovo i loro strumenti per terminare in delicatezza con “Fools Gold”, brano acustico dall’atmosfera bucolica e rilassata, congedo perfetto dopo una serata rumorosa e sudata, segnata dalla classe e dalla passione di una band che è ormai una sorta di enciclopedia dal suo genere.
Setlist:
Hell, Part 1-3
The Same Old Rock (One Must Imagine Sisyphus Happy)
Little Lucid Moments
Cloudwalker (A Darker Blue)
A Pacific Sonata
The Magpie
Kingdom Of Oblivion
S.T.G.
Hey, Jane
No Evil
Whola Lotta Diana
The Wheel
Fools Gold