In attesa che il loro nuovo album venga dato alle stampe (si parla della seconda metà del 2020), i Napalm Death chiudono in grande stile il ciclo promozionale relativo al fortunato “Apex Predator – Easy Meat” con un tour in compagnia di vari pesi massimi del mondo death-grind e non. Prima degli headliner, le leggende di NOLA Eyehategod – freschi reduci dal recupero di Jimmy Bower, ora pienamente in forma dopo l’operazione al braccio che lo ha tenuto fermo per parecchi mesi – sono infatti chiamati ad aprire una parentesi lenta e torbida in un cartellone altrimenti dominato dalle sonorità più serrate e laceranti. Si apre con i Bat, speed-thrasher guidati da due elementi dei ben più noti Municipal Waste, e si prosegue con i paladini del grind nordeuropeo Rotten Sound e con gli statunitensi Misery Index, questi ultimi ormai definitivamente rilanciatisi dopo il successo del recente “Rituals of Power”. Il tour non fa tappa in Italia, ma abbiamo modo di assistere alla data londinese, la quale viene ospitata nel capiente Electric Brixton, ex teatro che in verità non accoglie eventi metal molto spesso. Un peccato, in quanto, con le sue ampie dimensioni e un’acustica notevole, si tratta certamente di uno dei migliori locali della capitale britannica. Come previsto, la risposta di pubblico è considerevole e, anche se non riusciamo ad assistere al concerto degli opener, una volta entrati abbiamo l’impressione che il supporto da parte degli astanti si sia fatto sentire anche per i Bat…
Grandi fan degli headliner – e come potrebbe essere altrimenti, vista la natura della loro proposta? – i ROTTEN SOUND paiono tenere particolarmente a ben figurare davanti al pubblico. La formazione finlandese gode da subito di suoni più che discreti e non tarda a coinvolgere la platea con la sua concitata miscela di classico grindcore scandinavo, old school death metal e derive crust hardcore. Il gruppo si è da poco separato dal bassista di lungo corso Kristian Toivainen, ma l’affiatamento con il suo giovane rimpiazzo è già buono e difatti il quartetto nella mezzora a propria disposizione non cambia affatto il suo approccio, cimentandosi nella consueta carneficina con pochissime soste fra i brani. Si passa ad un sound più torvo e corposo con i MISERY INDEX, realtà che negli anni ha irrobustito di parecchio la propria musica, passando da un grind di marca Terrorizer ad un ibrido death/grind/thrash maggiormente strutturato. Da tempo gli statunitensi possono contare su due frontman, visto che il bassista e membro fondatore Jason Netherton oggi divide tutte le linee vocali con il chitarrista Mark Kloeppel: il doppio attacco al microfono e una scaletta sapientemente incentrata su molti dei brani più catchy e dinamici del repertorio, perfetti per fare esaltare il mostruoso Adam Jarvis dietro i tamburi, rendono lo show del quartetto di Baltimore particolarmente divertente. Su episodi come “The Carrion Call” e “Hammering the Nails” assistiamo al primo pogo della serata e i quattro si congedano palesemente soddisfatti. Missione compiuta.
Come accennato, i toni cambiano quasi radicalmente e le ritmiche rallentano tantissimo con l’arrivo della famigerata band di New Orleans. Gli EYEHATEGOD non hanno certo bisogno di presentazioni, nè evidentemente hanno in mente di fare qualcosa per ingraziarsi il pubblico che è qui per gli altri gruppi in programma. Mike Williams, non a caso, dichiara subito che la musica della sua band è “orgogliosamente senza blastbeat dal 1988”. In sala scoppiano le risate, ma poi il focus si sposta sul muro di suono southern/sludge creato dai quattro statunitensi, i quali giustamente procedono per la propria strada chiamando sotto il palco tutti i fan – e sono tanti – giunti qui anche e soprattutto per loro. Con circa tre quarti d’ora a propria disposizione, gli Eyehategod riescono a passare in rassegna tutti i propri classici senza fare grandi sacrifici, dimostrando di avere superato la temporanea defezione di Bower e di essere prontamente riusciti a ritrovare la loro tipica coesione. Pezzi come “New Orleans is the New Vietnam” o “Masters of Legalized Confusion” lasciano il segno e fanno la loro figura in ogni contesto.
Infine, giunge il momento degli headliner. Chi scrive ha assistito a circa una trentina di show dei NAPALM DEATH nel corso della propria vita, ma i padri del grindcore riescono ancora ad emozionare quando in serata di grazia. Questo tour inoltre è solo teoricamente legato all’ultima fatica in studio, quell’“Apex Predator…” ormai vecchio di cinque anni; per renderlo qualcosa di speciale e per togliersi qualche sfizio prima che il materiale del nuovo album vada ad occupare un posto di rilievo nelle prossime date live, Barney e soci si presentano con una scaletta ampiamente rinnovata che si rivela perfetta per stuzzicare l’interesse dei fan di vecchia data. Si parte così con “Discordance” / “I Abstain” da “Utopia Banished” e poi trovano spazio, fra altri brani più o meno recenti, “Can’t Play, Won’t Pay” – traccia clamorosa estratta dal mai troppo celebrato “Enemy of the Music Business” – “Mass Appeal Madness” dall’omonimo EP del 1991, la devastante “If the Truth Be Known” da “Harmony Corruption”, “Cleanse Impure” dal controverso “Words From the Exit Wound” e un’ampia selezione di episodi dai seminali “Scum” e “From Enslavement to Obliteration”. Non sarebbe tuttavia ‘da Napalm Death’ guardare solo al passato, così i quattro ci ricordano di avere una nuova opera in dirittura d’arrivo: il recentissimo singolo “Logic Ravaged by Brute Force” concede un po’ di respiro in mezzo a tutta questa brutalità death-grind con il suo spiccato carattere melodico debitore dei Killing Joke, mentre in chiusura arriva una rumorosa cover di “White Cross” dei Sonic Youth, pezzo anch’esso rilasciato di recente come B-side del succitato nuovo brano. In tutto questo, la band durante il concerto da continuamente prova di essere sempre affamatissima e di non sentire il peso degli anni. Giuste le pause ogni paio di canzoni, ma niente di troppo esteso. Barney e soci sanno come mantenere alta la tensione e nella loro prova va anche sottolineato il puntuale contributo del chitarrista/cantante John Cooke, ormai praticamente divenuto un membro ufficiale/noto della line-up, visto che Mitch Harris continua a non dare segni di vita. Sono sei anni che questa formazione gira il mondo, indi per cui ci sentiamo di affermare che in Cooke i Napalm Death abbiano trovato un elemento con cui a tutti gli effetti vivere e sviluppare questo capitolo della loro carriera. Insomma, solo luci in questo ennesimo show londinese della storia dei veterani di Birmingham. Non è da tutti riuscire ad esprimersi su questi livelli di impatto e coesione, e al contempo continuare ad avere voglia di esplorare e rivisitare una discografia enorme e ricca di sfaccettature. Un vero successo per una band sempre più esemplare e leggendaria.