Report a cura di Chiara Franchi
Serata diabolica al Revolver Club di San Donà di Piave, che ancora una volta si trasforma nel rifugio preferito per gli adepti della Nera Fiamma. L’attesissimo ritorno dei Naglfar, inizialmente previsto a Bologna, si è infatti spostato in queste nebbiose lande, arricchito da due apripista d’eccezione come Anomalie e Schammasch. Ci rammarica dover prendere atto della scarsa affluenza di pubblico per questo evento, che fin dal momento del suo annuncio ci era sembrato un boccone assai goloso per i fan del genere: gli svedesi Naglfar disertano infatti i tour europei da oltre due lustri e le band di apertura sono annoverabili tra le new sensation dell’ultimo decennio. Sappiamo che il locale ha goduto di miglior fortuna qualche sera dopo, con i The Dead Daisies sul palco davanti ad una sala gremita, ma auguriamo una congrua risposta anche per le prossime, interessantissime proposte metal del cartellone 2019. Con gli Anomalie in chiusura, siamo pronti ad iniziare la nostra serata da quello che, per chi vi scrive, è uno degli eventi più attesi dell’inverno: l’esibizione degli Schammasch.
SCHAMMASCH
“De la chair / A la terre / Trois faisceaux de lumière”: agli Schammasch bastano le battute iniziali di “Consensus” per rapire l’attenzione del pubblico. Nome tra i più interessanti di una certa scuola black-death dalle tinte malinconiche e meditative, gli svizzeri dimostrano fin dai primi minuti una classe imponente, sorretta dalla loro musica lussureggiante e visionaria. L’oscura eleganza della band passa anche per la sua presenza scenica, algida ma coinvolgente. Attorniato dai suoi musicisti, il frontman Christopher Ruf è una colonna nera sulla quale risaltano un terzo occhio dorato e i riflessi della tunica ricamata. Per tutta la durata dello show, gli Schammasch incedono sicuri tra i meandri del loro ultimo full-length, il monumentale “Triangle”, e quelli del più recente EP “The Maldoror Chants: Hermaphrodite”, conservandone intatta la potentissima carica emotiva ed espressiva. È questo, senza dubbio, il loro grande punto di forza live: la potenza evocativa, che riesce a tenere l’ascoltatore col fiato sospeso anche su brani che sfiorano i dieci minuti di durata. Davanti ad un’esibizione così bella, nel senso più ampio del termine, ci sembra ridicolo voler fare gli avvocati del diavolo e segnalare quali metaforici peli potevano essere strappati dalla superficie dell’uovo. A un passo dalla fine e al grido di “Metanoia”, possiamo dirci più che appagati.
NAGLFAR
‘Naglfar’ significa, letteralmente, ‘nave di unghie’. È il nome di un vascello leggendario della mitologia norrena, costruito con le unghie dei morti, il cui varo segnerà l’inizio del Ragnarok. Non sappiamo se il ritorno sulle scene dell’omonima band svedese darà anch’esso il via alla fine del mondo, ma di sicuro possiamo testimoniare che, almeno al Revolver, ha portato un bel po’ di sano caos. Lasceremo da parte le considerazioni sulla carriera passata e futura della formazione (che pare abbia un nuovo disco in cantiere) per limitarci a dire che così come stanno, nel 2018, dieci anni dopo il loro ultimo tour europeo, i Naglfar sembrano in buona salute. Almeno da un punto di vista scenico e musicale, perché sulla sobrietà dell’allucinatissimo Kristoffer Olivius nutriamo seri dubbi. Al di là della sua grottesca mimica facciale, comunque, Olivius si dimostra assolutamente all’altezza della situazione, coadiuvato da una lineup di tutto rispetto che vede al suo fianco, oltre agli ormai rodati Nilsson e Norman, Efraim Juntunen di Persuader e Guillotine alla batteria e Alexander ‘Impaler’ Friberg dei Necrophobic al basso. Purtroppo non possiamo esprimerci positivamente anche sul sound, che rispetto all’esibizione degli Schammasch risulta assai più sporco e impastato, a tratti perfino un po’ piatto.
La setlist è un volo in picchiata lungo tutta la discografia della band scandinava: nessun album manca all’appello, dai seminali “Vittra” e “Diabolical” all’ultimogenito “Tèras”, per una durata complessiva di oltre un’ora. Si parte con “Feeding Moloch”, per proseguire in un’inarrestabile galoppata avanti e indietro negli anni Duemila, in climax costante. Il pubblico risponde con entusiasmo: se gli aristocratici Schammasch avevano ipnotizzato il parterre, l’appeal aggressivo e melodico dei Naglfar è un irresistibile invito all’headbanging e perfino ad un pogo poco affollato ma genuino. Le ultime cariche di cavalleria, “As The Twilight Gave Birth To The Night”, “I Am Vengeance” e “The Brimstone Gate” sono accolte con un calore che rende ampiamente giustizia alla professionalità della band, che a prescindere dalle presenze ha macinato riff, doppia cassa e screaming diabolico senza risparmiarsi. Il nostro bilancio è quindi assolutamente positivo, ma abbiamo ragione di credere che nel 2019 ci sarà occasione per molti dei nostri lettori di farsi una loro opinione.