Report di Simone Vavalà
Fotografie di Moira Carola
Serata all’insegna dell’Ipecac, al Magnolia, anche se – per fortuna – non ci riferiamo al noto emetico reso celebre da queste parti da una rivoltante ed esilarante puntata dei Griffin. Parliamo ovviamente dell’etichetta di Mike Patton, che a questo giro non si limita ad assemblare qualche campione della sua scuderia, ma scende in campo con i pezzi grossi, in particolare con il ritorno dopo un quarto di secolo netto dei Mr. Bungle su suolo italiano.
Già questo è un evento in sé, specie alla luce della crisi personale vissuta dal buon Mike negli ultimi anni, se poi si aggiunge la formazione ‘superstar’ assemblata per la riedizione del loro demo, beh, era davvero difficile rinunciare all’evento.
Non caso, a fine serata si parla di oltre duemila biglietti staccati, ed è evidente che la presenza di Dave Lombardo e Scott Ian in formazione ha attratto anche ‘solo’ i fan delle rispettive band di provenienza (non dobbiamo citarvele, vero?).
Gli antipasti sono comunque tutt’altro che insignificanti, con la new sensation Spotlights in apertura e dei mostri sacri del panorama alternativo come gli Oxbow a scaldare ulteriormente i presenti.
Ma lasciamo parlare la musica, e citando la prima band in cartellone, accendiamo i riflettori sulla serata…
Gli SPOTLIGHTS sono la classica band che va oltre le etichette – e grazie tante, direte, voi tornando a quanto detto sulla scuderia Ipecac.
In questo caso, però, davvero è superfluo e riduttivo parlare di post-rock, noise o new wave; il trio newyorchese riesce, innanzitutto, a colpire con la potenza di una sestetto, e lo fa indifferentemente che si tratti dei loro paesaggi sonori più dilatati, o di momenti più energici.
La scaletta è studiata bene nell’equilibrio tra questi estremi, che Mario, Sarah e Chris cavalcano come marinai esperti su onde impazzite. Non è un caso la vecchia collaborazione in fase di produzione con Aaron Harris, visto che sono proprio i suoi Isis l’eco più grande che ci viene in mente, pur con una personalità smaccata e indipendente.
Colpisce particolarmente il continuo flusso tra le due voci: quella di Mario, meno volatile che su disco, tuttavia sempre estremamente sognante, mentre Sarah colpisce con rasoiate mirate, mentre si porta sulle spalle la band con il suo basso sontuoso. Solo cinque pezzi, per loro, ma sufficienti per apprezzarli anche, o più, dal vivo.
Entrati da poco alla corte di Mike Patton, gli OXBOW non richiedono particolari presentazioni, dato lo status quasi di culto all’interno della scena sperimentale. La loro formula si conferma potente in sede live, con la solidissima sezione ritmica su cui Niko Wenner dipinge le sue trame noise di chiara derivazione ottantiana; anche se rispetto ai naturali compagni di viaggio del periodo (Sonic Youth, Jesus Lizard su tutti), l’elemento portante e dirimente della band di San Francisco resta sempre lui, Eugene Robinson.
Vestito con un completo color oro, di cui presto si sveste fino a rimanere in mutande – della stessa tinta, viva l’eleganza – con le sue movenze sinuose e la sua voce profonda e avvolgente, ma acuta e sgraziata quando serve insistere sul lato più sofferente della vita, catalizza come sempre l’attenzione del pubblico. Poeta, lottatore, occasionale attore, … tutte le sue anime emergono nella sua esibizione da crooner maledetto.
Il set non è lunghissimo, ma non delude quanto a intensità; metà dei brani sono estratti dal recente “Love’s Holiday”, mentre sul finale si torna indietro di quasi trent’anni con il nichilismo insieme devastante e struggente de “La Luna”.
Alle 21:45, orario di inizio previsto per lo show dei cinque folli, il pubblico inizia a scalpitare in maniera palpabile. Serve ancora qualche minuto prima di sentire le note di “Also Sprach Zarathustra”, in una versione piuttosto deformata rispetto a quella di Strauss, ma del resto questo sarà il leitmotiv di tutto il concerto: il senso dell’assurdo per puro divertimento è ciò che caratterizza da sempre i MR. BUNGLE.
