Report a cura di Giuseppe Caterino
Un meeting di rilievo, quello dell’11 dicembre allo Slaughter Club di Paderno Dugnano, con una line up da far tremare letteralmente i polsi. Una locandina del genere ricorda molto da vicino quelle storiche che ci facevano sognare da ragazzini, messe in evidenza nelle ristampe di dischi d’epoca, con nomi da capogiro magari alle prime uscite che facevano come gruppo e andavano a portare morte e distruzione in qualche locale della Bay Area! Siamo invece nel 2019, nella periferia milanese, ma il concetto distruttivo non cambia: a dimostrarlo sono i davvero moltissimi accorsi, sin dal tardo pomeriggio, a tributare quattro realtà che messe insieme hanno riempito il locale come in poche altre occasioni. Del resto, un’unica data in Italia con una tale letale combinazione rappresentava un’occasione davvero da non perdere, e le band hanno fatto di tutto per mantenere alta la temperatura della serata. Lo Slaughter Club si presta come posto ideale per una proposta di questo tipo e, al netto di alcuni accorgimenti, sta facendo passi da gigante nella sua strada per diventare un punto d’incontro per i metallari del nord Italia e non solo. La serata, quindi, si è svolta veramente per il meglio.
SKELETAL REMAINS
Bastano appena trenta minuti, quelli concessi agli Skeletal Remains, per venire annichiliti dalla loro scarica di death metal votato totalmente alla vecchia scuola americana, e l’impatto è tremendo. Entriamo esattamente all’inizio del set dei californiani e la mazzata sonora ci azzoppa da subito, con dei suoni onestamente calibrati meglio di quanto ci potessimo aspettare. Il metal degli Skeletal Remains è chiaramente ispirato dai Death dei primi tre album e da tutta la schiera di gruppi che si trovavano in quel determinato luogo e tempo, ma la proposta, come anche provato dall’ultima uscita, riesce ad essere accattivante e seducente oggi come allora. La band è padrona del palco, con un set che prende per almeno metà della scaletta pezzi da “Devouring Mortality” e che mette subito il pubblico nell’umore giusto per la serata. Con la primitiva “Traumatic Existence”, un brano che sembra uscito da “Scream Bloody Gore”, la band ci dà appuntamento al banchetto del merchandise (gestito dai musicisti stessi, praticamente) e alla prossima rimpatriata di old school death metaller!
ENFORCER
I volumi stratosferici del cambio palco ci accompagnano nella pausa tra gli opener e il secondo gruppo, e quando le luci si spengono ci avviciniamo nuovamente al palco per un tuffo nel passato. Gli Enforcer attaccano con “Destroyer” e i riferimenti allo speed d’epoca si sprecano sin dall’inizio, tra le continue corse on stage del biondo Olof Wikstrand e dei suoi uomini, che riescono immediatamente a coinvolgere il pubblico. Non è un lavoro troppo difficile, a quanto pare: l’heavy metal degli svedesi si rifà, anche esteticamente e con totale abnegazione, agli anni ’80, e quel periodo è il punto di riferimento per un po’ tutti i presenti allo Slaughter Club. Quindi ben vengano i pesanti richiami ai Metallica di “Kill’em All”, i pezzi praticamente hair metal come “Die For The Devil” e le bordate di pura NWOBHM della successiva “Undying Evil”. Il concerto è davvero divertente e i ragazzi passano attraverso tutte le loro ispirazioni con tranquillità, mentre il pubblico sembra apprezzare. Un suono un po’ troppo freddo non li aiuta troppo e, alla lunga, ammettiamo che l’eccessiva genericità di alcuni passaggi appesantisca un po’ l’esibizione, ma alla fine di “Midnight Vice”, un pezzo che poteva tranquillamente essere, in senso buono, una b-side di “Killers”, i Nostri chiudono un’esibizione divertente e sentita, che li ha visti protagonisti di un approccio letteralmente d’altri tempi.
TOXIC HOLOCAUST
Il fronte palco inizia a farsi sempre più gremito, le luci si spengono, nessun telone col nome sul retropalco: la scarica di adrenalina essenziale dei Toxic Holocaust può cominciare. “Nuke The Cross” fa immediatamente alzare le corna al cielo, mentre il biondo Joel Grind vomita sulla folla, pur con un certo fare sornione, il suo thrash grezzo e di una scuola che richiama chiaramente i Sodom come fonte di primaria ispirazione, mentre le teste iniziano a muoversi con violenza. La folla apprezza e se già col gruppo precedente si era visto accendersi un po’ di pogo, con gli americani la pratica diventa giustamente costante. Una sequela di suoni sgraziati e di brani ignoranti che si abbatte impietosa sui nostri timpani, con un livello di tensione sempre tirato al massimo: cosa che sulla lunga può far risultare la prova un po’ statica, vista la proposta, benché riteniamo che ciò dipenda anche da quanto si partecipi fisicamente al concerto e da quanto piacciano i Toxic Holocaust: la perenne furia non fa del resto sconti a nessuno, ed è proprio questo uno dei punti di forza degli americani. Si susseguono, con un apparato sonoro più che accettabile, brani come “Gravelord” e “Acid Fuzz” e, sulle impietose note della malvagia “Bitch”, si arriva alla fine del concerto. Abbiamo visto una band in forma e che dal vivo si è dimostrata, come sempre, una delle realtà più ‘marce’ in circolazione. Il giro di applausi è più che meritato.
MUNICIPAL WASTE
Arriviamo infine, ad un orario peraltro più che accettabile, agli headliner della serata che, freschi della pubblicazione del corto ma godibilissimo EP “The Last Rager”, arrivano su di un palco oscuro le cui luci puntano, per tutta la prima canzone, direttamente ai nostri occhi. Poco male, quando “Unleash The Bastard” parte, arriva come una martellata che genera all’istante un pogo irrefrenabile, e sarà lo stesso Tony Foresta a chiedere di cambiare il settaggio delle luci, perché ‘siamo ad un thrash metal show e non serve avere un impianto come se andassimo a ballare’. Sono proprio i Waste ad avere forse avuto più dettagli tecnici da sistemare durante l’esibizione: abbiamo visto più volte la band mandare segnali al fonico per l’aggiustamento delle spie e in qualche momento anche la voce è sembrata mancare; poco male, i thrasher di Richmond non sono certo gente che va tanto per il sottile, e lo show è rimasto di una violenza implacabile. I pezzi proposti sono un susseguirsi di schiaffi in pieno volto, che, tra il tiro assolutamente pazzesco sprigionato dalla band e la risposta del pubblico, generano una di quelle sintesi perfette di cosa dovrebbe essere un concerto thrash. “You’re Cut Off”, “The Thrashin’ Of The Christ”, “Breathe Grease”, “Shrednecks”, il tutto mentre a fronte palco si crea un piccolo inferno e il singer continua senza pietà a demandare circle pit e un occasionale wall of death, mentre anche i componenti delle altre band, dal lato rialzato, scapocciano godendosi il concerto. Non mancano incursioni nel passato, come con “Substitute Creature”, ma il pubblico va effettivamente in visibilio di fronte a pezzi grossi come “Sadistic Magician”, sebbene anche la nuova “Wave Of Death” faccia la sua gran bella figura. Dopo una breve pausa e alla richiesta unanime di one more song, i Nostri tornano sul palco e chiudono, non dopo aver omaggiato i Def Leppard, vomitandoci addosso la belluina “The Art Of Partying”, che dà il colpo il grazia, distrugge tutto e ci manda a casa, o al pub, con le orecchie che fischiano e un sorriso di soddisfazione stampato sulla faccia.