Foto di Niels Vinck: Disentomb, Primitive Man, Magrudergrind, Agoraphobic Nosebleed, Cripple Bastards, Infest, Haemorrhage, Pig Destroyer, Dodecahedron, Blasphemy, Blind To Faith, Morpheus Descends, Gadget, Coffins, Funebrarum, Wormed, Revenge
Foto di Åsa Hagström / Septikphoto: Angelcorpse, Thanatos, Beheaded, Gruesome, Demilich, Autopsy, Interment
Morto un papa se ne fa un altro. Questo devono avere pensato i gestori del famoso 013 di Tilburg, da anni uno dei migliori locali per la musica dal vivo in Europa. Preso atto della morte del famigerato Neurotic Deathfest, il cui organizzatore ha preferito concentrarsi su altre attività (tra cui il ruolo di promoter presso proprio lo stesso 013!), i Nostri sono stati ben lieti di accogliere le menti dietro il sempre più noto Maryland Deathfest per organizzare un evento sulla falsariga del precedente, ma con in più quel tocco trasversale e “open minded” ormai tipico del festival statunitense. È così nato il Netherlands Deathfest, happening che sembra già destinato a diventare un appuntamento fisso per tutti gli amanti delle sonorità più estreme nel cosiddetto Vecchio Continente. L’impianto base, a grandi linee, è quello del vecchio Neurotic – e non potrebbe essere altrimenti, dato che il locale è lo stesso – ma il cartellone prevede anche sonorità più vicine al mondo hardcore-punk, oltre che qualche parentesi più sperimentale. Il modello è appunto il recente MDF, con la sola eccezione dell’assenza di gruppi prettamente doom, in modo da evitare paragoni e lotte impari con il leggendario Roadburn, che è in programma sempre a Tilburg solo alcune settimane più tardi. Potendo contare su un locale eccellente sotto ogni punto di vista (che è persino stato recentemente ristrutturato e ingrandito), su uno staff a dir poco esperto e su un’affluenza decisamente massiccia ed entusiasta, il Netherlands Deathfest ha potuto godere di un battesimo ottimale, che certamente ha posto le basi per un futuro roseo. Nei tre giorni che abbiamo trascorso nella cittadina olandese non abbiamo registrato alcun problema bisognoso di una risoluzione immediata, nè abbiamo sentito voci di lamentele da parte di artisti o fan. Gli orari sono sempre stati rispettati, i suoni sono risultati mediamente più che buoni (lo 013 da questo punto di vista è sempre una garanzia) e la ripartizione dei gruppi per i vari palchi è parsa tutto sommato accorta. Semmai, sono state le settimane antecedenti all’evento a regalare qualche polemica: vedi l’annullamento dei Disma per i trascorsi filo-nazisti del frontman Craig Pillard, una decisione che ha innescato una serie di discussioni a dir poco animate sui profili social del festival. A parte ciò, si può comunque dire che con questa prima fortunata edizione gli organizzatori si siano guadagnati la fiducia della maggior parte degli appassionati. Tra qualche mese sarà già tempo di annunci per il 2017 e allora si rientrerà nel consueto clima di attesa; nel frattempo, potete leggere le nostre impressioni su alcune delle band che siamo riusciti a seguire nella maratona di quest’anno. Questa ennesima esperienza in quel di Tilburg è stata stremante, ma, come sempre, ne è valsa assolutamente la pena!
DISENTOMB
Dopo un giro per familiarizzare con i nuovi ambienti dello 013 e per scoprire dove sono collocati i vari stand di etichette e merchandise, partiamo a razzo con lo show dei Disentomb, arrivati freschi freschi dall’Australia sull’onda del successo dell’ultimo “Misery”. “Brutal” death metal fatto bene, basato su un giusto compromesso tra potenza e finezza, è ciò che ci propone il quartetto, che da un lato evita velocità e finezze troppo esasperate e dall’altro si tiene ad una certa distanza da digressioni slam esageratamente banali o da altre facilonerie. Il songwriting del gruppo è maturato parecchio negli ultimi tempi, le canzoni risultano ben strutturate e fa piacere constatare che la band sia in grado di riproporle in sede live senza alcun patema. In concerto risalta forse meno quella vena atmosferica presente in certe parentesi in midtempo di “Misery”, ma è chiaro che in tali circostanze, quando si ha a che fare anche con un pubblico nuovo, un gruppo del genere tenda a puntare soprattutto sull’impatto, in modo da intrattenere subito i presenti. A conti fatti, la prova dei Disentomb è di quelle vincenti: un avvio all’insegna del puro death metal, come giusto che sia!
PRIMITIVE MAN
Aggiunti al bill quasi all’ultimo minuto, i Primitive Man arrivano persino a farsi segnalare come una delle maggiori sorprese (o conferme) di questa prima edizione del Netherlands Deathfest. Estremamente intenso il concerto del trio statunitense, che porta a Tilburg un concentrato enorme di energia negativa e nichilismo. Partiti come gruppo prettamente doom-sludge, i Nostri negli ultimi tempi – e in particolare con l’EP “Home Is Where The Hatred Is” – hanno incamerato un ventaglio di soluzioni più vicine al black-death, generando una proposta che possiede sia la smisurata pesantezza del genere di partenza, sia una malignità che non può proprio fare a meno di flirtare con i filoni musicali più gelidi ed estremi. Troviamo poi imponente la presenza scenica della formazione: chitarrista/cantante e bassista sono robusti e pesanti quanto la musica che fuoriesce dagli amplificatori. Magari lontano dal palco i ragazzi sono le persone più tranquille e amabili in circolazione, ma on stage la loro apparenza, mista ovviamente al suono generato, non può fare altro che incutere timore. Si respira pura aria di ostilità durante il set dei Primitive Man, qualcosa che ormai è raro sperimentare anche nel corso di concerti di band sulla carta più estreme. Oggigiorno in tanti recitano o fanno il compitino, mentre questa band, senza alcuno sforzo apparente, oggi dà prova di reale ferocia e perfidia. Non perdeteveli se e quando passeranno nelle vostre zone.
