04/08/2023 - NORÐANPAUNK 2023 @ Laugarbakki (Islanda) -

Pubblicato il 25/08/2023 da

Report di Luca Pessina
Foto di Sólrún Sif Sigurđardóttir, Elena Hidalgo, Jónas Hauksson e Luca Pessina

Dopo la fantastica scoperta dello scorso anno, abbiamo fatto il possibile per ripetere l’esperienza Norðanpaunk anche nel 2023. Su invito degli organizzatori, siamo così tornati a fare visita a questo piccolo grande evento nel nord dell’Islanda, per tre giorni all’insegna della musica e del valore dello spirito di comunità e dello stare insieme.
Nel nostro articolo dello scorso anno, abbiamo abbondantemente sviscerato cosa sia il Norðanpaunk e cosa abbia portato il collettivo che lo gestisce a ideare e a portare avanti un’iniziativa più unica che rara come quella in questione. A dodici mesi di distanza dalla nostra prima conoscenza, una volta tornati in quel di Laugarbakki, siamo stati più che felici di constatare che la magia che avvolge il piccolo happening nordico sia rimasta tale e quale al 2022, se non addirittura rinfrancata e rafforzata da un’affluenza di pubblico ben più massiccia, che ha letteralmente fatto salire di tre/quattro volte la popolazione del minuscolo borgo che ospita il festival.
A dispetto della crescita del numero degli avventori, l’atmosfera e lo spirito alla base del Norðanpaunk sono rimasti gli stessi, con al centro il carattere easy e familiare nella gestione dell’evento, la quale non prevede security e che puntualmente è aperta al contributo di tutti sotto forma di aiuto dietro le quinte, in cucina, nella pulizia dell’area camping e dell’edificio in cui si svolgono buona parte dei concerti. Chi presenzia o suona al Norðanpaunk tende spesso a diventare parte della sua crew, diventando ulteriormente protagonista a suo modo di un happening che vive della passione di ognuno, costruendo ogni giorno ‘ponti’ inclusivi, il tutto con una grande e sempre più numerosa presenza attiva dei giovani. Da queste parti, l’incontro fra veterani della cosiddetta scena e ‘nuove leve’ rappresenta una sorta di ossigenazione che allarga la mente e ricarica le batterie, facendo ritornare al quotidiano più forti, più grati e più consapevoli. In particolare, i concerti notturni, attorno al falò, rappresentano anche un momento di scambio e di dialogo fra i presenti, ma, a ben vedere, è lo stesso variopinto programma musicale del festival a innescare riflessioni e voglia di aprirsi verso l’esterno.
Come già sottolineato lo scorso anno, il Norðanpaunk non è solo un festival metal: come suggerisce il suo stesso nome, c’è tanto punk nel suono e nell’attitudine, ma anche una vasta gamma di esibizioni che poco o nulla hanno a che fare con l’abituale target di un portale come il nostro. Dalla dark wave al math rock, passando per ambient e post-punk, la rassegna è estremamente variegata e al contempo coerente nel suo voler radunare e dare spazio ai migliori talenti del panorama locale e ad alcuni attentamente selezionati ospiti internazionali.

Trascorrere un weekend da queste parti aiuta a comprendere e a gettare luce sulle specificità di un territorio e di una visione unici nel modo di concepire e organizzare il rapporto tra arte e comunità.
È nelle maglie di questa rete che si trovano le ragioni che hanno permesso di arrivare a un modo di intendere il festival che crediamo abbia davvero pochi eguali nel mondo: musica e comunità sono al centro di tutto e i fini commerciali si riducono al voler rientrare nelle spese base, tanto che gli avventori sono liberi di fare ciò che vogliono – nel rispetto del prossimo e dell’ambiente circostante – e di vivere l’evento come credono, portando da casa il loro cibo o alcol senza alcuna limitazione.
Di nuovo, per tutti i dettagli su cosa sia il Norðanpaunk e il suo quotidiano, vi invitiamo a leggere il nostro precedente articolo. Di seguito vi proponiamo invece qualche commento su alcune delle esibizioni di questa ultima edizione che più ci hanno colpito – non sempre in ordine cronologico, dato che il cosiddetto running order del festival talvolta ha subito delle modifiche all’ultimo, con il risultato che non è sempre semplice ricordarsi gli slot esatti – assieme a una serie di foto con l’intento di restituire almeno un po’ l’atmosfera che ci ha avvolto nel nord dell’Islanda poche settimane fa.

