12/07/2019 - NEUROSIS + YOB + UFOMAMMUT + KOWLOON WALLED CITY @ Carroponte - Sesto San Giovanni (MI)

Pubblicato il 24/07/2019 da

Report a cura di Edoardo De Nardi
Fotografie di Stefano Marotta

Dopo la data di Roma, spetta a Milano ospitare il secondo appuntamento di questa intenso pacchetto che vede Ufomammut e Yob spalleggiare il ritorno in Italia dei giganti del post-metal Neurosis, evento recepito con interesse ed una buona risposta in una mite giornata di luglio. L’ambientazione del Carroponte raccoglie alcune testimonianze del passato industriale di Milano, risultando decisamente azzeccata nelle ore notturne dedicate all’esibizione della band principale ed aggiungendo suggestività ad un happening già di per sé molto evocativo. Elemento vincente risulterà senza dubbio anche l’impatto acustico della serata, capace fin da subito di valorizzare i tanti e vari spettri sonori attraversati dalle band sul palco, ed esaltare il carattere sperimentale che tutti i concerti hanno incarnato in questa serata che vi andiamo a descrivere…

 


KOWLOON WALLED CITY

Pochi secondi di check sul palco ed i Kowloon Walled City iniziano a picchiare con la prima canzone, principiando con foga il loro concerto. La vena prettamente americana con cui intendono il loro ritmo teso e sincopato ricorda a tratti Unsane ed Helmet in quanto ad aggressività, stemperata però da una voce più melanconica dal sapore quasi screamo, adeguatamente gestita però dal chitarrista e cantante senza strafare. L’esperienza pluridecennale del gruppo viene fuori in effetti abbastanza velocemente: la band dimostra di sapersi muovere con agevolezza negli incastri che vanno ad impreziosire le dinamiche delle canzoni e si rivela in grado di fornire un impatto complessivo considerevole, basato sulla forza pulsante del basso e sugli arpeggi e riff delle chitarre, dosati in un equilibrio ben calibrato. Non sono molti i pezzi presentati in scaletta, naturalmente, ma ai KWC serve poco per dimostrare di non essere un opening act qualsiasi rispetto alla serata, quanto piuttosto un elemento introduttivo ben ponderato nell’ingranaggio musicale del Carroponte.

UFOMAMMUT
Il discorso si estende e si amplia ulteriormente per gli Ufomammut, che seguono rapidamente sul palco sistemando la propria strumentazione e preparandosi al meglio per questo concerto, secondo appuntamento delle due date italiane che il gruppo torinese ha avuto modo di condividere con gli amici di Oakland con pieno merito. Forte di una fama inattaccabile basata su una discografia sempre di ottima qualità, il trio piemontese dimostra ancora una volta il suo impressionante impatto live, fondato su bordate ritmiche ipnotiche e trascinanti, sorrette da tempi avvolgenti e suoni grassi e fragorosi. Pur conoscendone gli elementi, fa sempre piacere sentir ribadire il concetto psichedelico e a tratti folle del terzetto sopra il palco, dotato dell’amalgama necessaria a rendere coeso e a tratti progressivo il materiale suonato, quasi in un unico flusso sonoro dai contorni mai ben definiti. Piace anche la scelta di ripescare in scaletta qualcosa del materiale più diretto e conciso, espediente eccellente per riprendere tiro prima di calarsi nel trip lisergico di assoli lancinanti e linee di basso ossessive che condurranno gradualmente al termine dell’esibizione. Si rimane ammaliati di fronte ad una prova energica e sudata, libera da un punto di vista espressivo ma severamente monitorata per quanto riguarda esecuzione, scelta ed utilizzo degli effetti e momenti di incontro tra i musicisti, punti cardini essenziali attraverso le fumose esplorazioni sonore messe in atto. Il carattere e lo stile personale degli Ufomammut hanno insomma prevalso anche in questa occasione, lasciando piacevolmente stordito il pubblico milanese.

