Report a cura di Luca Pessina
Tutte le foto a cura di www.metalshots.com
Quest’anno l’olandese Neurotic Deathfest – festival indoor nato due anni fa dalle ceneri del Rotterdam Deathfest – stava a un death metaller come Disneyland stava a un bambino. Una lineup quasi epocale, comprendente alcuni dei più grandi nomi della scena death metal più una serie di interessantissime band underground/emergenti (tra cui ben tre italiane!), ha richiamato in quel di Tilburg, città situata a pochi chilometri dalla più nota Eindhoven, una vasta schiera di death metaller provenienti da tutta Europa, che per due giorni sono stati ospitati nel magnifico 013, il club/sala concerti più famoso d’Olanda, già teatro in passato di decine di eventi di questo tipo. Provate a immaginare un edificio poco più grosso dell’Alcatraz di Milano, ma meglio strutturato, dotato di tre palchi, di numerosi bar e, soprattutto, di un’acustica infinitamente superiore e avrete più o meno un’idea di cosa sia lo 013. È davvero stato un piacere assistere ai concerti in una struttura tanto accogliente e professionale. Inoltre, l’organizzazione del festival è risultata perfetta sotto ogni punto di vista: orari delle esibizioni sempre rispettati, elasticità nei controlli, grande disponibilità sia nei confronti dei fan che degli addetti ai lavori. Se si tiene conto anche dell’allestimento di numerosi stand di CD e merchandise, essenziali per la riuscita di un vero festival, non c’è stato proprio nulla di cui lamentarsi. Ottimo, infine, constatare come anche nel nostro paese ci siano persone ancora interessate al vero death metal e che hanno voglia di “sbattersi” per supportare la scena: la presenza di italiani fra il pubblico, una volta tanto, è stata notevole. Insomma, il Neurotic Deathfest 2008 è stato un successo sia per gli organizzatori che per le band e tutti i presenti. Se il prossimo anno il bill sarà ancora interessante, non esiteremo a tornare.
N.B. Avendo avuto modo di recente di parlare più volte di esibizioni live di Behemoth e Suffocation, nel report che segue abbiamo preferito concentrarci su altre band. Entrambi i gruppi, comunque, non hanno per nulla deluso, confermando in toto quanto di buono espresso negli ultimi tour.
HOUR OF PENANCE
Gli Hour Of Penance sono la dimostrazione vivente che anche in Italia siamo in grado di produrre death metal di qualità. Chiamato ad aprire il festival, il quartetto romano si è esibito sul Relapse Stage sotto gli occhi di tutti e, giudicando dalle ovazioni ricevute e dalla quantità di merchandise venduta dopo lo show, si può dire che abbia lasciato un segno importante sul pubblico del Neurotic Deathfest. Del resto, anche sul palco il gruppo ha davvero dato prova di essere un act di proporzioni ormai internazionali: i brani di “The Vile Conception” sono stati riproposti in maniera impeccabile (allucinante “Hideously Conceived”!) e anche la presenza scenica di Giulio Moschini, Francesco Paoli e Silvano Leone non ha lasciato indifferenti. Non riusciamo a immaginare cosa potrà diventare la band una volta acquistati ulteriore esperienza e affiatamento nel tour europeo con Origin e Impaled attualmente in corso! Avanti così, ragazzi!