MAGRUDERGRIND
Impieghiamo davvero parecchio tempo per entrare nella sala 2 durante il concerto dei Magrudergrind. Il gruppo grindcore statunitense ha da poco pubblicato il nuovo “II” ed è evidentemente attesissimo da queste parti, tanto che vi è letteralmente un muro umano davanti alle porte. Ci facciamo strada a spintoni, ma è praticamente impossibile trovare un buco libero, senza contare che sembra quasi che l’intera sala sia un unico grande pit nel quale ogni colpo è permesso. Di sicuro il terzetto di Brooklyn può dirsi fiero di una tale risposta di pubblico: il frontman Avi Kulawy salta da una parte all’altra del palco, ma, a ben vedere, esso non deve neppure aizzare la folla… è questa che incita lui e che nel frattempo trasforma il locale in una zona di guerra. Dal vivo le tendenze powerviolence e un’attitudine sfrontata di pura matrice punk prendono il sopravvento sulle altre sfumature della proposta dei ragazzi: il set è composto da brevi rasoiate suonate in rapida successione, per un effetto mitragliatrice che genera totale scompiglio. Ovviamente per una piena riuscita di una tale esibizione è importante mantenere il tutto entro una durata abbastanza esigua e i Magrudergrind – raggiunti anche al volo da Joe Denunzio degli Infest per un breve intervento – si dimostrano abili anche nel calcolare i tempi, tanto da congedarsi persino prima del termine previsto. Il loro show è compatto, fulmineo e squisitamente devastante.
AGORAPHOBIC NOSEBLEED
Dopo aver scelto il Maryland Deathfest 2015 per il loro primo vero concerto, era prevedibile che gli Agoraphobic Nosebleed si servissero del Netherlands Deathfest per il loro battesimo europeo. Scott Hull e soci hanno di recente pubblicato “Arc”, esperimento sludge-doom che ha inaugurato una serie di EP che la band ha intenzione di pubblicare nei prossimi anni, ma questa sera non vi è alcun spazio per quel materiale. Lo show è infatti praticamente identico a quello offerto una decina di mesi fa in quel di Baltimore: brani estratti dal vecchio repertorio, drum machine a volume assurdo e campo libero alla temibile Katherine Katz nel ruolo di frontgirl. Richard Johnson questa sera non è della partita, ma la sua assenza non si fa particolarmente sentire, dato che già negli States aveva per lo più fatto da comparsa. Spetta a Jay Randall duettare con la Katz al microfono, mentre Scott Hull e John Jarvis innalzano il tanto atteso wall of sound, puntando di nuovo sulle tracce più pesanti e “pensate” dei primi dischi. Vi è molta curiosità attorno a questa performance, la sala principale è piena e abbiamo la netta impressione che la gente si faccia decisamente catturare dal groove dei Nostri. Le previsioni non sono state disattese.
Setlist:
Bitch’s Handbag Full of Money
Kill Theme for American Apeshit
Built to Grind
Pantheon Crack Torch
Timelord One (Loneliness of the Long Distance Drug Runner)
Clit to Mouth Resuscitation
Anti-Christian
Unusual Cruelty
The House of Feasting
Vexed
The Withering of Skin
Organ Donor
Someone’s Daughter
Home Invasion
Hung From the Rising Sun
Question of Integrity
Timelord Two (Paradoxical Reaction)
Self Detonate
Agorapocalypse Now
CRIPPLE BASTARDS
Subito dopo gli ANB tocca ai Cripple Bastards portare avanti l’opera di demolizione. Il gruppo italiano si esibisce sul secondo palco, davanti al quale in genere è possibile assistere ai poghi più violenti. La prova dei Cripple Bastards ovviamente non fa eccezione: vi sono tanti italiani in sala e per questo il coinvolgimento è assicurato, ma l’ultimo “Nero In Metastasi”, uscito su Relapse, ha comunque aperto tante nuove porte alla band, che oggi si ritrova con un pubblico sempre più vasto e variegato. Con l’innesto di Raphael Saini alla batteria i Cripple Bastards sono inoltre diventati ancora più serrati e feroci: durante il set ci viene quasi da ridere nel constatare che il gruppo, pur viaggiando a velocità elevatissime, riesca a fare a meno di prendersi delle pause. Il quintetto questa sera è un treno in corsa e presto finiamo per perdere il conto dei pezzi eseguiti, nonostante il mixaggio e la definizione generale siano veramente di prim’ordine. In ogni caso, da “Inverno Nel Ghetto” a “Lapide Rimossa”, la mezzora abbondante a disposizione dei ragazzi ha lasciato a dir poco il segno.
