03/11/2011 - NECKBREAKERS’ BALL 2011 @ Live Music Club - Trezzo Sull'Adda (MI)

Pubblicato il 06/11/2011 da

Report a cura di Marco Gallarati
Foto a cura di Francesco Castaldo

Chiaramente ispirato nel nome alla popolare – almeno fra i metallari – trasmissione televisiva degli anni ’90 Headbangers’ Ball, il festival itinerante, giunto alla quarta edizione, Neckbreakers’ Ball arriva in Italia allo scoccare della prima settimana di spettacoli. Il futuro concertistico dell’heavy metal pare ormai essere sempre più in mano a questi numerosi pacchetti musicali che uniscono la quantità – a volte pure troppa! – ad una buona qualità, che non sempre però ha il pregio di rivelarsi tale. Risultati molto altalenanti infatti, come leggerete, ha fatto registrare la data svoltasi al Live Music Club di Trezzo in un inizio novembre quanto mai tetro: i Dark Tranquillity sono ovviamente gli headliner di questa offerta, per spessore stilistico, tradizione e successo commerciale una spanna sopra tutti gli altri gruppi; ma da non sottovalutare il gran bel responso ottenuto dagli Eluveitie, band in sicura crescita; i finnici Omnium Gatherum, gli svizzeri Gurd, i tedeschi Varg e i danesi Mercenary hanno completato il plotone di formazioni all’appello di un festival piacevole nello svolgimento, solo discreto nell’affluenza di pubblico e da rivedere nei contenuti. Metalitalia.com, nella persona di chi scrive, ha avuto l’arduo compito di seguirlo dall’inizio, quindi per cominciare occhi e orecchie agli Omnium Gatherum…

 

 

OMNIUM GATHERUM
Avevamo visionato la band finlandese, l’ultima volta, quando suonò di supporto ai Rotting Christ alla Rock’n’Roll Arena di Romagnano Sesia, senza che gli Omnium Gatherum ci impressionassero molto, a dire la verità. Si temeva quindi, in questa occasione, di doverci sorbire un’altra performance piuttosto anonima. E invece no: gli opener della serata, con a loro svantaggio il fatto di doversi esibire di fronte a neanche tre file di spettatori, ci hanno saputo far cambiare idea in parte, sciorinando una mezzoretta e poco più di spettacolo decente e ben suonato. Buoni esecutori di partiture non così semplici e assimilabili come il death melodico proposto potrebbe fare pensare, i ragazzi capitanati dal chitarrista Markus Vanhala (oggi anche negli Insomnium) hanno nel loro frontman Jukka Pelkonen croce e delizia del loro approccio on stage: forse ci ripetiamo, ma l’eterno ed ebete sorriso e le corna mostrate in modo sfiancante da Pelkonen per tutta la setlist sono a tratti così auto-ironici da farci sperare che il singer lo faccia per prendersi gioco del pubblico; non stiamo neanche a citare il probabile utilizzo di basi nelle sezioni di voce pulita, in quanto ormai trattasi di pratica parecchio diffusa. Bella prestazione, ad ogni modo, per gli Omnium Gatherum, che con brani quali “Nail” e “New World Shadows” ci hanno mostrato un piglio decisamente migliore rispetto all’occasione precedente, prima di chiudere il set con l’epica, lunga e decadente “Deep Cold”, scelta coraggiosa e quantomeno apprezzabile.

 

GURD
Probabile che in molti non lo saprete, ma gli ‘sconosciuti’ Gurd sono in realtà in giro da tantissimi anni, hanno ben nove full-length sul groppone e nella seconda metà dei Nineties ebbero pure la ghiotta chance di pubblicare tre dischi per l’allora seminale Century Media. Poi, evidentemente, qualcosa andò storto in quel di Berna, Svizzera, in quanto i Gurd sono spariti dalle scene pur non essendosi mai sciolti e pur avendo continuato a editare materiale. Scelte promozionali sbagliate o poco rivolte all’Italia, sicuramente, ma forse anche una poca chiarezza di idee musicali e stilistiche: saliti su un palco drappeggiato da due teli neri con raffigurate due teste d’alieno bianche e stilizzate, i bernesi son partiti sparati con “Never Fail”, una rapida manata thrash manco la band fosse l’unione micidiale di Slayer e Kreator; verso metà concerto, però, ecco l’esecuzione di “What Do You Live For”, un chiaro esempio di nu-metal grooveggiante e con vocals quasi rappate, per cui abbiamo scomodato anche l’ostico paragone con i maestri Downset, davvero ingrato per i rap-corers ispano-americani; a chiudere, il pezzo “Terminate”, thrash metal ossessivo e quadrato, con leggere atmosfere industrial. E quindi il sospetto che i Gurd siano la classica formazione che ha perso in passato la grande occasione e che ha cercato di sopravvivere aggiustando un po’ i propri gusti musicali a seconda del periodo…ecco sì, questo sospetto ci è venuto. L’adrenalina per il loro thrash-groove metal, quindi, è scorsa in fretta davanti ai nostri occhi, per poi affievolirsi in breve tempo, andandosene rapidamente come se ne era venuta. Buon per loro che, intanto, la venue ha iniziato ad affollarsi…