HATE
Purtroppo il chitarrista Destroyer si è rotto un braccio poche settimane fa, di conseguenza gli Hate si sono esibiti con una sola ascia, quella del frontman ATF Sinner. Poco male, comunque, visto che, a differenza di quella di altre band, la proposta degli Hate non necessita sempre dell’apporto di due chitarre. Spesso sono i sample e i synth a fare il grosso del lavoro ed è stato così anche in questa circostanza. Gli Hate, infatti, sono comunque riusciti a offrire una performance degna di nota, incentrata, come era prevedibile, sui loro ultimi due lavori, ovvero quelli che li hanno catapultati all’attenzione del grande pubblico death metal. Pezzi come “Threnody” ed “HEX” sono stati baciati da ottimi suoni e hanno suscitato un buon headbanging fra le prime file. Il gruppo polacco dovrebbe magari migliorare un po’ la presenza scenica per raggiungere i livelli di certi suoi colleghi/connazionali, tuttavia ogni volta che lo si ammira on stage continua a dare l’impressione di essere sulla buona strada. Ancora qualche altro tour nel curriculum e poi forse riuscirà a sfidare anche gente come i Behemoth…
ABORTED
Con il nuovo “Strychnine.213” sulla rampa di lancio, gli Aborted sono apparsi davvero motivati sul Neurotic Stage. Nonostante il festival fosse ancora lontano dall’entrare nel vivo, parecchie centinaia di fan hanno accolto con una grande ovazione l’arrivo sul palco di Sven De Caluwè e compagni e questo ha ulteriormente sollecitato il quintetto a offrire una performance memorabile. Assai in forma e baciati da dei suoni sufficientemente nitidi e potenti, gli Aborted non si sono insomma risparmiati e hanno offerto agli astanti una memorabile quarantina di minuti all’insegna del loro moderno e chirurgico death-grind. D’altronde, se si suonano pezzi del calibro di “Gestated Rabidity” e “The Saw and the Carnage Done” è difficile che la folla resti impassibile… a maggior ragione se poi il buon De Caluwè si dimostra sempre pronto a correre da una parte all’altra del palco e fa di tutto per aizzare i fan al pogo e allo stage diving. Davvero pregevole la prova del cantante, ormai diventato uno dei frontman più abili della attuale scena death metal. È anche grazie a lui che quello degli Aborted verrà ricordato come uno dei migliori show di questa edizione del festival.
DYING FETUS
I Dying Fetus non hanno ancora trovato un rimpiazzo per il dimissionario Mike Kimball, di conseguenza si sono presentati al Neurotic Deathfest come terzetto, con il solo John Gallagher a occuparsi delle parti di chitarra. Per l’occasione, il gruppo ha quindi evitato di proporre le tracce più articolate del suo repertorio, puntando invece sui pezzi maggiormente d’impatto e groove-oriented. Tutti conoscono l’efficacia di simili soluzioni, quindi, nonostante tutto, il concerto è andato decisamente bene per la band. “Schematics”, “Streaks Of Blood” e “Pissing In The Mainstream” hanno infatti dato vita ad ampi mosh pit di fronte al palco e da più parti si sono udite ovazioni ogni volta che veniva annunciato un brano. Speriamo ora che i Dying Fetus trovino un secondo chitarrista al più presto: al momento l’esecuzione di molti pezzi del loro repertorio non risente eccessivamente di questa mancanza, ma un’altra persona sul palco migliorerebbe senz’altro la loro presenza scenica, per forza di cose limitata, visto che sia Gallagher che il bassista Sean Beasley devono rimanere dietro ai microfoni per occuparsi del cantato.
COLDWORKER
Dal vivo il death metal dei Coldworker acquista ulteriormente quel marciume tipico dei grandi gruppi svedesi dei primi anni ’90. Senza nulla togliere al valore dei nostri su CD (ribadiamo che il nuovo “Rotting Paradise” è proprio un bel dischetto), è dal vivo che per ora la band guidata dall’ex Nasum Anders Jakobson dà il meglio. Non erano certo uno dei nomi più attesi di questa edizione, tuttavia il quintetto svedese è riuscito senz’altro a destare l’attenzione di molti, proponendo una mezz’ora tiratissima, nella quale è stata spesso messa in mostra un’attitudine palesemente grind che ha entusiasmato molti dei presenti. In particolare, pezzi come “Paradox Lost” e “An Unforgiving Season” hanno acquistato un tiro micidiale, scatenando davanti al Relapse Stage un pogo feroce che si è protratto per tutta la loro durata. Non sono ancora dei primi della classe, ma questi ragazzi stanno iniziando a farsi notare.
