22/03/2014 - NERO DI MARTE + VOID OF SLEEP @ Sinister Noise Live Club - Roma

Pubblicato il 27/03/2014 da

Carichi emotivamente per una serie di date in programma nel corso dell’anno, fra cui quella di supporto a Gorguts e Misery Index alla fine di aprile, soddisfatti di un successo per il loro debutto che va crescendo col passare del tempo accompagnato da continui attestati di stima e complimenti che crescono in maniera esponenziale, i Nero Di Marte sono tornati a suonare dal vivo a Roma. Assieme a loro un’altra grande band italiana, i Void Of Sleep, gruppo anch’esso autore di un ottimo debutto che tutti gli amanti di sonorità vicine allo stoner non possono farsi sfuggire. Le premesse erano entusiasmanti. Lo show è stato fantastico. Il giorno dopo si è consumato il disastro. I due gruppi, stipati in un vecchio furgone affittato per la calata romana, sono stati infatti oggetto di un furto di tutto il loro materiale (i ladri hanno lasciato solo la cassa della batteria), merchandise e anche cassetta dei soldi per quanto riguarda i Void Of Sleep. Qui potete leggere la ricostruzione dei fatti e dare una mano per la ricerca degli strumenti del gruppo. Ma ora torniamo indietro nel tempo e ripercorriamo lo show delle due band tenutosi al Sinister Noise, preso d’assalto per l’occasione, con la speranza che il tributo dei fan e degli addetti ai lavori verso due delle realtà più convincenti e fresche del panorama metal italiano sia da supporto per ripartire. Ad aprire lo show due band agli esordi, Otsunami e Ozaena, molto simili ai Pantera i primi, post hardcore gli altri. Brevi set di cui abbiamo ascoltato poco per dare un giudizio approfondito, comunque si tratta di band ancora in fase di rodaggio.  

nero di marte roma

VOID OF SLEEP
Con gli avventori del Sinister Noise che con tremolanti bicchieri carichi di birra scendono di fretta la scalinata che conduce alla sala per i live, i Void Of Sleep effettuano gli ultimi controlli e partono subito con “Blood On My Hands”, opener del loro album “Tales Between Reality And Madness”. I suoni sono buoni e il gruppo riesce subito a rendere dal vivo le atmosfere che permeano dalle parti più soft dei loro brani, perfetta miscela di ruvidezza e melodia. Una stratosferica “Wisdom Of Doom”, ci consente di saggiare subito le doti vocali di Riccardo Pasini, abilissimo a spezzare la corposa sezione ritmica con la sua delicata voce, specie nella parte centrale del brano quando emerge la vena prog dei quattro, schiacciata nell’estremità delle ritmiche stoner che all’inizio e alla fine caratterizzano il magnifico brano. La cosa che subito ci entusiasma è che rispetto ai suoni azzimati ascoltabili su CD i Void Of Sleep dal vivo profittano della dimensione live, ampliando la potenza dei brani, decisamente più irruenti rispetto alla versione studio in termini di impatto. E quindi è dal vivo che possiamo esaltarci di fronte allo speciale connubio figlio di ritmiche pachidermiche alternate a passaggi snelli e veloci, con uno spettro vocale ampio e perfettamente adagiato sul resto. Esempio lampante di quanto appena scritto è “Lost In The Void”, esercizio strumentale per larghi tratti del brano, superbo nelle molteplici soluzioni adottate lungo gli otto minuti fra i più corti di sempre in quanto a piacevolezza dell’ascolto. I ravennati propongono anche un pezzo nuovo, stilisticamente simile a quanto già proposto fin’ora. Il brano ha i soliti lunghi intermezzi strumentali, costruiti per creare l’attesa verso il refrain melodico, con quel gusto raffinato nell’addolcire quello che ruvidamente è stato creato fin lì. L’eccellenza di questa proposta è riscontrabile nella estrema naturalezza di questo processo: vi sembrerà così naturale ascoltare queste soluzioni che non riuscireste ad immaginarne altre. Chiude lo show “The Great Escape Of The Giant Stone Man”, brano costruito su un paio di riff massicci che ben presto debordano in quanto a coinvolgimento, “sedati” solo dal ritornello, e con la parte centrale dominata dalla strumentalità, un tripudio di riff circolari, violenti percussioni sulla batteria e un basso dal suono così ridondante che sembra provenire da ogni muro del Sinister Noise.  Ottimo show, gruppo assolutamente meritevole della vostra attenzione, il futuro è loro.

NERO DI MARTE
Fra pedaliere immense che a stento si allineano sul palco nella frontline, gli ultimi controlli dànno il via libero a tre minuti di una sorta di litania post-apocalittica, con le chitarre a stridere vorticosamente e la batteria a esaltare un crescendo che culmina, mentre la catarsi è ai massimi con il pubblico immobile e rapito, vitreo nello sguardo verso il palco, quando Marco Bolognini comincia a percuotere sui tom della sua batteria dando il La a “Convergence”, con Sean Warrel che urla “Fallen” aprendo l’ugola e scatenando le ritmiche, ora vorticosamente impazzite e velocissime. Bolognini, appena rientrato dopo un’operazione, dimostra di avere innato il tocco sulle palli; si ammirano le scie lasciate dalle sue bacchette mentre i beats per minute diventano insostenibili per i più. Le chitarre intanto iniziano a rincorrersi con quei riff mai lineari, sempre rapidi e intricati, dissonanti. La platea si esalta, atterrita da una brutalità così sfrontatamente comminata. E allora ecco “Time Dissolves”, a esaltare un’altra delle qualità dei Nero Di Marte, ovvero la capacità di ipnotizzare con la loro musica. La loro forza è l’unione di una ritmica corposa che porta a vivere fisicamente lo show, unita però a delle sequenze di chitarra ipnotiche, trame che si intrecciano come un’elica desossiribonucleica, che sembrano andare poi in mille pezzi quando arrivano le scariche in blast della batteria, precedute da vorticosi passaggi. Con il pubblico in visibilio, stretto nella ragnatela tessuta dal suono dei bolognesi, arriva la summa della loro essenza con “Nero Di Marte”, dodici minuti di vari stati d’animo, di assaggi e passaggi di varie sonorità che attraversano la velocità, il tribale, il rituale, l’acustico, con Bolognini nocchiero della nave Nero Di Marte a scandire col suo strumento i tempi e il mood del brano, annunciando l’arrivo della velocità o scemando verso le placide armonie della parte centrale. Il gruppo, in procinto di registrare un nuovo album per la Prostethic Records entro la fine dell’anno, propone anche un nuovo pezzo visto che la folla non è ancora sazia alla fine del loro previsto minutaggio. E allora in pasto ai leoni arriva un brano ancora senza titolo, caratterizzato dall’inizio placido e dalle ritmiche mai estreme, sempre caratterizzato dal crescendo strumentale, assurdo in alcuni tratti in cui si rasenta la cacofonia, tale è la saturazione raggiunta a livello di suoni udibili in maniera logica, per un effetto stranissimo, come a preludere la nemesi. Brano lungo, anche questo, perché i quattro necessitano di tempo per dipanare le loro idee, che fuggono l’impatto e la facile assimilazione. Faticano a scendere dal palco a fine show perché si è formato un capannello di fan desideroso di complimentarsi e stringere mani. E un altro capannello attende i quattro al banco del merchandise. È da qui che bisogna ripartire, il buio pesto del day after, nero come solo il pigmento Nero Di Marte sa essere come ben sanno gli intenditori di pittura, schiarirà man mano che i giorni passeranno. Anche a questo serve l’amore dei fan.

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