INFEST
Andiamo quindi a riassaporare le origini del powerviolence e del fast hardcore con l’attesissima calata europea degli Infest, che quest’oggi radunano all’interno dello 013 un folto pubblico accorso praticamente solo per loro. Nella sala vediamo infatti una vasta schiera di punk e hardcorer che non saranno presenti nei giorni successivi. Il frontman Joe Denunzio comanda la folla e subito si fa riconoscere come unico elemento mobile sul grande palco; il resto della band è infatti puro contorno, con chitarrista e bassista spesso relegati accanto alla batteria. Forse la sala principale dello 013 non è la più adatta ad ospitare un evento di questo genere: il contatto con il pubblico è impedito dalle transenne, teoricamente il crowd surfing è vietato e l’energia delle brevi tracce che gli Infest propongono in rapidissima sequenza si disperde un po’ in un locale tanto grande. Tuttavia, per i fan e la band stessa questo resta un raro evento che va celebrato fino in fondo e, non a caso, nel locale si respira solo aria di euforia e festa. Tutti i classici vengono proposti, Denunzio si conferma influente e leggendario sia come frontman che come oratore e alla fine tutti si congedano contenti. La prossima volta ci piacerebbe vedere gli Infest in un locale più piccolo ed esclusivo, ma come “prima” europea non c’è proprio di che lamentarsi.
Setlist:
Shackled Down
V.Y.O.
Machismo
Behind This Tongue
Mankind
Judge Me
Cold Inside
Feeling Mean
Sick Machine
Break the Chain
Pickled
What’s Your Claim
Contact
Sickman
Kill the Peace
My World… My Way
Excess Pig
Speak Easy
The World Is Dead
Them
Terminal Nation
Nothing’s Changed
Mindless
Which Side
Once Lost
Sick and Tired
Where’s The Unity
The Game
Sick-O
HEAVING EARTH
Il sabato si apre con gli Heaving Earth, formazione che ha ben impressionato con l’ultimo, monolitico, “Denouncing the Holy Throne”. La sala principale dello 013 non è sicuramente il luogo più adatto ad ospirare uno show dei death metaller cechi – vuoi perchè il gruppo è evidentemente poco abituato ad esibirsi su palchi tanto grandi, vuoi perchè il loro seguito non è certo enorme – ma la band riesce comunque a farsi segnalare. D’altro canto, oggigiorno i ragazzi sono da più parti visti come una delle alternative più valide ai maestri Immolation e chi è in vena di simili sonorità oggi non può che guardare qui. Come accennato, gli Heaving Earth non hanno tanta dimestichezza con un palco di tali dimensioni, ma il tetro death metal a loro caro viene comunque espresso con buona partecipazione e fedeltà, tanto che presto le prime file si compattano in prossimità delle transenne, mentre il pit si riempie di curiosi. Alla fine il colpo d’occhio in sala diventa decente e la resa complessiva dell’esibizione si assesta su livelli più che soddisfacenti, con solo qualche reclamo per il poco spazio dato alla batteria nel mixaggio. A questo punto aspettiamo date in locali più piccoli, oppure il successore del notevole “Denouncing…”. Questa è una band da tenere d’occhio.
ANGELCORPSE
Non vi era traccia degli Angelcorpse nell’annuncio del bill definitivo per questo primo NDF. Poi la cancellazione dei black metaller finnici Sargeist ha reso possibile la conferma dei redivivi death metaller statunitensi, tornati ufficialmente in attività sul finire dello scorso anno. Curiosamente, la fama di Pete Helmkamp e soci è cresciuta in maniera esponenziale proprio nel periodo di assenza dalle scene, grazie ad una serie di gruppi più o meno emergenti che hanno continuato a citare gli Angelcorpse come una importante influenza. Non a caso, quest’oggi i Nostri si esibiscono nella sala principale e davanti a diverse centinaia di persone, mentre solo pochi anni fa non era raro vederli in piccoli locali nemmeno troppo pieni. Per fortuna, il terzetto arriva con la giusta attitudine e supportato da suoni subito abbastanza chiari e incisivi. La scaletta, poi, è quella sorta di “best of” che tanti fan speravano di ascoltare, con vari brani estratti dal debut “Hammer Of Gods” e dal capolavoro “Exterminate”. Come sempre riconoscibilissimi e minacciosi, per via delle teste rasate e del look truce, Helmkamp e Gene Palubicki non devono sforzarsi troppo per attirare l’attenzione su di sè e per sobillare la platea, la quale appare in estasi blasfema già dopo i primissimi minuti. Del resto, è anche il tipico suono Angelcorpse a fare la differenza su un palco così grande: quei riff taglienti e circolari e i grandi tappeti di doppia cassa per cui il gruppo è diventato famoso qui rendono alla grande. Infine, troviamo perfetta anche la durata del set: quaranta minuti si rivelano il minutaggio giusto per il terzetto per impressionare e chiudere in crescendo, senza lungaggini o break che avrebbero potuto minarne l’intensità. Non c’è che dire, gli Angelcorpse si sono presentati in grande forma.
Setlist:
When Abyss Winds Return
Wartorn
Into the Storm of Steel
Stormgods Unbound
Lord of the Funeral Pyre
Phallelujah
Sons of Vengeance
Black Solstice
Wolflust
HAEMORRHAGE
Non assistiamo ad un concerto degli Haemorrhage da parecchi anni e fa piacere constatare che il gruppo iberico nel frattempo non abbia affatto perso il suo spirito irriverente e il proprio affiatamento. I ragazzi sono sempre stati una band da festival con il loro gore-grind vecchia scuola, semplice e dal forte impatto, e oggi ne abbiamo l’ennesima conferma. Tra sangue, paramedici, arti mozzati e licantropi, il tutto condito musicalmente da uno dei più accurati tributi ai primi Carcass di sempre, la quarantina di minuti a loro disposizione fila via in un baleno, lasciando solo un bel ricordo tra tutti coloro accorsi davanti al secondo palco. Del resto, dopo la (comunque graditissima) carneficina marchiata Angelcorpse, in tanti avevano voglia di ascoltare qualcosa di più pimpante e disimpegnato. Gli Haemorrhage non si sono mai presi sul serio in carriera, ma, al contempo, sono sempre stati abili nel confezionare brani orecchiabili e coinvolgenti, ideali per essere proposti dal vivo; la loro parentesi irriverente, memore di quanto solitamente avviene ad un festival come l’Obscene Extreme, è stata più che apprezzata. We are all pathologists!