YOB
Anche nel caso degli Yob i concetti di pesantezza ed atmosfera fanno sicuramente parte del DNA della band, declinati però, nel loro caso, in una vena certamente più oscura ed oppressiva, almeno musicalmente. Trademark degli americani rimane infatti il particolare stile vocale del chitarrista e frontman Mike Scheidt, un cantato pulito e rauco allo stesso tempo, modulato secondo melodie piuttosto inusuali per il background ribassato e roccioso a cui rimanda il lavoro degli strumenti, e che anche qui risuona potente dall’impianto del Carroponte. Partendo da una base doom funerea e lentissima, il percorso degli Yob sa inerpicarsi verso asperità più marcate e tuonanti, fino al maestoso tripudio di “Our Raw Heart”, momento saliente del concerto dove intrecci chitarristici e vocali raggiungono senza dubbio la loro massima espressività. Per il resto, la proposta degli Yob è tanto personale quanto complessa, certo non semplice da seguire e da mettere in scena, accusando forse qualche piccolo segno di cedimento nella parte centrale dell’esibizione, e risollevandosi però con vigore per la canzone sopracitata e la finale “Breathing From The Shallows”, ritorno alle acidità sludge di un decennio fa. Anche la presenza della chitarra, essenziale per comprendere le evoluzioni armoniche delle canzoni, viene talvolta soffocata dal volume degli altri strumenti, impedendo ad alcuni passaggi di risuonare al meglio e strozzando il phatos che viene creato, ma si tratta di sbavature minori e sicuramente non direttamente imputabili ai tre musicisti. Nel complesso, infatti, rimane l’immagine di una band che ha lavorato duramente sull’evoluzione della propria musica e che riesce oggi a darne una rappresentazione live sicuramente distintiva e che saprà forse affinarsi ulteriormente nelle numerose date che i Nostri affronteranno insieme ai Neurosis nel corso di questo tour europeo.

Setlist:
Ball Of Molten Lead
The Lie That Is Sin
Our Raw Heart
Breathing From The Shallows

 

NEUROSIS
La notte è calata definitivamente a Milano e degli spettrali neon rossi illuminano il Carroponte nella sua interezza, in attesa dell’arrivo dei cantori del disagio per eccellenza. Posati e profondi, i Neurosis guadagnano il palco senza incitamenti ed ovazioni, con gesti esperti ed attenti imbracciano ognuno il proprio strumento nella generale attenzione del pubblico, pronto ad incamminarsi con loro lungo una strada fatta di dolore, smarrimento e redenzione. Si tratta però di una calma apparente, labile, pronta a sgretolarsi sotto le increspature di rabbia ed energia mai sopite che si affacciano minacciose nel corso delle canzoni, sfaccettature diverse tutte perfettamente accomunabili al cangiante universo musicale narrato dagli americani. In questo senso, sembra che la band propenda per il materiale più delicato e soffuso della sua discografia, eseguendo molte delle canzoni migliori degli ultimi lavori tra l’altro, ma piazzando proprio in apertura ed in chiusura due pesantissimi salti nel passato che evocano laceranti scenari di desolazione a piena distorsione, in un gioco di passaggi dinamici complessivamente sbalorditivo. La bestia post-metal per antonomasia rugge ancora se necessario, ma decide di farlo con oculata misura, prima facendosi sentire in “A Sun That Never Sets”, preferendo poi lasciarsi ammirare nelle reti magnetiche di “A Shadow Memory”, “At The Well”, nella riuscitissima versione di “Reach” e nelle sonorità meno oscure di “To The Light”, e tornando a farsi sentire potente sulle note di “Given To The Rising” e “End Of The Harvest”, finale imprescindibile per ogni amante della musica del quintetto. Molte delle canzoni dell’ultimo lavoro, considerato poco consistente secondo alcuni, hanno trovato al Carroponte una loro dimensione ideale invece a fianco del resto del materiale suonato, dimostrando una continuità con quanto registrato in studio ben riportata anche in sede live. Si sarebbe potuto chiedere forse qualche brano in più dai colossi discografici degli anni Novanta e primi Duemila, ma avrebbe significato tentare di ammansire un animale che vive secondo regole e logiche assolutamente personali, e che soprattutto interpreta la propria musica ogni volta secondo nuovi significati ed espressioni, un’evoluzione costante ed inevitabile vissuta stoicamente da Von Till e compagni con una sensibilità artistica sinceramente emozionante. Tutto ha funzionato perfettamente nella macchina a cinque teste dei Neurosis, non sono ravvisabili imprecisioni o sbavature, quanto piuttosto una profondità sonora e vocale abissale, atmosfere dalle sonorità cupe ed un sentimento generale sì decadente, familiare per molti di quelli che sono venuti, che per novanta minuti ha legato musica, musicisti e pubblico in una stretta empatica di inquiete suggestioni collettive.

Setlist:
A Sun That Never Sets
My Heart For Deliverance
A Shadow Memory
At The Well
Bending Light
Given To The Rising
Reach
To The Wind
End Of The Harvest

 

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