Evento quasi dal gusto cerimoniale, questo ritorno dei Neurosis nella loro città natale, in quel di Oakland, luogo che quasi trent’anni fa diede loro i natali in un humus punk rock improbabile e distante anni luce da dove sono ora, ma che non li ha mai dimenticati. I Neurosis qua sono di casa e dunque non deve sorprendere affatto che il più grande teatro della città, il Fox Theater, sia stato lo scenario perfetto per una lunghissima e pacifica processione di fan trepidanti, che in silenzio quasi reverenziale si sono messi in fila già dalle prime ore della sera per assistere al glorioso ritorno dal vivo di una delle band più iconiche, apprezzate e rispettate della scena heavy della San Francisco Bay Area. Il sapore quasi liturgico e familiare che caratterizza la serata lo si percepisce non solo dall’atmosfera del Fox, venue dominata dalle luci soffuse e da decorazioni psichedeliche, ma soprattutto da una line up praticamente da sfondamento, che ha visto la leggendaria band di Oakland essere affiancata da due band loro amiche dal profilo altissimo, ovvero i Voivod – da sempre una delle primarie influenze dei Neurosis – e dai loro vecchi amici Yob. Inutile aggiungere altro, insomma; un bill così sostanzioso in una location così sontuosa, nella città che ha dato loro i natali, non poteva non creare un allineamento di pianeti per i Neurosis, che non si sono fatti pregare nell’ereggere un live show indimenticabile, pur non privo di sorprese!
YOB
Gli Yob forse hanno sofferto troppo la vastità ed enormità del Fox, venue dalla sala principale ampissima che ha creato una sorta di strana dispersione del loro sound. La band ha suonato con una foga ed un’energia davvero notevoli, ma sembra non essere riuscita a capitalizzare appieno sul potenziale dell’enorme impianto sonoro del locale. E’ stato quasi triste spostarsi all’interno della sala per rendersi conto che le canzoni stesse erano riconoscibili e discernibili solo da alcune angolazioni, mentre da altre il suono era completamente fallato e accartocciato su se stesso in un’enorme palla di rumore incomprensibile. Gli Yob sono una band che, pur nella sua modernità, suona un doom metal alquanto canonico e dunque pieno di feedback e fuzz, caratteristica, questa, che deve essere stata maneggiata male dai tecnici del suono, che non sono riusciti a nitidizzare a pieno il live set-up della band. Peccato, alcuni spettatori, a seconda di dove erano posizionati in sala, devono aver pensato che gli Yob fossero una band penosa, mentre altri hanno potuto senz’altro immergersi nella loro piena potenza. Comunque sia, i venti e passa minuti di oblio psichedelico di “The Mental Tyrant” (monumentale closing track di “The Unreal Never Lived”), unica canzone suonata dai nostri oltre alla opener “Burning The Altar”, non hanno risparmiato niente e nessuno. Anche a fronte di tutti i guai tecnici menzionati, questo mastodonte di canzone, quasi mai proposta dal vivo oltretutto, ha seppellito tutto e tutti sotto una piacevolissima colata di calcestruzzo metallico che solo una band possente ed espertissima nel campo del doom, come gli Yob, è in grado di rigurgitare.
Setlist:
Burning The Altar
The Mental Tyrant
VOIVOD
I Voivod sono stati a tutti gli effetti – almeno secondo il sottoscritto – i trionfatori assoluti dell’evento, strappando nettamente alle altre due il primo posto per la band più in forma della serata. Con i canadesi il palco ha cominciato letteralmente a prendere vita, riempiendosi di colori e vibrazioni tutte nuove e animandosi con un’energia inafferrabile convogliata alla perfezione dai giganteschi visuals di Away, proiettati sullo sfondo, e da un suono assolutamente perfetto e ineccepibile. Inutile tessere le lodi di un membro dei Voivod rispetto ad un altro, visto che tutti e quattro hanno dato il centodieci percento senza risparmiarsi in nulla. Snake ha aizzato la folla come un punk rocker d’altri tempi: vivace, giocherellone, schizzato…in palla totale, insomma; Blacky non ha fatto altro che scapocciare dall’inizio alla fine correndo da un lato all’altro del palco; e Dan Mongrian ha macinato dei riff pazzeschi ribadendo ancora una volta lo straordinario e incomprensibile allineamento di pianeti che è avvenuto con la sua entrata nella band, dopo che tutto aveva fatto presagire che rimpiazzare un soggetto unico come Piggy sarebbe stata cosa impossibile. Mongrian ha invece suonato quei riff dei Voivod, che hanno ormai vent’anni, come se appunto fossero vent’anni che li suona e non ha fatto trapelare neanche un’ombra dal tragico passato più recente della band. Away, dal canto suo, è la solita sicurezza: un batterista punk rock innamorato degli Slayer e di Syd Barrett che ha massacrato la sua batteria con il solito tocco invidiabile, fatto di rudezza, efficacia estrema ed eclettismo ‘cosmico’. La band ha letteralmente scaraventato il Fox in una bolgia infernale, scatenando circle-pit ferocissimi come fiamme al vento e seppellendo tutti nel finale con una catastrofe psichedelica inimitabile grazie ad una “Astronomy Domine” dei Pink Floyd, che ha letteralmente mandato tutti al bar a bere con le sinapsi in frantumi e mezzi annegati nel proprio sudore. Performance assolutamente stellare!