PIG DESTROYER
I toni cambiano di poco con l’arrivo dei Pig Destroyer nella sala grande. Meno Carcass e più thrash per la band di Scott Hull, ma la base grind è ovviamente fuori discussione. Dopo una prima parte di carriera completamente vissuta lontano dai palchi, gli statunitensi hanno abbracciato la dimensione live con discreto successo negli ultimi anni, diventando praticamente una presenza fissa nei maggiori eventi del nostro genere. Il tiro del grindcore e del thrash più ferale, combinati in pezzi rapidi e concisi, ha sempre aiutato il gruppo ad imporsi anche nei cartelloni più competitivi e lo show di oggi non fa eccezione. Sorretti da un batterista fuori dal comune come Adam Jarvis, i Nostri – ormai sempre più vera band e meno progetto, in seguito all’innesto del bassista John Jarvis (All Will Fall, Fulgora, Agoraphobic Nosebleed – falciano tutto ciò che gli si para davanti con una lunghissima serie di brani estratti dagli ultimi full-length pubblicati. Gli anni passano, ma l’appeal di un disco come “Prowler In The Yard” non sembra proprio calare, tanto che anche oggi le sue hit si rivelano essere i momenti più appassionanti e celebrati del concerto, con buona pace del comunque valido materiale dell’ultimo “Book Burner”.
Setlist:
The Bug
Rotten Yellow
Deathtripper
Alexandria
Starbelly
Scarlet Hourglass
Thumbsucker
Trojan Whore
Naked Trees
Sis
The American’s Head
Valley of the Geysers
Eve
Jennifer
Cheerleader Corpses
Terrifyer
Baltimore Strangler
Pretty in Casts
Hyperviolet
Piss Angel
DODECAHEDRON
I misteriosi Dodecahedron non potevano mancare a questa prima edizione del Netherlands Deathfest. Il gruppo infatti è originario proprio di Tilburg e sinora ha sempre mantenuto un profilo piuttosto basso sul fronte live. Normale insomma che gli organizzatori abbiano pensato a loro, visto che si tratta di offrire ai tanti avventori appassionati di black metal e sonorità sperimentali una “chicca” senza alcun grosso sforzo logistico ed economico. L’omonimo debut album dei ragazzi, uscito nel 2012 su Season Of Mist, ha incuriosito parecchi cultori underground, soprattutto per via delle sue tendenze prog e ultra tecniche in chiave black metal. Il gruppo è composto da veri virtuosi dello strumento, musicisti che evidentemente amano mettere in mostra la loro preparazione, e anche l’esibizione dal vivo conferma questa realtà, offrendo funambolismi a raffica e complesse architetture che in questa sede acquistano soltanto un pelo di scioltezza e impatto in più rispetto al disco. Un concerto che dunque non incita al pogo, ma che è interessante guardare soprattutto per rendersi conto di come i Dodecahedron siano una band che è effettivamente in grado di riproporre quanto ha elaborato in studio ormai quattro anni fa. Tutto sommato ci auguriamo che con il prossimo album i ragazzi riescano a limitare un po’ la loro esuberanza, ma resta il fatto che quello di oggi è stato un piccolo grande evento per tutti i fan della formazione e i seguaci di Deathspell Omega, Gorguts e Blut aus Nord.
REVENGE
Dalle raffinate architetture dei Dodecahedron alla totale ignoranza e devastazione targata Revenge. I canadesi sono molto attesi da queste parti e non solo dai loro fan. Il moniker Revenge è da tempo sinonimo di zero compromessi e anche coloro che non sono particolarmente affezionati a certe coordinate sonore vogliono provare l’esperienza di un loro concerto. In effetti, più che ascoltati, i Revenge vanno capiti. E’ necessaria parecchia pazienza per entrare almeno un po’ in sintonia con il concept dei canadesi. Un miscuglio orrendo e contorto di tutto ciò che musicalmente è estremo, suonato con attitudine 100% nichilista. Chitarre che sono tornado, una batteria che sembra fare di tutto per inventare pattern tortuosi e irrazionali, come se si volesse sempre rendere ogni passaggio il meno fruibile possibile. I riff ci sono, ma James Read dietro le pelli ha come unica missione quella di non farceli sentire e riconoscere. Il risultato è un magma di caos e depravazione che, al di là di tutto, possiede un fascino e un impatto immediatamente distinguibili. Certo, c’è chi sostiene che i Nostri non facciano altro che bordello e che il loro suonare equivalga a sbattere le pentole in cucina, ma vi è anche chi non riesce a distogliere sguardo e orecchie dallo spettacolo che sta andando in scena all’interno della sala principale dello 013. Uno show che divide, esattamente come previsto. Uno show che tuttavia sarà difficile da dimenticare, indipendentemente dalla fazione a cui si appartiene.