ASPHYX
Dopo tanto death-grind e brutal ultima generazione, un po’ di sano old school death metal era quello che ci voleva per rifiatare e cimentarsi in un headbanging alla vecchia maniera! E quale colonna sonora migliore di un bel concerto degli Asphyx per una simile pratica? È stato davvero un piacere rivedere on stage questa grandissima band, oggi riformatasi giusto per tenere qualche concerto e per la pubblicazione di un singolo (“Death The Brutal Way”, tra l’altro incluso in scaletta). Gli Asphyx giocavano in casa, quindi è stato normale vedere la folla accoglierli come degli eroi. Ciò che ha veramente sorpreso è stato, al contrario, l’ottimo stato di forma della band e, in particolare, di Martin Van Drunen, che, nonostante i capelli bianchi, ha cantato proprio come ai tempi d’oro, facendo letteralmente venire i brividi a tutti i fan. Inoltre, lo show, ad eccezione del suddetto singolo, è stato interamente incentrato sui due capolavori del gruppo: “The Rack” e “Last One On Earth”! Gli Asphyx non potevano operare una scelta migliore… anche adesso non riusciamo a dimenticare le sensazioni provate all’ascolto di una “The Sickening Dwell” o di una “M.S. Bismarck”. Un grande successo, in definitiva… ci auguriamo vivamente di rivedere presto i quattro olandesi on stage!
BLOOD RED THRONE
Come headliner del Relapse Stage nella giornata di sabato non poteva esserci gruppo migliore dei Blood Red Throne. Tutti erano già piuttosto stanchi, quindi non era proprio il caso di sorbirsi qualche proposta troppo cervellotica. Ci voleva una bella mazzata groovy e diretta… e la musica della band norvegese, come noto, è esattamente quello! È stato perciò con immenso piacere che abbiamo seguito la performance di Tchort e compagni sul secondo palco del festival. Il gruppo poi, dal canto suo, non ha risparmiato le energie e si è reso protagonista di uno show molto divertente, che è stato seguito con attenzione anche dagli amici Suffocation. La presenza scenica non è il punto forte dei Blood Red Throne (anche se il frontman Vald si è come al solito presentato ricoperto di sangue), ma i pezzi sono talmente groovy e “orecchiabili” che è comunque difficile rimanere impassibili di fronte a una loro esibizione. Oggi gli highlight del concerto sono stati “Incarnadine Mangler”, “Mephitication” e “No New Beginning”, tuttavia gli interi 45 minuti sono trascorsi lisci come l’olio, alfieri di un momento più coinvolgente dell’altro.
NAPALM DEATH
I grandi palchi non si addicono troppo ai Napalm Death. Il gruppo è nato per suonare a stretto contatto con il pubblico e per “fare muro”, spalla contro spalla, quasi a rappresentare le nocche di un pugno. Con questo non vogliamo dire che il concerto del leggendario gruppo inglese sia stato poco interessante – il fatto di trovarsi al chiuso ha comunque fatto sì che l’impatto dei nostri rimanesse importante – ma che tutto sommato preferiamo assumere la nostra dose di death-grind in club un po’ più intimi dello 013 di Tilburg. Comunque, nulla da appuntare ai Napalm Death, che, da headliner assoluti della manifestazione, hanno offerto come previsto una performance degna del loro nome. Nessuna novità a livello di setlist, tuttavia l’efficacia di pezzi come “Scum” o “Siege Of Power” non può certo essere messa in discussione. Assistiamo a un loro show almeno un paio di volte all’anno, ma Barney e soci continuano a lasciare il segno quasi quanto la prima volta. Leggende.
DECREPIT BIRTH
Attesissimi da buona parte del pubblico (davanti al Neurotic Stage c’era una folla degna di un headliner), i Decrepit Birth hanno dimostrato anche sul palco di essere a tutti gli effetti una delle band di punta della attuale scena death metal. Il quintetto sino a ora non ha suonato spessissimo dal vivo, quindi non ha sorpreso vederlo muoversi poco su un palco tanto grande come quello in questione. I nostri, sotto questo punto di vista, devono e possono migliorare parecchio. A livello tecnico-esecutivo, invece, niente da appuntare a Matt Sotelo e compagni: sono stati solo sei i brani proposti, ma nessuno è rimasto scontento della loro performance. “…and Time Begins”, “Diminishing Between Worlds”, “The Living Doorway” e “Condemned to Nothingness” sono stati gli episodi che hanno esaltato maggiormente, ma, come dicevamo, l’intera mezz’ora a disposizione della band ha fatto un’ottima impressione. Siamo dell’idea che suonando live con maggiore frequenza i Decrepit Birth possano diventare un vero e proprio colosso. Li aspettiamo a breve di nuovo da queste parti per promuovere ulteriormente il capolavoro “Diminishing Between Worlds”.
