A cura di Luca Pessina
DISKREET
Nelle prime settimane del tour, il ruolo di opener era spettato ai Burning Skies, mentre per le date inglesi l’onore e l’onere di scaldare la folla in attesa dei “pezzi grossi” è toccato agli americani Diskreet, band di punta della neonata Siege Of Amida Records, label affiliata alla più nota Candlelight. Il gruppo, artefice di un death-grind dalle venature core vagamente alla Despised Icon, si è reso protagonista di uno show solido e dal grande impatto, che per poco più di venti minuti è riuscito a divertire buona parte degli astanti. Non ha sempre convinto il frontaman, soprattutto quando chiamato a cantare nelle parti più veloci, ma il resto della band e soprattutto il bassista non hanno affatto sfigurato. Cercheremo di seguirli con una certa attenzione in futuro…
ORIGIN
Sfortunati, gli Origin. La loro proposta, come noto, è già di per sè di difficile assimilazione, tanto è colma di dissonanze, tecnicismi e ritmiche tiratissime. Se poi quest’ultima viene riproposta con dei suoni impastati, che limitano soprattutto il lavoro della chitarra, il gioco è fatto… nessuno capirà nulla. Questa sera purtroppo a loro è andata male… vista la comunque buona qualità del loro materiale potevano essere la rivelazione della serata, invece con dei suoni così confusi non sono riusciti a lasciare il segno, facendosi soltanto ricordare come una band volenterosa, ma il cui sound è tutt’ora cosa ignota ai più. Buona comunque la prestazione del batterisa John Longstreth e del frontman James Lee, che con la sua imponente stazza è riuscito a coprire il palco in maniera davvero convincente.
MISERY INDEX
Di tutt’altra pasta, invece, i suoni di cui hanno goduto i Misery Index: potentissimi e sufficientemente definiti. La band statunitense ha attaccato con un micidiale medley “Retaliate”/”Conquistadores” e nel giro di un paio di secondi è riuscita a scatenare l’inferno nel pit, che si è presto tramutato in una parodìa di un film di Jean Claude Van Damme! Visibilmente compiaciuti d tale reazione degli astanti, i nostri hanno quindi sfoderato una performance d’eccezione, che li ha visti suonare con grande perizia (sugli scudi, come sempre, il velocissimo batterista Adam Jarvis) e ripercorrere tutta la loro carriera, dall’EP d’esordio “Overthrow” (rappresentato da “Manufacturing Greed” e “Pulling Out The Nails”) ai full-length “Retaliate” e “Discordia”, dalle quali sono state ovviamente estratte la maggior parte delle composizioni proposte, fra cui “The Great Depression”, “Demand The Impossible” e “Outsourcing Jehovah”. L’ottima prestazione di Jason Netherton dietro al microfono è stata infine la ciliegina sulla torta. Concerto esaltante!
NECROPHAGIST
Poco importa se la loro presenza scenica a tratti è inesistente… i Necrophagist dal vivo sono una vera e propria macchina da guerra, che è in gardo di riproporre fedelmente tutto il suo articolatissimo materiale senza prendersi praticamente alcuna sosta. Questa sera il combo teutonico a livello tecnico si è di nuovo dimostrato una spanna sopra rispetto alla concorrenza, offrendo un set di circa cinquanta minuti senza alcuna, anche minima sbavatura. Si può tranquillamente affermare che il leader Muhammed Suicmez per tutto l’arco del concerto non abbia compiuto nemmeno un singolo passo per allontanarsi dal suo microfono, tuttavia, ogni volta che si è lanciato in uno dei suoi sempre più celebri assoli, gli applausi a scena aperta si sono sprecati. I Necrophagist sono una band che mette al centro dell’attenzione esclusivamente la bontà del proprio materiale, senza badare a qualsiasi altro orpello. Il quartetto sale sul palco e non fa praticamente altro che suonare, ma, se si apprezza il suo stile, è a dir poco arduo rimanere impassibili e non lasciarsi prendere dall’entusiasmo di fronte a tale perfezione! Questa sera hanno particolarmente convinto “Seven” e “Foul Body Autopsy”, ma, come dicevamo, l’intero show non ha fatto registrare una sola caduta di tono. Dei del techno-death!