Setlist:
Us and Them (High Power)
Traitor Crucifixion
Pride Ruination (Division Collapse)
Mass Death Mass
Desolation Insignia
Altar of Triumph
Banner Degradation (Exile or Death)
Equimanthorn (Bathory cover)
Wolf Slave Protocol (Choose Your Side)
Silent Enemy
Blood of My Blood
THANATOS
Vedere i death-thrasher Thanatos dal vivo fuori dai Paesi Bassi non è impresa semplice, quindi cogliamo al volo l’occasione offertaci da questa edizione del Netherlands Deathfest e ci posizioniamo davanti al secondo palco con giusto anticipo. Immaginiamo che la proposta del quartetto possa rendere bene in concerto, ma restiamo comunque sorpresi dal tiro della storica formazione di Rotterdam, che suona con un piglio e una energia che di norma assoceremmo a realtà ben più giovani. Stupisce anche la resa di Stephan Gebédi al microfono: siamo abituati a vederlo come semplice chitarrista negli Hail Of Bullets, ma come frontman il Nostro fa decisamente la sua figura con il suo screaming secco e tagliente. Non avendo chissà quanto tempo a propria disposizione, la band giustamente decide di dare un taglio ai convenevoli, optando per un set serratissimo nel quale trovano spazio sia episodi nuovi che altri ben più datati. In particolare, i pezzi dell’ultimo “Global Purification” si confermano particolarmente ficcanti, tanto da risultare tra i più acclamati della performance. Ci guardiamo attorno e vediamo solo persone intente a fare headbanging ed è facile scorgere anche ampia soddisfazione negli occhi dei musicisti olandesi. Questa è un’altra band che in sede live è capace di acquistare almeno una marcia in più.
Setlist:
Global Purification
The Murder of Innocence
Dawn of the Dead
Destruction.Chaos.Creation.
Outward of the Inward
Feeding the War Machine
And Jesus Wept
War
BLASPHEMY
Con l’arrivo dei Blasphemy riprendiamo il discorso fatto per i Revenge, anche se bisogna sottolineare come Nocturnal Grave Desecrator and Black Winds e compagni risultino quasi armoniosi dopo l’ecatombe perpetuata dai loro connazionali soltanto un’ora prima. La serata riprende certamente una piega black-thrash iper caotica e blasfema (e non poteva essere altrimenti!), ma i pezzi del leggendario “Fallen Angel of Doom….” appaiono comunque relativamente “ordinati” e assimilabili ad orecchie allenate ad ascoltare questo genere di sonorità. Come previsto, il gruppo canadese è tutto fuorchè un mostro di comunicazione e simpatia, ma il contatto tra quest’ultimo e i fan è comunque costante e la tensione che si respira all’interno della sala a tratti è di quelle asfissianti. A rappresentare uno spiraglio di distensione e ilarità – almeno per gli astanti meno austeri – ci pensa quella sorta di guardia del corpo che la band si porta dietro: per tutta la performance, un energumeno di grossa stazza sarà piazzato accanto alla pedana della batteria, senza alcun compito apparente se non quello di fissare il vuoto. A parte questo dettaglio, ovviamente di poco conto, la performance della formazione della British Columbia è senz’altro da annoverare tra quelle più feroci e al contempo acclamate di questa prima edizione del NDF. Volevamo una valanga di bestialità ed ignoranza e siamo stati accontentati. I Blasphemy, già pionieri di un certo modo di intendere il metal estremo e il black-death-thrash in particolare con le loro uscite dei primi anni Novanta, non fanno sconti nemmeno dal vivo. Soffocanti e incompromissori come pochi altri.
Setlist:
War Command
Blasphemous Attack
Gods of War
Darkness Prevails
Desecration
Nocturnal Slayer
Emperor of the Black Abyss
Hording of Evil Vengeance
Goddess of Perversity
Intermission
Weltering in Blood
Blasphemy
Winds of the Black Godz Intro
Fallen Angel of Doom
The Desolate One
Demoniac
Atomic Nuclear Desolation
Empty Chalice
Ritual
WORMED
Eccola qui, una delle death metal band più temibili in circolazione. I Wormed arrivano al Netherlands Deathfest per presentare ufficialmente il loro nuovo album “Krighsu” e la resa sonora è di quelle spaventose. Colpisce subito la coesione dei madrileni: i ragazzi non sono esattamente una macchina da tour, ma in questa occasione rivelano un vigore e un affiatamento che arrivano a ricordare i migliori Origin. Va dato atto al quintetto spagnolo di essere maturato come pochi altri negli ultimi anni: partendo da un “brutal” death metal di sostanza, solo a tratti rivestito di tecnica e e spunti innovativi, i Nostri sono arrivati ad una sorta di death metal dai contorni “cyber” e siderali che sposa estremismo e atmosfera in maniera assolutamente egregia. Considerata la rinnovata fluidità nelle strutture e quel vago senso di “orecchiabilità” che tanti riff si portano dietro, non stupisce come i Wormed si ritrovino ben presto ad essere seguiti da una folla enorme (per la seconda sala), con fan di lunga data, novizi e curiosi incapaci di distogliere lo sguardo dalla maestosa performance in atto. A dispetto della spropositata intensità della musica, lo show sembra volare via e finire troppo presto; sensazione tipica di quando si è al cospetto di una prestazione coinvolgente e tecnicamente impeccabile come quella odierna degli spagnoli. Avrebbero potuto suonare per due ore e probabilmente nessuno in sala avrebbe accusato stanchezza. Da rivedere!