FLESHGOD APOCALYPSE
Pochi conoscevano i Fleshgod Apocalypse prima di oggi, ma quello della band nostrana è certamente un nome che sarà rimasto impresso nella mente di coloro presenti davanti al Relapse Stage durante la sua esibizione. Il quartetto capitanato da Francesco Paoli, frontman degli Hour Of Penance, va infatti considerato una delle maggiori promesse dell’underground death metal europeo. Con un demo di due tracce i nostri si sono procurati un contratto con la Neurotic Records e in autunno pubblicheranno il loro primo full-length, che si preannuncia un must per tutti i fan di Psycroptic, Morbid Angel e Spawn Of Possession. Anche sul palco il quartetto ha dimostrato di saperci fare, sfoderando una presenza scenica semplice ma efficace e una padronanza tecnica già su altissimi livelli. I due brani del promo hanno ovviamente ricevuto le ovazioni maggiori, tuttavia anche il resto della setlist ha fatto un’ottima impressione, dimostrandosi altrettanto valida. Non si vede davvero l’ora di ascoltare il disco!
NATRON
A differenza dei Fleshgod Apocalypse, quello dei Natron è un nome che non necessita di troppe presentazioni. Il quintetto pugliese è da anni un punto di riferimento della scena death metal italiana e con il passare del tempo ha saputo togliersi parecchie soddisfazioni anche in Europa, suonando praticamente ovunque e spesso con realtà fondamentali della scena. Non è stato quindi una sorpresa vedere Max Marzocca e compagni esibirsi al Neurotic Deathfest. Peccato che i suoni del Terrorizer Stage non fossero brillantissimi quando il gruppo ha calcato il palco, ma, per il resto, poco o niente è riuscito a frenare la furia dei nostri. In mezz’ora i Natron hanno proposto tutti i loro cavalli di battaglia, più un paio di tracce destinate a comparire nel loro prossimo disco, in uscita entro l’anno per una label in via di definizione. Il pubblico ha apprezzato e ha dimostrato di gradire molto la simpatia dei nostri, soprattutto durante i break tra un brano e l’altro, quando i ragazzi hanno chiaramente manifestato tutta la loro passione per certe erbette olandesi.
SICKENING HORROR
Eravamo piuttosto curiosi di vedere dal vivo i Sickening Horror, soprattutto alla luce di un lavoro altamente interessante come il debut “When Landscapes Bled Backwards”, uscito per Neurotic Records alcuni mesi fa. Purtroppo però il gruppo greco si è presentato al festival con una lineup del tutto inadeguata a riproporre on stage le complesse trame del disco. Per intenderci, fra i punti forti di quest’ultimo ci sono senza dubbio le fantasiose e tecnicissime linee di basso… e i Sickening Horror hanno calcato il Relapse Stage senza bassista! Sul palco c’erano solo chitarrista, cantante e drummer. Tutti hanno fatto un lavoro egregio, tuttavia, come ovvio, i pezzi suonavano ben diversi dalle versioni in studio. Inoltre i nostri non hanno nemmeno fatto uso di quei campionamenti e di quegli effetti industrial udibili sul CD, cosa che ha ulteriormente mutilato i brani. In definitiva, a tratti è stato quasi come assistere al concerto di un altro gruppo.
CRYPTOPSY
Probabilmente i Cryptopsy sapevano che a un festival chiamato Neurotic Deathfest ci sarebbe stata gente pronta a tirargli addosso una sedia se solo si fossero azzardati a proporre live un pezzo come “Bemoan The Martyr”. Di conseguenza, il gruppo ha incentrato la sua esibizione esclusivamente su brani datati, facendo la gioia di tutti i presenti. A dire il vero, il quintetto (la tastierista apparsa in alcune recenti foto promozionali pare sia già stata licenziata) sembrava proprio pronto al peggio, visto che il nuovo frontman Matt McGachy si è presentato on stage con una maglietta un tantino polemica che letteralmente recitava “Non me ne frega un cazzo se mi odi”, mentre Flo Mounier con una che lasciava ancora meno spazio all’immaginazione (“FUCK YOU”). Tuttavia, nessuno fra gli astanti ha avuto la possibilità di manifestare apertamente il suo malcontento: i Cryptopsy sono partiti con l capolavoro “Crown Of Horns” e in 45 minuti hanno praticamente polverizzato i presenti, sfoderando tutti i loro classici (“Phobophile”, “We Bleed”, “Cold Hate, Warm Blood”, “Slit Your Guts”…). McGachy ha dimostrato di dover ancora lavorare un po’ sulla sua presenza scenica, ma a livello vocale non ha per nulla fatto rimpiangere i suoi predecessori, dando prova di essere all’occorrenza dotato di un growling marcissimo e di uno screaming altrettanto incisivo. Una grande sorpresa per chiunque. Nessuno avrebbe scommesso una lira su questo ragazzo alle prese con il materiale di un “None So Vile”, ma McGachy ha zittito tutti. Ovviamente resta l’amarezza per un lavoro mediocre come il nuovo “The Unspoken King”, tuttavia, almeno durante il concerto di oggi, i Cryptopsy si sono rivelati una band tutt’altro che bollita. Uno dei migliori show del festival.
