A cura di Mattia Alagna
Fotografie di Sarah Brady
Altro che spumante, lenticchie e botti: a San Francisco, il veglione di Capodanno si è svolto all’insegna dell’apocalisse più totale. Non ci dilunghiamo tanto in futili introduzioni, è qualche anno ormai che i Neurosis prenotano una location nella loro natìa Bay Area, chiamano le band che più rispettano e ammirano e regalano ai loro amici e fan locali un Capodanno indimenticabile. E’ successo nel 2012 quando suonarono uno show completamente gratuito ad Oakland con Young Lions e Kicker (due side project della band, il primo un progetto post-punk/gothic di Noah Landis, il secondo un progetto punk rock di Dave Edwardson con Mauz dei leggendari Dystopia) e poi nel 2013 quando prenotarono l’intera Regency Ballroom di San Francisco per suonare insieme ai The Body, ai Bl’ast e agli Yob. Quest’anno la band ha fatto una doppietta paurosa, aggiudicandosi la suggestiva e leggendaria cornice della Great American Musical Hall di San Francisco e suonando due sere di fila, il 30 e il 31 dicembre, insieme agli sludge metaller locali Kowloon Walled City, agli Author & Punisher di Tristan Shone e ai leggendari Tragedy. Un bill da infarto insomma, che abbiamo visto in azione proprio la sera dell’ultimo dell’anno e che – come da previsioni – rimarrà uno degli eventi più indimenticabili del 2014 per tutti i metallari della Bay Area.
Nota: purtroppo, per impegni personali, non ci è stato possibile assistere alla performance dei Kowloon Walled City.
AUTHOR & PUNISHER
Tristan Shone non ha più bisogno di introduzioni. Se un giorno arriva Skynet per farci fuori, sapete chi incolpare. L’ingegnere elettronico divenuto doomster continua la sua incredibile avventura sonico-progettistica, realizzando sempre più macchinari e marchingegni da aggiungere al suo live setup, che gli permettono ormai di disporre di un arsenale sonoro che fa impallidire. Seduto al centro del palco e circondato da leve, manopole, manici, maschere, pedali, bottoni, pulsanti e quant’altro, Shone è ormai protagonista di uno show al quale non è possibile assistere da nessun’altra parte se non ai suoi show. Quando il Nostro termina il suo set annegando in una pozzanghera di sudore, si evince chiaramente quanto intensa, sfiancante e fisica sia la lotta tra lui e le macchine che crea ed inventa. Circondato da fili elettrici e metallo, Shone si trova al centro di un incubo cibernetico, nell’occhio di un ciclone meccanico all’interno del quale succede di tutto e di più. I suoi marchingegni producono suoni infernali e siderali che richiamano da lontano le gesta dei primi Scorn, beats infernali e cataclismici degni dei migliori Skinny Puppy e montagne di feedback e sciami di distorsione che sono pura venerazione della leggenda dei Godlfesh, ma come se questi siano stati catapultati nell’anno 5080. Vedere Shone all’opera è davvero un’esperienza indimenticabile ed estremamente unica. Non si è al cospetto né di una band né tanto meno di una performance solista, ma bensì di fronte ad una incredibile simbiosi uomo-macchina che sta riscrivendo le regole del metal e delle performance musicali in sede live. Un vero mostro del POST-metal, con tutte le maiuscole possibili.
TRAGEDY
Nulla da aggiungere all’ovvio o a ciò che è notoriamente già ampiamente risaputo. Se i Bolt Thrower sono la migliore live metalband del pianeta, i Tragedy sono la migliore punk band del pianeta, e le due formazioni possono essere considerate come due facce diverse della stessa medaglia per tutta una serie di motivi. Nessuna band sprigiona un putiferio come i quattro di Portland quando sono su un palco. Nessuna band è capace di aizzare una folla come lo fanno Todd, Yannick, Billy e Paul. Nessuna band è capace di tenere un palco ed elevare l’intensità della performance a livelli allarmanti come fanno i Tragedy. Con un impianto audio al massimo come quello della GAMH (per un gruppo notoriamente abituato a suonare con sound incomprensibilmente già paurosi in squat e scantinati, oltretutto), inoltre è facile intuire che quello che hanno rifilato al pubblico i Tragedy in questa venue, è stato semplicemente uno show in cui perdere letteralmente la testa. I suoni, come sempre grossi, grassi e tuonanti, stavolta sono sembrati i più belligeranti e guerrafondai di sempre. Le voci di Todd Burdette e Billy Davis si sono avvicendate come tuono e fulmine creando un doppio attacco inimitabile; i breakdown, i cori e i groove della band sono come sempre una di quelle cose che non si scordano facilmente. Quando questi ragazzi suonano le proprie canzoni sembra impossibile non elevare il pugno al cielo e implorare all’apocalisse, con tutta la forza che si ha in gola, di spazzare via tutto e tutti, di far sprofondare la Terra in un futuro buio, minaccioso e senza speranza, di spezzare ogni catena, annientare ogni potere, distruggere ogni oppressione e controllo e lasciare che una anarchia senza regole e logiche getti le restrizioni della società moderna in un caos senza pietà e senza fine. Pezzi incendiari come “Vengeance”, “You Are an Experiment “, “Conflicting Ideas” e “Call To Arms” non sono solo canzoni, manifesti del più grande d-beat crust scritto negli ultimi dieci anni, ma sono vere e proprie molotov di intensità e rabbia, schegge di dolore impazzite, una vera rappresaglia di suono capace di far letteralmente sbroccare la folla sotto un diluvio di riff brucianti. Con un pit dal diametro chilometrico, un palco ridotto ad un cumulo di macerie e una folla stremata, i Tragedy hanno regalato ai presenti una di quelle performance incancellabili dalla memoria di chiunque. La loro è stata – almeno per il sottoscritto – quella che ha toccato l’apice della serata, un apice che i Neurosis hanno insidiato ma fallito all’ultimo di raggiungere. Non una band, ma una fottuta leggenda vivente.
