Report a cura di William Crippa
Fotografie di Enrico Dal Boni
Tornano in Italia i Nightwish per la terza volta in dieci mesi, dopo i concerti di Bologna a fine novembre 2015 e quello al Postepay Rock In Roma ad inizio giugno. Va detto, i Nightwish sono uno dei gruppi con il fanbase più fedele ed affezionato, ma questa frequenza nelle visite rischia di essere oggettivamente deleteria, alla lunga; non tutti i fan possono permettersi biglietti decisamente costosi e spostamenti impegnativi per seguire la band per ben tre volte in un anno, quindi l’affluenza è un grande punto interrogativo per questa data mantovana. A supporto dei finlandesi, ecco nuovamente i Temperance, italianissimi sulla rampa di lancio ormai rodati dopo aver aperto per gli stessi Nightwish a Roma, per i Within Temptation e per i Rhapsody di Turilli. Ma vediamo nel dettaglio come è andata questa data al PalaBam di Mantova.
TEMPERANCE
Ore 19:30 esatte, i Temperance, con ancora tutte le luci del palazzetto accese, irrompono sulle assi del PalaBam sulle note della nuova “The Restless Ride”, dall’imminente album “The Earth Embraces Us All”, in uscita a giorni; di fronte a loro la venue è ancora scarsamente popolata, soprattutto le tribune, che appaiono desolatamente quasi vuote, ed uno scarso calore iniziale da parte del parterre li accoglie non al meglio, ma il combo meneghino fa buon viso a cattivo gioco e bissa immediatamente con l’hit “Me, Myself & I”, singolo di lancio del precedente lavoro da studio “Limitless”. Lo show prosegue a ritmo serrato, guidato dal carisma dalla frontwoman Chiara e dal chitarrista Marco Pastorino, che si dividono equamente i momenti di interazione con i fan; fan che, con l’avanzare del set, si animano e cominciano a sostenere i milanesi. Nel corso dei quarantacinque minuti abbondanti dell’esibizione, la band non fa mancare assaggi dal nuovo disco, con ben quattro brani: il già citato “The Restless Ride”, “At The Edge Of Space”, “Unspoken Words” e “Revolution” che, sebbene sconosciuti o quasi al pubblico, vengono seguiti con attenzione ed interesse dai presenti. “Deja Vù” chiude tra gli applausi, a segnare un altro traguardo per la giovane band nostrana, seppure all’interno di un’esibizione partita ad handicap.
NIGHTWISH
Scoccano le 21, e nel palazzetto di Mantova il pubblico è aumentato sensibilmente, anche se i numeri degli show di Roma e Bologna sono concretamente lontani. Giù le luci, e la voce di Richard Dawkins introduce “Shudder Before The Beautiful”, che dà il via allo show. Niente fuoco e nessun pyro in questa struttura, quindi lo spettacolo visivo si sposta sul gioco di luci psichedeliche e sul grandissimo ledwall che troneggia alle spalle della band. La dura “Yours Is An Empty Hope” porta alla prima sorpresa in setlist, la splendida “Bless The Child”, direttamente da “Century Child”, che fa esplodere la venue in un boato fragoroso, boato che prosegue poi dai fan durante la gioiosa e giocosa “Storytime”. Troy Donockley raggiunge i compagni sullo stage per dare il via ad un allegro segmento basato sul folk, costituito dall’accoppiata “My Walden” e “Elàn”, prima di virare all’epicità con la sontuosa “Weak Fantasy”. Il pubblico, come già detto non eccessivamente numeroso, è coinvolto completamente dall’esibizione dei Nightwish: canta ogni singola parola dei testi, strilla e si diverte, godendosi al 100% il concerto con una devozione che poche pari ha nel metal intero; la band dal canto suo è oggettivamente perfetta, un meccanismo ben oliato che non sbaglia una nota, forse più concentrata ad inanellare un brano dopo l’altro che a parlare. Floor Jansen, che divide l’onere di reggere in toto gli sguardi dei fan con Tuomas Holopainen, ammiccante e smorfioso dalla sua tastiera, si mostra ancora una volta matura frontwoman, capace di trascinare il pubblico con ogni vocalizzo; molto dinamici Marco ed Empu, in costante movimento sulle assi del palco a scambiarsi continuamente la postazione sui due estremi laterali. “7 Days To The Wolves” e “The Siren” portano ad uno dei momenti più intensi del concerto, l’esecuzione di “The Poet And The Pendulum”, lunga suite (quasi quattordici minuti) da tempo richiesta a gran voce dai fan anche attraverso una serrata campagna sui social da parte del fanclub italiano, fanclub che nelle prime file dalle note iniziali del brano fa apparire dal nulla braccialetti luminosi per accompagnare l’esecuzione, azione più volte già vista all’opera in passato (chi vi scrive ricorda lo stesso per “Colours In The Dark” al concerto udinese di Tarja, per esempio), ma sempre gradevole da osservare da fuori. “I Want My Tears Back” e “Nemo”, più concrete e snelle rispetto al brano che le ha precedute, riequilibrano l’andamento del concerto, che vira improvvisamente verso il passato con le storiche “Stargazers” e “Sleeping Sun”, con un’esecuzione di quest’ultima particolarmente toccante ed intensa. Il concerto è quasi agli sgoccioli, “Ghost Love Score” e “The Last Ride Of The Day” portano al grandioso finale targato “The Greatest Show On Earth”, che nella sua interezza inizia dopo un’ora e cinquantasette minuti di concerto, per portare il tutto ben oltre le due ore, per un colossale finale di set. Gran concerto per la band guidata da Tuomas Holopainen, reso ancora migliore da suoni ottimi e da un volume degno ma non eccessivo e fastidioso; grande la prova strumentale dell’intera band e grandissimo il responso del pubblico, per uno dei concerti migliori di questo 2016.