IMPALED
Dopo l’ottima prova dei Cryptopsy, il festival si è mantenuto su alti livelli con lo show degli Impaled, i quali hanno messo letteralmente a ferro e fuoco il Relapse Stage con il loro old school death-grind alla Carcass. Difficile non prestare attenzione alla band, se non altro perchè i nostri si sono presentati sul palco indossando tutti una sorta di divisa, con tanto di cravatta. Molto divertente il concerto del quartetto americano, soprattutto grazie all’esecuzione di una lunga serie di brani estratti dagli ultimi full-length, che con le loro ritmiche spesso prettamente thrash hanno istigato molti al pogo e all’headbanging. La continua alternanza di ben tre growl/scream ha inoltre dato ottimi risultati per tutto l’arco della performance e, in particolare, durante tracce come “G O R E” e “You Are The Dead”. Senza nulla togliere ai CD, si può insomma affermare che la musica degli Impaled acquisti una marcia in più in sede live!
ORIGIN
Onestamente, ci si aspettava qualcosina in più dagli Origin. Sia chiaro che il loro concerto è stato notevole sotto parecchi punti di vista e che il pubblico ha risposto in maniera calorosissima (davanti al Relapse Stage si faceva quasi fatica a respirare, tanta era la calca). Il gruppo, però, si è presentato on stage senza il chitarrista Jeremy Turner e ciò ha irrimediabilmente compromesso un po’ la riuscita delle esecuzioni di alcuni dei brani più recenti. Con una sola chitarra è difficile rendere al meglio certi passaggi. La band, comunque, lo sapeva bene e, di conseguenza, ha preferito orientarsi sul vecchio materiale per stilare la scaletta. I die hard fan, nonostante tutto, hanno apprezzato non poco, mentre chi scrive avrebbe preferito ascoltare quanti più pezzi possibile dal nuovo “Antithesis”, a oggi il vero capolavoro degli Origin. Ci si è dovuti accontentare di “The Aftermath” e di “Finite”, entrambe ben eseguite soprattutto dal fenomenale drummer John Longstreth, praticamente una macchina.
HATE ETERNAL
Quello degli Hate Eternal, headliner di sabato, è stato senza dubbio un buon concerto, ma è altrettanto vero che il pubblico non si è lasciato andare a parecchi moti di entusiasmo durante il loro set. Probabilmente in molti erano stanchi dopo due giorni all’insegna del più puro e incontaminato death metal. Inoltre non va ignorato il fatto che la proposta degli Hate Eternal sua tutto fuorchè dinamica, quindi era difficile che i presenti si cimentassero in pogo o stage diving. Non sono mancati gli applausi, ma pensiamo che Erik Rutan e compagni si aspettassero qualcosina in più dallo show di questa sera. D’altronde, loro ce l’hanno messa proprio tutta per ben impressionare, suonando con una furia allucinante soprattutto i brani del recente “Fury And Flames”, tutti dedicati allo scomparso Jared Anderson. Notevole anche la resa live di “I, Monarch” e di “Behold Judas”, due dei piccoli classici del quartetto. Da segnalare, infine, la buona prestazione dei nuovi arrivati in casa Hate Eternal: Jade Simonetto alla batteria, J.J. Hrubovcak al basso e Shaune Kelley alla seconda chitarra, musicisti forse poco carismatici, tuttavia preparatissimi. Insomma, il gruppo se la cava alla grande con questa sua nuova lineup, anche se sarebbe comunque bello un giorno vederlo esibirsi con Alex Webster al basso.