06/10/2003 - Nevermore + Guilty Method @ Alcatraz - Milano

Pubblicato il 09/10/2003 da

A cura di Marco Gallarati

C’era grande attesa, all’ombra della Madonnina, per il primo, imperdibile appuntamento metal dell’autunno, il concerto che avrebbe dovuto veder protagonisti Arch Enemy e Nevermore. Entrambe le compagini hanno pubblicato da poco i loro nuovi lavori, “Enemies Of Reality” per il combo americano e “Anthems Of Rebellion” per la band dei fratelli Amott, confermando il loro status di “supergruppi” all’interno della scena metallica del nuovo millennio. Purtroppo, come molti già sapranno (se attenti lettori di Metalitalia.com), la performance degli Arch Enemy non ha avuto luogo, in quanto un assalto “insettifero” degno dei migliori B-movie ha reso impraticabile il tourbus dei nostri, causando loro non pochi problemi fisici e costringendoli ad annullare la parte del tour che comprendeva anche la data italiana. Peccato, davvero! Al loro posto, sono stati rapidamente reclutati i milanesi Guilty Method, i quali, onestamente, si sono presi sulle spalle una bella responsabilità, nonché un compito proibitivo. Ma spegniamo le luci ed entriamo nel dettaglio…

GUILTY METHOD

L’assenza degli Arch Enemy, si presume, era già a conoscenza di buona parte del pubblico, in quanto, nel momento in cui sono saliti sul palco i cinque giovani ragazzi componenti i Guilty Method, nessuno ha fiatato e/o disapprovato…buon per la band milanese, quindi, il fatto di aver trovato un’audience già preparata! Il genere da loro proposto, nel caso la mancata esibizione di Angela & Co. fosse stata una totale sorpresa, non sarebbe stato certo d’aiuto per la stessa band: trattasi, infatti, di un originale mix tra il nu-metal più rilassato (ultimi Deftones) e sonorità più criptiche e d’elite (Tool), il tutto cesellato dalla presenza di un violinista che, certamente, è sinonimo di ricercatezza musicale e voglia di proporre qualcosa di diverso. Il sottoscritto si era già trovato di fronte a questa band nel novembre 2002, quando, di supporto ai Downset, avevano fornito una prestazione appena discreta. Di tutt’altra pasta, il concerto tenuto all’Alcatraz, suonato di fronte ad una platea non adatta e freddamente partecipante: buonissima la resa sonora e l’esecuzione dei brani, discreta la presenza scenica e i movimenti sul palco, ottima l’attitudine (quasi dimessa, sicuramente consapevole di non essere apprezzati da tutti ma speranzosa di aver smosso più di qualche preconcetto) con cui si sono presentati di fronte ad un’audience di metallari assetata di Nevermore e mazzate sulla nuca. Sinuosa come serpe, la squillante voce di Mario Melis si è piano piano infiltrata nelle orecchie degli astanti ed è riuscita a strappare applausi meritati. Il gruppo è in procinto di pubblicare il primo album, “Touch”, su etichetta About Rock Records (la stessa degli Extrema) ed è senza dubbio da seguire con attenzione.

NEVERMORE

Dopo un’attesa durata anche troppo, scandita da musiche perlomeno discutibili, ecco finalmente comparire on stage i Nevermore! Accompagnati da Steve Smith (Testament) alla seconda chitarra, l’impatto con il pubblico milanese è stato poco felice: la partenza di “Inside Four Walls”, l’apripista del concerto, è risultata ovattata e con i volumi al minimo. Questione di pochi minuti, però: qualche correzione dal mixer e la band ha cominciato a scaldarsi lentamente. Il sound delle chitarre ritmiche, purtroppo, non è stato ottimale per tutta la durata del set, con riff poco distinguibili ed un’acustica confusa. Ovviamente, di contralto, si è venuto a creare un muro sonoro denso e compatto, invalicabile! La prestazione dei singoli elementi è stata superlativa, in particolare Van Williams, dietro le pelli, si è dimostrato un mostro di tecnica, sfoderando cavalcate in doppia cassa e passaggi arditi a mo’ di routine quotidiana. Apprezzatissima l’esecuzione di “In Memory”, tratta dal primo lavoro targato Nevermore, ma gli hit che i cinque hanno estratto dal cilindro sono stati molti, e senza dimenticare nulla! Un’ora e mezza (forse qualcosa di più) di bordate metalliche assassine: “The Politics Of Ecstasy”, “Dreaming Neon Black”, “Dead Heart In A Dead World” e l’ultimo “Enemies Of Reality” sono stati sezionati a dovere e tutti i brani, vecchi e nuovi, sono stati accolti con entusiasmo, sintomo di grande continuità, sicurezza nei propri mezzi e fiducia incrollabile dei fan. A mio parere, “Narcosynthesis” è stato il brano più apprezzato e coinvolgente, assieme ad “Engines Of Hate” (proposta nei bis) e “The Heart Collector” (cantata da tutti a pieni polmoni)…guarda caso, tre brani tratti da “Dead Heart…”, forse il loro album più maturo e completo. Warrel Dane, la cui particolare voce può piacere o meno, si è confermato ottimo e simpatico frontman, anche quando si è trovato di fronte la nostra piccola Cristina Scabbia (Lacuna Coil), intervenuta ad interpretare le parti di female vocals, durante l’esecuzione del classico “Dreaming Neon Black”, oppure al momento di affrontare i soliti “temerari” riusciti a salire sul palco, in barba alla security. Spettacolare l’utilizzo dell’impianto luci, in grado di ricreare, senza esagerati artifizi, atmosfere cupe e aggressive, negli attimi di maggior intensità e violenza, con la band a muoversi come sol uomo. I siparietti solisti ad appannaggio del funambolico Jeff Loomis sono risultati piacevoli e brevi, mentre bello è stato l’intro bassistico di Jim Sheppard ad introdurre “Dead Heart In A Dead World”, poi divenuta di colpo “Ambivalent”. E’ spiaciuto non sentire qualche pezzo in più tratto da “Dreaming Neon Black”, ad esempio “Deconstruction” e “Poison Godmachine”, ma tant’è…non si può proprio rimproverare nulla ai Nevermore, autori di un live energico, autoritario e in crescendo, confermando, se ce ne fosse bisogno, l’importanza e l’unicità del sound in auge ai pard di Seattle. La chiusura, affidata alla cover-killer di “The Sound Of Silence”, è stata solo la ciliegina sulla torta. I “nemici della Realtà” sono vivi più che mai e non accennano ad indietreggiare!

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