 

VARG
Dagli alieni si passa ai lupi: i drappi extraterrestri vengono sostituiti da un gigantesco striscione rosso-nero e da due immagini di lupi famelici. No, non si tratta dei meta-lupi degli Stark (fan della saga Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, voi capirete), ma soltanto i lupi della Germania dei Varg, pagan-black metal band che anche da noi pare riscuotere un vigoroso successo, a giudicare dal bailamme creato in platea e dalla quantità di pogo generato, addirittura sfociato in un wall-of-death del tutto atipico – e francamente inutile – per una band che suona suddetto genere. Comunque sia, i ragazzi dipinti nei colori del sangue e della notte, fra l’altro parecchio somiglianti ai più noti Turisas, ci hanno sorpreso alquanto per capacità di coinvolgimento ed intrattenimento, nonostante il loro sound sia in regola con gli stilemi del pagan-black metal, con in aggiunta qualche interessante passaggio più moderno e groovy. Diciamo che a livello di sonorità, i Varg si posizionano a metà strada tra Suidakra, Naglfar ed Endstille, con le impennate folk-death dei primi, il riffing lacerante ma potente dei secondi e il furore black dei terzi. Brani come “Wolfskult”, “Wir Sind Die Wolfe” e “Wolfszeit” – notare la varietà ‘lupina’ dei titoli delle canzoni – hanno fatto breccia nell’audience, fino all’esecuzione della profonda “Sehnsucht” e della cover a sorpresa di “Links 2 3 4” dei Rammstein, definiti dal frontman Freki come una notevole influenza per il gruppo, sicuramente più a livello attitudinale che non sotto il profilo prettamente musicale. Bel concerto dunque per i Varg, in grado di animare una platea ancora bisognosa di entrare nel vivo della manifestazione. Ma ora, se permettete, ci andiamo a mangiare un panino al chioschetto fuori…

 

MERCENARY
Rientriamo nel Live Music Club quando i danesi Mercenary hanno attaccato da qualche minuto il loro tempo a disposizione. Anche per loro, un po’ come per gli Omnium Gatherum, l’ultimo nostro ricordo si risolve in una mezza-delusione, quando scesero in campo la stagione scorsa di supporto ai Nevermore, assieme a Symphony X e Psychotic Waltz. Il grosso problema del quartetto melo-death questa sera, oltre ad essere in un limbo artistico che ne definisce troppo poco ed in maniera anonima i connotati musicali, è che è salito on stage dopo i Varg, che sono stati in grado di appassionare bene il pubblico. Accoglienza fredda e a tratti assente, perciò, per i Mercenary, gruppo che pare aver già detto tutto negli anni passati e che ora si barcamena alla meglio in una risacca compositiva che dice pochetto. Il vocalist/bassista René Pedersen non convince dal vivo, inutile girarci intorno: né come cantante, né come frontman; unito a suoni non particolarmente aggressivi e male calibrati, il dado è stato presto tratto. L’attesa per Eluveitie e Dark Tranquillity comincia a farsi pressante e pesante e i ragazzi di Aalborg hanno rappresentato un’insufficiente preparazione. Per oggi bocciati, ma ci piace sperare sia colpa nostra o di una semplice giornata storta…

 