BLIND TO FAITH
Abbiamo intenzione di fare le cose con calma e di prenderci qualche pausa in più nell’ultimo giorno dell’evento, ma i Blind To Faith ci fanno subito sudare ed entrare in pieno clima festival. Conosciamo le doti del gruppo belga-olandese, avendolo già ascoltato e visto in concerto in precedenza, ma, giocando “in casa” e potendo contare sui consueti ottimi suoni dello 013, la musica dei ragazzi pare acquistare toni ancora più aggressivi e coinvolgenti. Del resto, le basi di partenza – ovvero un sound che sovente sembra un misto di hardcore-metal alla Integrity e proto-death-black alla Celtic Frost – sono già in grado di garantire totale scompiglio; se poi vi aggiungiamo una presenza scenica di tutto rispetto e, appunto, una resa sonora perfetta, il risultato finale non può che essere demolente. I ragazzi, militando o avendo militato in band come Rise And Fall, Inhume e Bile, vantano notevole esperienza con il palco e il pubblico non può fare a meno di constatare tale personalità e, di conseguenza, di farsi coinvolgere nella performance. Gli applausi si fanno sempre più convinti, il pogo più intenso e l’esibizione tutta sempre più serrata. Doveva essere un set “per pochi”, ma i Blind To Faith sono stati capaci di farlo diventare un piccolo highlight di questa terza giornata.
BEHEADED
Con Davide Billia e Simone Brigo rispettivamente alla batteria e alla chitarra, i Beheaded oggigiorno sono in pratica una band italiana per metà. Fa piacere vedere i maltesi rinvigoriti da questi recenti innesti: già l’ultimo “Never To Dawn” aveva dimostrato come il gruppo, in attività dal lontano 1991, avesse ancora diverse frecce al proprio arco e adesso, a maggior ragione, non vediamo l’ora di ascoltare la prossima prova in studio, la quale dovrebbe essere praticamente pronta. Fra l’altro, in questa terza giornata di NDF, la band presenta nel corso del suo show un paio di nuove tracce, riuscendo subito a catturare l’attenzione di un pubblico comunque già molto ben disposto nei confronti dei Nostri. Lo stile sembra essere quello dell’ultimo lavoro, con il giusto compromesso tra tecnica, impatto e musicalità: un death metal moderno dal punto di vista esecutivo, ma legato alla vecchia scuola nell’anima. Un death metal dove i riff contano ancora più di ogni altra cosa. Nel breve set di oggi, Frank Calleja si conferma un ottimo frontman e il resto della line-up lo segue con una performance solidissima, naturale conseguenza di un’esperienza e di un affiatamento ormai consolidati. Fa piacere vedere una formazione “attempata” (almeno sulla carta) diventare sempre più coinvolgente e pimpante in sede live con il passare degli anni. Di solito avviene l’opposto!
MORPHEUS DESCENDS
Attesissimi dai cultori della prima ondata death metal statunitense, i Morpheus Descends quest’oggi invece non riescono purtroppo ad impressionarci più di tanto. In primis va sottolineato come il gruppo di New York si presenti con un nuovo frontman, Tim Rocheny dei Mausoleum, evidentemente svogliato o poco a suo agio sul palco: il Nostro a tratti sembra quasi deridere la platea, denotando un’indolenza alla lunga piuttosto fastidiosa. La band poi appare poco rodata o comunque abbastanza lontana da quella coesione e da quella prestanza che avremmo voluto vedere. Si tratta di un’esibizione che molti hanno atteso a lungo, soprattutto se si pensa che il mini-classico “Ritual of Infinity” è stato pubblicato ormai quasi un quarto di secolo fa, ma in generale ci sembra quasi che i Morpheus Descends siano stati catapultati sul palco principale dello 013 a loro insaputa. Forse un locale di dimensioni più piccole avrebbe agevolato il loro ambientamento e amplificato la resa del materiale; forse la band ha semplicemente bisogno di riprendere confidenza con il palco e di suonare con maggiore regolarità. Oppure il quintetto ha soltanto, colpevolmente, sottovalutato l’impegno. Resta comunque il fatto che lo show di oggi ci è parso privo di energia e di sentimento. Quasi un “timbrare il cartellino”. Speriamo in esibizioni di tutt’altra pasta in un futuro prossimo.
Setlist:
Corpse Under Glass
Trephanation
Begging for Possession
The King’s Curse
Proclaimed Creator
Cairn of Dumitru
Immortal Coil
The Cruciform Hills
GADGET
Il 2016 segna il ritorno dei Gadget sia su disco che sul palco. Il concerto del Netherlands Deathfest può in effetti essere visto come una sorta di “release party” per il nuovo album dei grinder svedesi, l’atteso “The Great Destroyer”. Il quartetto si esibisce sul secondo palco e le aspettative non vengono tradite: la sala è gremita da una folla decisamente su di giri sin dalle prime battute. Come di consueto, i quattro non fanno troppi proclami, preferendo suonare e annientare qualsiasi cosa a colpi di due/tre brevi tracce alla volta, in modo da evitare troppo pause. Un piacere rivedere live questa band, abile nel coniugare tipico grind scandinavo, death metal e d-beat hardcore. La frenesia tipica delle prove live viene mitigata da del materiale che può vantare strutture lucide e perfettamente bilanciate. Su tutto si fa poi notare l’ennesima buona resa sonora, da sempre un punto fermo per i concerti aventi luogo nello 013; potenza e definizione vanno a braccetto e la furia degli svedesi finisce così per assumere una forma ancora più letale e memorizzabile. Dopo avere ammirato negli ultimi anni Rotten Sound e la reunion dei Nasum demolire palchi a più riprese, siamo lieti di inserire nuovamente nella lista delle grindcore band che vanno assolutamente viste dal vivo i redivivi Gadget. Bentornati.