SETLIST:
Conflicting Ideas
Not Fucking Fodder
The Hunger
Tension Awaiting Imminent Collapse
Beginning of the End
The Day After
The Grim Infinite
Call to Arms
With Empty Hands Extended
You Are an Experiment
Vengeance
NEUROSIS
I Neurosis, dal canto loro, sono come un ottimo whisky di torba: col passare degli anni perdono in aggressività, intensità e sovrastimolazione sensoriale, ma invecchiano benissimo, crescendo in maturità e razza, e licenziano come sempre degli show da professionisti veri, da veri “businessmen” ed esperti del settore, un settore di cui sono sempre il pilastro centrale e imprescindibile. Ormai è noto che la band predilige una setlist con un paio di pezzi vecchi e il resto tratti da “Given To The Rising” (disco che sembra maggiormente prediligere) e dall’ultimo “Honor Found in Decay”, album molto introspettivo e in certi sensi pacato, che ben sposa l’indole più matura e ingrigita, anagraficamente parlando, dei Nostri. Rispetto agli ultimi due anni però, la band sembra aver riacquistato la grinta e l’ignoranza del tempo e suoni spacca-orecchie; e il volume letteralmente squassante del loro set può senza dubbio testimoniare il fatto che, seppur certi tempi della band ormai sono belli che andati, i Neurosis vogliono comunque fare male e lasciare profonde ferite e lacerazioni nella mente e nel corpo dei presenti. Si parte con una deflagrazione di suono capace di buttar giù pareti spesse chilometri. “At the End of the Road” è uno dei pezzi dei Neurosis che, seppur molto recente nella loro discografia, è dotato di uno dei loro buildup più celebri. Il brano cresce fino alla propria implosione e si porta via tutto. Seguono poi l’ormai iconica title-track del suddetto disco e “Eye”, uno dei loro pezzi “perduti” per così dire, non suonata live da anni. In esso riecheggiano i deliri di distruzione e le allucinazioni sensoriali del capolavoro “Through Silver In Blood”, in cui la band si perdeva letteralmente in oblii psichedelici e post-industriali raccapriccianti. Ovviamente questo è stato l’apice del loro set e infatti avrete capito che stentiamo realmente a descriverne la portata, ma è bastato quell’ormai leggendario “there is no light without darkness”, recitata dalla voce cibernetica e robotica della intro, per gelarci il sangue nelle vene. ”Times of Grace” è un’altra bastonata del gruppo dai suoi tempi ormai andati, canzone che testimonia in maniera incontrovertibile il carattere, la preveggenza e la forza della band quando scriveva pezzi simili a metà anni Novanta: un autentico bagno di sangue, come anche la successiva, seppur più atmosferica e meno diretta, “Belief”. Da qui in avanti, per i Neurosis è stato un lento discendere nella loro più recente introspezione, affrontando solamente brani dagli ultimi due lavori, che lasciano maggiormente respirare le influenze doom e folk dei Nostri, come se quest’ultimi fisicamente non riescano più a sostenere l’intensità e la rabbia cieca delle loro prime canzoni in sede live, preferendo invece finire con la densa e stratificata “pacatezza” di brani quali “At The Well” e “My Heart for Deliverance”, forse il pezzo più melodico (e flaccido) mai registrato dai Nostri. Un 75% dello show da considerare come un monolite di pesantezza inarrivabile, goduria pura, con un 25% finale da vedere come un qualcosa che negli anni Novanta o inizio dei Duemila era impensabile per questa band. Ma sono ormai trent’anni che i Neurosis devastano palchi e i cervelli di coloro che li gremiscono, per cui la maturità gliela concediamo così com’è senza batter ciglio, fermo restando che rimane comunque un qualcosa cui pochi, se non nessuno, potranno mai aspirare.
SETLIST:
At the End of the Road
Given to the Rising
Eye
Times of Grace
Belief
Water Is Not Enough
Distill (Watching the Swarm)
Bleeding the Pigs
At the Well
My Heart for Deliverance