ELUVEITIE
Il sentore del sorpasso – se ci passate la terminologia calcistica – era un po’ nell’aria, o comunque era considerato possibile. Gli svizzeri Eluveitie (chiariamolo bene: si pronuncia ‘el-vei-ti’) sono ormai da anni fra i massimi esponenti della corrente folk metal, se non forse il miglior gruppo della nuova ondata, assieme agli Ensiferum e a qualche band meno nota, come ad esempio gli estoni Metsatoll; i Dark Tranquillity, invece, sono entrati in una parabola discendente forse poco evidente ai nuovi fan, ma piuttosto pesante nel giudizio di quelli più old-style, come è il sottoscritto. E quindi dobbiamo proprio scriverlo: i vincitori della serata sono stati certamente gli otto ragazzi elvetici, affiatatissimi sul palco e pronti a divertirsi e a divertire il pubblico, condotti fieramente dal carismatico Chrigel Glanzmann, frontman di presenza, forma e sostanza, abile vertice di una formazione che riempie il suono tradizionale della strumentazione metal con abbondanti intromissioni di strumenti etnici – flauti, cornamusa, fiddle, mandolino, ghironda – tutti genuinamente suonati dal vivo e, chi più chi meno, ben udibili dalla platea. Platea che ha dimostrato di conoscere la band profondamente, tributando fin dall’avvio le giuste ovazioni, ma esplodendo d’entusiasmo all’esecuzione della hit “Inis Mona”, vero e proprio inno degli Eluveitie. L’ora di performance è scorsa via veloce e senza nessun intoppo, anzi abbiamo visto all’opera un combo che ha dato l’impressione di poter reggere benissimo il palco anche per un tempo superiore. I suoni sono stati più che buoni, ma ci pare giusto sottolineare come moltissimo del materiale effettivamente suonato si perda in automatico nel marasma generato dal suono contemporaneo di otto o più strumenti. Segnalato ciò, non ci resta che riportare l’apoteosi finale della lunga “Tegernako” a suggello di un’esibizione esplosiva e vincente!

 

DARK TRANQUILLITY
Come accennato sopra e dopo aver visto gli Eluveitie all’opera, per gli Swedish Gods Dark Tranquillity il compito di ergersi a protagonisti della serata era complicato e probabilmente raggiungibile solo con sorprese in setlist, ultimamente sempre poco varia e con sussulti minimi. E’ evidente come la band sia un po’ in parabola discendente, anche per lo spazio lasciato vuoto nel locale, non certo paragonabile ai pienoni avuti negli anni scorsi, a prescindere dalla grandezza della venue. L’attacco è affidato a “Terminus (Where Death Is Most Alive)”, brano fra i più affidabili e coinvolgenti delle ultime produzioni del gruppo, orecchiabile ma anche bello massello, sempre un piacere riascoltarlo. Le chitarre di Sundin e Henriksson ed il basso di Antonsson ci paiono subito un po’ sacrificati, a favore di un suono sì organico e compatto ma anche poco ‘live’ e dal sapore plasticoso, con Jivarp e Brandstrom – batteria e tastiere – fin troppo presenti e roboanti; la voce di Stanne – incredibilmente in maglietta e non in camicia, e pure un po’ palestrato secondo noi! – proviene da cavità echeggianti e lontane, anch’essa un po’ anonima e con effetto troppo ‘da studio’. Insomma, i suoni proprio non ci sono piaciuti, scusate. E per quanto riguarda la setlist certo non possiamo fare i salti di gioia: decisamente portata verso il materiale più ‘commerciale’ del gruppo, ha presentato le hit meno aggressive e caustiche, addirittura rispolverando “The Mundane And The Magic”, con l’utilizzo della voce registrata di Nell dei Theatre Of Tragedy, altra ‘trovata’ abbastanza discutibile. Noterete ovviamente, scorrendo i titoli qui sotto, l’assenza completa di pezzi estratti da “The Gallery” e “The Mind’s I”: la band ha giustamente optato, essendo un festival e non un tour da headliner, per un lotto di brani un po’ più orientato all’acchiappo di fan provenienti da altre scene, ciò è comprensibile; ma ci viene comunque da storcere il naso al percepire la poca genuinità di uno show luccicante e minuziosamente preparato, con video ad hoc sul telone alle spalle e basi pronte a partire, tanto programmato al secondo che, al raggiungimento dell’ultima canzone, mentre mezza audience invocava “Lethe” o “Punish My Heaven”, Stanne si è visto costretto ad annunciare “The Fatalist”, tra i debolucci olé del pubblico. Pazienza, i DT hanno riscosso comunque un gran bel successo, con tanto di bandiere e striscioni offerti in loro onore. Chi scrive si è dovuto accontentare di godere della solita, incredibile “Final Resistance”, di “The Sun Fired Blanks” e dell’ottimo inedito “Zero Distance”, composto per la Tour Edition dell’ultimo disco “We Are The Void”, da poco disponibile nei negozi. Ci rendiamo conto di essere troppo fiscali con questa band, anche perché rivederla è sempre un piacere a cui rinunceremmo difficilmente, perciò speriamo vivamente in futuro di poter cambiare approccio al report.

Setlist:

Terminus (Where Death Is Most Alive)
In My Absence
The Treason Wall
Lost To Apathy
The Wonders At Your Feet
The Mundane And The Magic
Blind At Heart
The Sun Fired Blanks
Inside The Particle Storm
Zero Distance
Dream Oblivion
Final Resistance
Misery’s Crown
The Fatalist

 

 

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