Qualche fan di vecchia data, prima del concerto, storceva un po’ il naso all’idea di un set prettamente thrash, e non ci sono dubbi che l’anima profonda dei Mr. Bungle trovi maggior forma nei deliri schizoidi alternati tra death metal, swing, ska e chi più ne ha più ne metta che caratterizzavano i tre album della band californiana, ma l’ora e mezza di esibizione di stasera, perdonate lo spoiler, finirà per incantare pressoché tutti i presenti. Mike Patton e le sue boutade si amano o si odiano, ma è innegabile che rispetto ai ‘metallari’ che si sentono offesi dai suoi epiteti quando suona con i Faith No More, questa band sia un circo a sé stante, in cui vanno benissimo certi siparietti. In particolare quello legato alla maglia dell’Inter che Mike sfoggia, sottolineando a un certo punto che “è solo uno scherzo: Inter merda, forza Milan!”.
Poi, tra paperelle spernacchianti al microfono, gli effetti rumoristici con cui Patton impreziosisce il suono dei suoi compari – o gestisce anche i break, alternando anche gesti da direttore d’orchestra folle – gli intermezzi in italiano e la barzelletta raccontata da Dave Lombardo, che vi risparmiamo perché degna di “Risate a denti stretti” sulla Settimana Enigmistica, tutto è un enorme gioco, ma accidenti se funziona.
Il già citato Dave Lombardo è in stato di grazia, e ci ricorda chi ha ribaltato il modo di suonare la batteria nel metal. Scott Ian è la solita furia, e non a caso ci troviamo al cospetto di uno dei più grandi riffmaker del thrash. I tre membri fondatori hanno ritrovato l’alchimia di un tempo, e se su Patton c’è poco da aggiungere, il defilato Trevor Dunn si conferma un mostro delle quattro corde, mentre Trey Spruance fa pensare, anche per il look a metà strada tra il santone e il clochard, a un mistico cui déi misteriosi hanno donato un tocco speciale, capace di mischiare riff furibondi, ricercatezza prog in piccoli passaggi e quell’aria mediorientale qua e là, elemento che ha portato all’estremo con i suoi Secret Chiefs Trio.
La scaletta è ovviamente incentrata su “The Raging Wrath Of The Easter Bunny”, con un solo estratto da “Mr. Bungle”, e che pezzo: “My Ass Is On Fire” districa e rinforza al tempo stesso il thrash/crossover che fa pogare forsennatamente grandi segmenti del pubblico, ricordando però anche la perizia strumentale della band, in particolare nell’innesto samba, con un sorprendente Scott a suonare il guiro.
Per il resto – e restiamo in ordine sparso, come giusto per una band che non segue alcuna logica se no quella della follia – impazzano le cover: dai Cro-Mags a un estratto di “Hell Awaits”, passando per quella “Summer Breeze” resa celebre in forma lugubre dai Type O Negative, e poi tanto, tanto amore per l’Italia. Non solo il medley con “Speak English Or Die” dei SOD, già trasformata in “Habla Español O Muere” su disco diventa “Parla Italiano O Muori”, ma c’è spazio pe runa cover devastante dei Raw Power, per la ripresa della mitica “24.000 Baci” di Celentano, mentre il gran finale trasforma il ritornello della stucchevole “All By Myself” in un modulato “Ma Va-ffan-cuuuuu-lo” che, ovivamente, coinvolge tutti i presenti.
Stanchi, sudati, acciaccati – anche in prima persona – ci siamo divertiti anche e soprattutto perché la band ha dimostrato di divertirsi per prima ogni minuto.
E, per chi aveva dubbi sull’efficacia o ‘onestà’ di questa incarnazione, ricordiamo che il demo originale risale al 1986: in fin dei conti, i Mr. Bungle hanno contribuito, anche se in secondo piano, a definire un certo suono, ed era giusto che ricevessero ondate di sudore e adrenalina sotto palco anche in questa forma, alla buon’ora.
Setlist:
Also Sprach Zarathustra, op. 30 (intro)
Grizzly Adams
Anarchy Up Your Anus
Bungle Grind
I’m Not In Love
Eracist
Spreading the Thighs Of Death
Malfunction
Hypocrites / Habla Español O Muere
Glutton For Punishment
Hopelessly Devoted To You
Hell Awaits
Summer Breeze
Raping Your Mind
My Ass Is On Fire
Sudden Death
State Oppression
24.000 baci
All By Myself
SPOTLIGHTS
OXBOW
MR. BUNGLE