12/12/2012 - MY DYING BRIDE + TALANAS @ Magazzini Generali - Milano

Pubblicato il 17/12/2012 da

A cura di Marco Gallarati

Li aspettavamo al varco…e finalmente sono tornati! Anni d’attesa – financo più che per gli appena passati e distruggenti Meshuggah! – di vederli tornare in Italia e a Milano; anni passati a scrutare i festival e gli appuntamenti esteri a portata di viaggio per andare ad ammirarli nonostante la distanza; anni durante i quali questi veri e propri pionieri del doom metal non sono praticamente mai stati con le mani in mano, superando continui problemi di line-up e sfornando dischi su dischi, fino ad arrivare all’ultimo e bellissimo “A Map Of All Our Failures”: i britannici My Dying Bride si ripresentano in Italia per due date (al Viper Theatre di Firenze e ai Magazzini Generali di Milano), date che, considerata l’incredibile sovrapposizione di eventi dell’ultimo mese, perlomeno nel circondario meneghino, crediamo non siano andate benissimo in termini di affluenza di pubblico. E’ infatti un panorama alquanto desolante quello che ci troviamo di fronte quando entriamo in dei completamente ghiacciati Magazzini Generali: le porte sono aperte da un quarto d’ora, manca poco alla performance dei Talanas, unica formazione di supporto, e l’audience si assesta sulla trentina di persone ad esagerare. Motivazioni? Be’, sicuramente la vicinanza di tanti appuntamenti; poi non dimentichiamoci la crisi; e infine, perché non aggiungere il giorno infrasettimanale e il freddo polare della Milano di metà dicembre? Due piccoli appunti, ora, sul rapporto qualità/prezzo della serata, perché è più che giusto rimarcare questi dettagli sconfortanti: per 30 Euro di biglietto, l’acquirente ha potuto usufruire di ben UN solo gruppo-spalla, peraltro sconosciuto e dalla resa claudicante, di un riscaldamento del locale dimenticato a Novosibirsk all’alba dell’Uomo e di un parco-toilette in toto intasato, manco fossimo in un fienile una mattina dopo un rave-party. Stiamo enfatizzando un po’ – sia chiaro – ma il servizio logistico di questa data è stato molto deficitario. Però la puntualità – almeno quella! – è svizzera e perciò alle 19.30 in punto si spengono le luci, si smorza la musichetta jazz in sottofondo e i Talanas salgono sul palco…

 

 

 

TALANAS
I Talanas ci sono all’anagrafe completamente sconosciuti, ma un rapido giro per il loro sito ufficiale ci fa scoprire diverse cose interessanti: nato dalle ceneri degli industrial metaller Interlock, il quintetto è piuttosto rinomato in patria e soprattutto, a quanto pare, nell’area londinese; i due membri fondatori, il drummer Joe Butterworth e il cantante-chitarrista Hal Sinden, si distinguono per essere rispettivamente un apprezzato insegnante di batteria e un attore teatrale e pubblicitario apparso in diversi lavori alla tivì inglese; il chitarrista solista Ewan Parry, invece, apprendiamo essere il creatore del celeberrimo Death Metal Rooster, video che ha spopolato tempo fa su Youtube… Ebbene, all’oscuro di tutte queste incuriosenti notizie, la prima impressione che ci fanno i Talanas non é per nulla positiva, almeno per i due-tre pezzi iniziali: l’audio è davvero terrificante, con batteria, voce e prima chitarra ad affossare completamente gli altri strumenti, fra cui un ingombrante basso a sei corde, che il nerdeggiante Mark Duffy suonerà per tutto il tempo come un invasato senza che l’audience potrà riuscire a percepirne una-nota-pulita-che-sia-una. Insomma, se i suoni hanno reso ingiudicabili le abilità dal vivo della band, apparsa comunque tecnicamente sopra la media, il bello dei Talanas si è mostrato durante le pause fra un brano e l’altro, in cui il singer, da bravo attore quale abbiamo scoperto essere col senno di poi, si è prodigato in siparietti di spiccata verve comica, un po’ alla Akerfeldt, diciamo, ma molto meno English-humoreggianti. E il bello è che Hal l’Attore E’ inglese, a differenza del cantante degli Opeth… Opeth che, assieme agli Akercocke e ai Cradle Of Filth, vengono richiamati abbastanza dalla formazione on stage, autrice di un progressive black-death-gothic metal piuttosto complesso da digerire e che certo non è stato possibile apprezzare con perizia con un’acustica così deficitaria. I miglioramenti di fine setlist sono stati evidenti e i ragazzi hanno raccolto applausi, ma nel complesso si è trattata di un’esibizione insipida. Vi rimandiamo perciò ai lavori in studio e al consulto di Youtube, per capire almeno se tali Talanas hanno retto bene la parte di apripista o no. Senza voto, ma con gran simpatia.