Setlist:
Voivod
Ripping Headaches
Chaosmöngers
Forgotten In Space
The Prow
Mechanical Mind
Tribal Convictions
Astronomy Domine (Pink Floyd cover)
NEUROSIS
I padroni di casa si presentano sul palco col loro solito fare ambiguo, un misto di schivo e timido ma anche minaccioso, brandendo gli strumenti e prendendo posizione sul palco senza dire una parola o intraprendere alcuna interazione di sorta con il pubblico. Stavolta l’atmosfera durante il live set di Scott Kelly e soci è diversa da come ce la ricordavamo: inedita, alquanto bizzarra. Sul palco non regna più l’oscurità più totale, come consuetudine da anni in occasione di un concerto dei Neurosis. Ogni membro della band ha infatti un faro bianco puntato sopra costantemente, per tutta la durata dello show, cosa che rende i cinque perfettamente visibili in ogni loro minima fattezza ed espressione facciale. Inoltre l’illuminazione è accesa in maniera statica, rendendo il palco una sorta di ‘penombra illuminata’. Uno spazio vacuo dalle tinte grigio-celesti dal feel alquanto mortifero e freddo. Sembra quasi che la band stia suonando all’alba, quando ormai è possibile scorgere il mondo circostante nitidamente ma senza poter ancora vedere alcuna porzione di sole in cielo o alcun raggio di luce. Un set-up visuale decisamente inedito, insomma, che abbiamo gradito moltissimo e che ha lasciato tutti di stucco, segno inequivocabile che dopo quasi trent’anni questa band sa ancora stupire anche solo a livello visivo con veramente poco. Dall’altro lato, però, i visuals di Josh Graham hanno intrigato un po’ meno del solito, mostrando poca o nessuna evoluzione rispetto al passato, anche in occasione dell’esecuzione di canzoni nuove. Le solite immagini della tundra, di lupi, corvi, cervi, immagini di decadenza urbana e quant’altro hanno accompagnato il set dei nostri senza riservare grosse sorprese rispetto agli anni passati, costringendoci a volgere lo sguardo ai membri della band, stavolta, per la prima volta forse, completamente illuminati e visibili alla perfezione. La performance prettamente musicale dei Nostri è stata come da copione devastante. Compattezza irreplicabile, rabbia suppurante, suono immenso. Professionismo a trecentosessanta gradi, dunque, senza sconti di sorta, senza pause, incertezze o alcun segno di debolezza mostrato. Nessuna ruga appare sul volto dei Neurosis in versione live. Piegano la spina dorsale alla folla allo stesso modo oggi come facevano vent’anni fa. Sono inimitabili, manipolatori di un suono che solo loro sanno maneggiare e che, nonostante gli infiniti tentativi di replica, nessuno riuscirebbe mai a riprodurre. La sfera live dei Nostri, insomma, è sempre più l’ambiente ideale e preferibile per fruire (e subire) la musica, che su disco ormai, nonostante una qualità sempre assoluta, stenta un po’ a riservare grosse sorprese. La highlight assoluta del concerto è stata una mezza chicca (ma i Neurosis sono soliti infilare in setlist il brano che nessuno si aspetta), ovvero una “Times Of Grace” se possibile suonata con ancora più rabbia e distruzione che sull’omonimo album, cosa che ha fatto letteralmente schizzare bile dagli occhi al pubblico, il quale in risposta ha generato, come un uragano sbucato dal nulla, un moshpit immenso e vorticoso che ha occupato mezzo teatro. Altra perla è stata la rarità assoluta di “An Offering”, tratta dall’oscurissimo EP “Sovereign”, anche questa eseguita più come un’esecuzione capitale per provocare la morte, che come canzone. Altra nota che va segnalata è che i Nostri, da sei anni a questa parte ormai, danno ampio respiro alle canzoni di “Given To The Rising”. Nessun loro altro album aveva infatti ricevuto attenzioni dal vivo costanti tanto quanto questo, ennesima prova che quel disco è entrato di diritto tra i momenti più solidi della loro discografia, e che tutti sono d’accordo su questo, band compresa. Le nuove canzoni di “Honor Found In Decay”, a loro volta, inevitabilmente ampiamente proposte, hanno invece mostrato quella ‘morbidità’ e ‘dolcezza’ che era trapelata dal disco, facendo riflettere tanto il pubblico ma mazziandolo molto meno… molto meno di quanto avrebbe voluto, aggiungiamo. Di questa tranche di pezzi, come prevedibile, “At The Well” ha rappresentato il miglior momento dal vivo, riprova anche questa che il brano è senza dubbio il meglio riuscito del nuovo lotto, e che tutto il resto segue più o meno in fila indiana nella direzione di mood e atmosfere più rilassate e intimiste. Insomma, avrete ormai dedotto che la setist del concerto, eccezion fatta per “Times Of Grace”, sia stata composta quasi esclusivamente di brani tratti dagli ultimi due album dei Neurosis. Che dire, rispetto assoluto per la libertà artistica di una band che ancora una volta ha fatto tutto secondo le proprie regole e ritmi, ma siamo convinti che un tale risultato lo si possa ottenere anche tenendo un po’ più presenti le aspirazioni e le preferenze dei fan. Fan senza i quali, in fin dei conti, qualunque band cesserebbe di esistere. Nonostante questo davvero enorme amaro in bocca, non possiamo che confermare il trionfo assoluto rappresentato da una serata del genere.
Setlist:
Distill
My Heart For Deliverance
At The End Of The Road
An Offering
Times Of Grace
At The Well
Left To Wander
We All Rage In Gold
Bleeding The Pigs
Given To The Rising