GRUESOME
Una delle migliori cover band di sempre? Possiamo vedere i Gruesome anche in questo modo. Anche perchè crediamo che a loro tale descrizione non dispiaccia affatto, visto quanto sono propensi a sottolineare come la loro sola e unica fonte di ispirazione siano i Death di Chuck Schuldiner. Siamo al primo show in Europa per il gruppo capitanato da Matt Harvey e la curiosità e l’attesa attorno all’esibizione sono notevoli. Palco principale e sala gremita per ascoltare il death metal alla primi Death che il leader degli Exhumed ha deciso di interpretare in questo nuovo progetto. Giusto il tempo di avvicinarsi al palco e veniamo investiti da un suono compatto ed estremamente chiaro, senz’altro tra i più definiti di questa edizione del festival. Il fonico al mixer sta facendo un ottimo lavoro, ma bisogna pure ammettere che la band non spreca affatto l’opportunità offertale, suonando con una carica che onestamente non ci aspettavamo. A volte simili progetti o “all star band” possono fallire la prova del live, ma questo non è assolutamente il caso dei Gruesome, i quali a tratti ci sembrano persino più affiatati degli Exhumed. Di certo sonorità modellate su dischi come “Leprosy” e “Spiritual Healing” ben si prestano ad essere riproposte dal vivo, ma il quartetto ci mette appunto anche del suo, denotando grande entusiasmo, precisione e coesione. Ci si spella le mani durante lo show, gli applausi sono tantissimi e continui, tanto che il gruppo sembra essere sorpreso tanto quanto noi per la resa complessiva dell’esibizione. Ad alcuni potranno continuare ad apparire superfli, ma, a nostro avviso, un gruppo-tributo preparato come i Gruesome farà sempre la sua bella figura ad un festival del genere.
Setlist:
Trapped in Hell
Demonized
Hideous
Gangrene
Born Dead (Death cover)
Closed Casket
Dimensions of Horror
Savage Land
Gruesome
COFFINS
Coffins: sempre un piacere. Non importa che il festival sia il Roadburn o il Netherlands Deathfest: da questi giapponesi tutti sanno sempre esattamente cosa aspettarsi. Il gruppo da sempre promuove una sua formula a base di Autopsy, Celtic Frost e tutto il doom-death metal più ignorante in circolazione e non è solito cambiare la scaletta in base alla tipologia di evento. Nel repertorio certi brani sono più lunghi e strutturati di altri, ma la resa complessiva e l’impatto di rado differiscono. Tale preambolo per asserire che chi voleva dare sfogo ai propri istinti da traglodita quest’oggi è stato assolutamente accontentato. Entriamo nella sala grande e ci troviamo al cospetto della solita bolgia, con headbanging e pogo vecchia scuola a fare da cornice alla tipica performance ultra concreta di Uchino e soci. Basta poco per valorizzare ulteriormente una simile proposta, già di per sè del tutto ideale ad essere suonata live: un palco degno di questo nome e dei suoni corposi e definiti il giusto. Lo 013 mette a disposizione quanto elencato e, di conseguenza, band e fan non possono fare altro che godere e unirsi in un matrimonio di groove, potenza e cafonaggine.
Setlist:
Hatred Storm
Hellbringer
Under The Stench
Tyrant
Altars in Gore
The Vacant Pale Vessel
Evil Infection
Slaughter of Gods
DEMILICH
Non è il solito show dei Demilich. Lo sa la band e lo sa il pubblico. Tuttavia ci si diverte ugualmente. Antti Boman si è infortunato al polso poche settimane prima del festival, tanto da arrivare a considerare l’annullamento dell’esibizione. In extremis, il chitarrista olandese Danny Tunker (Alkaloid, Aborted) si è però offerto di aiutare i Nostri per l’occasione e così tutti hanno potuto tirare un sospiro di sollievo. Ovviamente, con Boman impegnato solo al microfono e con questo innesto last minute alla chitarra, non ci si può aspettare la proverbiale incredibile compattezza per cui i death metaller finnici sono ormai noti, ma bisogna comunque riconoscere come l’inedita formazione faccia davvero del suo meglio per tirare fuori dal cilindro una performance decorosa. Notiamo qualche sbavatura qua e là e Boman ovviamente dimostra di non avere troppa dimestichezza col ruolo di puro frontman, ma Tunker è comunque un chitarrista di grande esperienza e la scaletta – come prevedibile incentrata sulla pietra miliare “Nespithe” – viene portata a termine con una certa disinvoltura. La platea è a conoscenza della difficile situazione in cui il gruppo si è ritrovato e l’atmosfera è assolutamente benevola e compiacente: oggi più che mai questi musicisti hanno bisogno del sostegno del loro pubblico e quest’ultimo non viene a mancare. Tutto sommato, si resta persino sorpresi per il numero di brani proposti: ci saremmo aspettati qualcosa di più raffazzonato, invece i Demilich hanno più o meno offerto il loro tipico set per i festival. Meglio così!