MY DYING BRIDE
Terminati i Talanas, i Magazzini Generali si sono affollati un pochino ma restano molto lontani dall’ottenere l’effetto-pieno raggiunto con Katatonia e Devin Townsend. Poco male, ai tanti die-hard fan della Sposa Morente non può fregare di meno di quanta gente ci sia a vedere uno dei loro gruppi preferiti, per cui è con gaudio e tripudio che, allo scoccare delle 20.30 in punto, i My Dying Bride vengono accolti da un’ovazione non appena partono gli effetti introduttivi di “Kneel Till Doomsday”, l’opener dell’ultimo lavoro in studio. Come per magia, i suoni sono settati decisamente bene e ogni strumento è udibile e presente, forse sacrificando un po’ solo l’impatto delle tastiere; mentre il violino, una volta in gioco, rischia costantemente di prendere tutta la scena per sé. Il compassato Shaun MacGowan, infatti, è il perfetto pronipote dello storico Martin Powell: un giovane poco appariscente e che sa stare al suo posto, ma che pare essersi integrato alla perfezione con il mood dal vivo della formazione di Halifax, teatrale, romantico e drammaticamente sofferente. Aaron, con i capelli rasati, è più visibile del solito, sempre con le mani e le braccia pittate di rosso e nero, a mo’ di stigmate sanguinanti. Andrew e Hamish, ai lati del palco, sono i chitarristi che ogni gruppo doom vorrebbe avere: esperti, puliti, precisi, ispirati, non troppo statici e ovviamente poco dinamici; Lena Abé dà un tocco (pesantissimo, a dire il vero) di austerità solenne e severa, non sorridendo MAI e concedendo nulla al pubblico, se non il suo particolare fascino draconiano. Infine, si ritrova piacevolmente alla batteria Dan Mullins, in passato già drummer ufficiale del gruppo e ora solo ‘acquistato’ come live sessionist. E’ con questa line-up che i Bride, dopo essersi scaldati con la suddetta, vigorosa apertura, piazzano in fila due classici incredibili del calibro di “Like Gods Of The Sun” e “From Darkest Skies”, durante i quali veniamo proiettati direttamente a metà Nineties, quando il genere viveva il suo momento qualitativo e di crescita maggiore. Soprattutto la seconda, durante i giri strazianti di violino, ci ha fatto più volte rabbrividire. Tocca poi a “To Remain Tombless” anticipare di un nonnulla quella che Aaron presenta come ‘una canzone davvero allegra, ‘Turn Loose The Swans”. Incredibile la resa della band su questo masterpiece assoluto di doom progressivo e avanguardistico, in cui il pubblico tace e acconsente di buona lena (o Lena, vedete voi…). Si prosegue a balzelli fra la copiosa discografia della Sposa e, se “The Wreckage Of My Flesh” fa precipitare tutti in una lenta e macabra depressione, la seguente “She Is The Dark” si candida ad essere l’episodio meglio eseguito dalla band quest’oggi, per partecipazione e convinzione: un brano epico, potente e sinistro che ha davvero pochi eguali. Il singolo di “A Map Of All Our Failures”, “The Poorest Waltz”, viene suonato di seguito e, grazie alle sue melodie romantico-decadenti, si candida a piccolo, nuovo classico dei nostri inglesi. Nel silenzio del post-applauso di fine brano, poi, ecco partire l’indimenticabile incipit di “The Cry Of Mankind”, con le dita di Hamish Glencross che scorrono glaciali sul manico della chitarra per disegnare le spirali mortifere di una melodia fra le più struggenti mai udite (ma sì, esageriamo, tanto siamo alla fine del mondo!). I My Dying Bride si saranno probabilmente un po’ stufati di suonare questa song, il loro trasporto non ci è parso all’altezza di quello del pubblico, ma non si riesce proprio a dire nulla di negativo nei confronti di un pezzo di moltissimo superiore alla media. Ci viene risparmiata, poi, la scenetta della finta chiusura di set e successivo rientro, quindi Aaron e compagni inanellano ancora un’accoppiata di canzoni prima di salutare, chiudendo con l’immensa “The Dreadful Hours”, suonata senza l’uso di basi o qualichesiano magheggi. L’audience tributa ai propri beniamini un lungo applauso condito da urla e richieste di ‘one more song!’, ma, una volta scesi dal palco, i ragazzi è probabile abbiano avuto un diniego alla richiesta di poter suonare, appunto, un’ultima track supplementare. O forse – chissà! – non sono ancora in grado di improvvisare senza allenamento una “The Forever People” qualsiasi! Concerto stupendo, insomma, completamente diverso ma ugualmente emozionante rispetto ai Meshuggah di soli sette giorni prima, per un finale d’anno veramente col botto! My Dying Bride, una stirpe di Re immortali.

Setlist:
Kneel Till Doomsday
Like Gods Of The Sun
From Darkest Skies
To Remain Tombless
Turn Loose The Swans
My Body, A Funeral
The Wreckage Of My Flesh
She Is The Dark
The Poorest Waltz
The Cry Of Mankind
Like A Perpetual Funeral
The Dreadful Hours

 

 

5 commenti
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