Setlist:
Inherited Bowel Levitation – Reduced Without Any Effort
The Sixteenth Six-Tooth Son of Fourteen Four-Regional Dimensions (Still Unnamed)
The Cry
The Planet that Once Used to Absorb Flesh in Order to Achieve Divinity and Immortality (Suffocated to the Flesh that it Desired…)
And the Slimy Flying Creatures Reproduce in Your Brains
(Within) The Chamber of Whispering Eyes
Emptiness of Vanishing
When the Sun Drank the Weight of Water
Introduction / Embalmed Beauty Sleep
The Echo (Replacement)
FUNEBRARUM
Un gradito ritorno è quello dei Funebrarum, realtà che negli ultimi anni è stata costretta a mantenere un profilo piuttosto basso, vuoi per alcuni cambi di line-up, vuoi per gli impegni del leader Daryl Kahan con i Disma (che il Nostro ha lasciato di recente). I death metaller statunitensi si presentano con una formazione completamente stravolta rispetto a quella che registrò e promosse l’ormai celebre “The Sleep of Morbid Dreams”; si tratta tuttavia di una line-up assolutamente affiatata e prestante: Kahan si è circondato di un manipolo di affamati ventenni ed è riuscito ad infodere nuova linfa vitale in un progetto che altrimenti avrebbe rischiato di arenarsi del tutto. L’impatto dello show di questa sera ne è la massima riprova: i Funebrarum spaccano come mai prima d’ora e la presenza scenica è anch’essa di prim’ordine. Oltre alle previste hit estratte dai full-length vengono poi presentate un paio di tracce d “Exhumation Of The Ancient”, nuovo EP in uscita su Doomentia Records con il quale il quintetto sta ufficializzando il proprio ritorno sulle scene. Quasi superfluo sottolineare come il materiale si dimostri convincente e del tutto in linea con la tradizione Funebrarum. Se siete sempre alla ricerca di nuove proposte death metal, con un occhio di riguardo per i valori della vecchia scuola e la creazione di atmosfere realmente mortifere ed opprimenti – alla Abhorrence, vecchi Grave, Demigod, ecc – Kahan e compagni sono sempre una garanzia. Performance esaltante, la loro. Sotto ogni punto di vista.
AUTOPSY
Gli Autopsy non potevano che essere gli headliner assoluti di una simile manifestazione. I leggendari death metaller californiani vantano un seguito vasto e fedelissimo e quest’ultimo è naturalmente accorso in massa in quel di Tilburg per presenziare ad una delle rare esibizioni live dei Nostri. La sala principale dello 013 è gremita e si può dire che Chris Reifert e compagni godano davanti ad una tale risposta di pubblico. Come sempre, il loro show è tanto dinamitardo quanto esaltante ed euforico: si vede che per questi musicisti suonare live è ancora un piacere. Non siamo di fronte ad una band che passa mesi in tour: per gli Autopsy serate come questa non sono routine. Il gruppo ha effettivamente piacere di trovarsi qui, l’occasione è speciale tanto per i fan quanto per i musicisti e l’entusiasmo che si respira attorno a noi è squisitamente coinvolgente. Come prevedibile, il quartetto punta quasi tutto sui classici del primissimo periodo, ma questa volta riesce a ritagliare una parentesi anche per il controverso “Shitfun”, rappresentato da “Fuckdog” e “Braindamage”. Reifert annuncia questi brani ridendo, consapevole del fatto che questa strana scelta lascerà perplesso qualche fan; tuttavia, almeno fra le prime file, il materiale viene accolto senza problemi… anzi, fa anche piacere togliersi lo sfizio di sentire certe canzoni dal vivo per la prima volta. Per il resto, la serata viaggia su binari noti, con la solita carrellata di grandi classici ad infiammare il pubblico e la band stentorea sul palco, con Reifert sempre maestro nel particolare ruolo di batterista e cantante. Insomma, difficilmente questo evento nell’evento sarebbe potuto andare meglio di così: i fan hanno avuto esattamente ciò che si aspettavano e gli Autopsy, impeccabili nell’esecuzione, possono tranquillamente annoverare quella di oggi tra le serate più gloriose di questa seconda parte della loro carriera.
Setlist:
Twisted Mass of Burnt Decay
In the Grip of Winter
Ridden With Disease
Service for a Vacant Coffin
Arch Cadaver
Fleshcrawl
Torn from the Womb
Strung Up and Gutted
Gasping for Air
Burial
Fuckdog
Brain Damage
Fiend for Blood
Severed Survival
Critical Madness
Stillborn
Charred Remains
Pagan Saviour
Embalmed
INTERMENT
E’ ormai tempo di salutare questa prima edizione del Netherlands Deathfest. Prima di avviarci verso il nostro alloggio non possiamo però fare a meno di prenderci un’ultima razione di schiaffi made in Sweden. Gli Interment chiudono ufficialmente il cartellone e lo fanno con la loro solita performance selvaggia e irriverente. Johan Jansson è visibilmente compiaciuto nel constatare che in tanti hanno scelto di restare sino all’ultimo e l’esibizione prende subito una piega euforica. Si cerca di rimandare l’appuntamento con la nostalgia post-festival e gli Interment sono un rimedio perfetto per tale circostanza. La band ha in uscita l’atteso nuovo album “Scent Of The Buried” e decide di presentarne vari episodi, partendo subito con l’inedita “Death And Decay”. Il suono è ruvido ma sufficientemente corposo e la sala si trasforma in fretta in una rassegna del più convinto headbanging. Non vi sono state troppe parentesi prettamente swedish in questa prima edizione dell’evento e gli Interment fanno di tutto per ricordarci quanto questo filone possa essere divertente ed efficace dal vivo. “Morbid Death” è il solito martello sul cranio, ma i nuovi pezzi risultano persino più coinvolgenti; una “Nailed To The Grave”, ad esempio, fa subito impazzire con i suoi break più groovy e ignoranti. Gli Interment non suonano dal vivo molto spesso, tuttavia possono vantare un repertorio che in questa sede è in grado di acquistare almeno una marcia in più. Per loro è sempre facile ben figurare e non è un caso che il quartetto svedese riesca sempre a guadagnare qualche nuovo fan ad ogni appuntamento. Questo set a chiusura del NDF 2016 ne è l’ennesima dimostrazione. Rincasiamo con i lividi, ma davvero contenti.
Setlist:
Death And Decay
Eternal Darkness
Infestering Flesh
Sinister Incantation
Torn From The Grave
Chalice Of Death
Faces of Death
Breeding Spawn
Morbid Death
Nailed To The Grave