Tra le prime esibizioni ad infiammare i presenti c’è quella dei DÖDSRIT. La crust/black metal band svedese (buona parte dei membri della formazione live sono però olandesi) è una realtà perfetta per un festival come il Norðanpaunk, soprattutto perché i ragazzi sono un magnifico esempio di quell’unione fra mondi punk e metal, con l’etica DIY sullo sfondo, che tanto è in voga da queste parti.
Il quartetto dimostra subito di sapere coinvolgere vari tipi di ascoltatore fondendo soluzioni dall’indubbio tiro black metal, scariche d-beat che fomentano la frangia più hardcore-punk e una malinconia che da queste parti non può che avere terreno fertile, visti i paesaggi che ci circondano. La band è da qualche anno molto attiva sul fronte live, quindi non stupisce che lo show sia privo di sbavature, oltre che fortemente sentito da ognuno dei musicisti. Per molti, questa sarà infatti il concerto ‘principe’ della manifestazione.
Dagli olandesi ISKANDR – formazione facente parte del roster dell’autorevole Eisenwald – ci si aspettava un altro set di matrice black metal, invece il progetto olandese, qui rappresentato da solo cantante/chitarrista O, ha optato per un concerto semi-acustico improntato su una sorta di dark folk pastorale che a quanto sembra farà da base alle prossime pubblicazioni del gruppo. Armato di chitarra, campanelli e drum machine, O ha intrattenuto i numerosi presenti con una serie di canzoni che alternano solennità e una cupezza onirica, con il cantato del frontman che spesso va a lambire toni declamatori. Non esattamente ciò che ci si aspettava, ma un’esibizione ugualmente notevole.
Il black metal invece arriva dai francesi IFFERNET, alla seconda esperienza da queste parti in due anni. Il gruppo sta diventando molto amato e si respira infatti un certo hype attorno al suo concerto. Il duo di Rouen per fortuna non delude, mettendo in mostra tutte le sue principali qualità. Della band colpisce di nuovo la spinta viscerale, l’essenzialità alla base di un black metal che forse è punk nello spirito, senza tuttavia scadere in toni caciaroni o soluzioni semplicistiche. Vi è anzi un’emotività alla base della musica che richiede un certo impegno per essere pienamente colta e assimilata. Con solo chitarra, batteria e voci (urla), gli Iffernet riescono a mettere in piedi un qualcosa di estremamente sentito e passionale. Dal vivo molto più che su disco.

C’è anche del death metal ‘moderno’ nel programma di quest’anno: la parentesi in questi territori musicali ci viene donata dagli EPIDERMAL VEIL, giovane realtà di Reykjavík che sembra guardare soprattutto a gruppi come Decapitated, Soreption e Psycroptic a livello di ispirazione per la propria proposta. Un sound quindi molto prodotto e compresso, il quale non rinuncia però a una certa orecchiabilità di fondo, come del resto insegna il repertorio delle influenze succitate. I ragazzi possono vantare un’indubbia padronanza strumentale, in concerto si divertono e fanno divertire, soprattutto i più giovani, finendo per rappresentare un gradito break all’interno di un cartellone che quest’anno predilige maggiormente altre sonorità.
Dopo essere stati fra gli “Artist in Residence” all’ultimo Roadburn festival, i SANGRE DE MUERDAGO giungono anche al Norðanpaunk per proporre il loro folk dal distinto background galiziano.
Il leader Pablo C. Ursusson ha un passato nella musica estrema, ma da anni ha deciso di esprimersi in questa veste più soave, dando ampio spazio alla dimensione acustica e facendo ricorso a strumenti inusuali, come hurdy gurdy, nyckelharpa, flauti e music box. Il concerto si svolge attorno al falò, al termine della prima notte del festival, con il quartetto seduto in prossimità del fuoco, assieme a tutti noi. La temperatura è piuttosto rigida a quest’ora della breve notte islandese, ma, per quanto possa sembrare un cliché, la musica e l’interpretazione dei quattro scaldano il cuore.
Tutto è essenziale: nessun artificio, ogni elemento è in funzione della composizione e della sua parte espressiva. Il chitarrista/cantante va poi a rendere tutto ancora più personale e sentito presentando il tema e la storia dietro ogni pezzo, come se si trattasse di un concerto tra pochi intimi. E, in effetti, quello di questa notte per certi versi lo è. La dimensione poetica e spirituale del repertorio del gruppo è udibile fin dalle prime note e il pubblico fa del proprio meglio per mantenere silenzio e compostezza nel corso dell’esibizione, dimostrando fortunatamente una spiccata maturità anche in questo senso. Un momento particolarmente memorabile di questa fortunata edizione del festival.

Nei giorni seguenti, assistiamo a un altro concerto all’insegna del black metal transalpino. Questa volta i protagonisti sono i SORDIDE, trio con già diversi album all’attivo, fra cui un paio per la nostrana Avantgarde Music. Come accaduto per gli Iffernet – con i quali condividono il batterista/cantante – la proposta denota subito un approccio spiccatamente ‘in-your-face’ che in certi passaggi si apre a ritmiche e soluzioni dallo spirito punk, senza tuttavia scadere in caos gratuito. Si può tutto sommato parlare di groove, di un approccio muscolare che mantiene il sound della band con i piedi per terra, andando dritto al cuore dell’ascoltatore. Una sorta di black metal ‘working class’ che da queste parti attecchisce particolarmente.

Una parentesi più atmosferica è invece garantita da MONDERNTE, progetto guidato dalla cantante e polistrumentista S.W.R.. Già vista in questa sede lo scorso anno, l’artista sfrutta al meglio la ‘promozione’ sul palco principale, godendo di un comparto luci e di un contorno scenografico più curato. Tra dark folk, black metal, ambient e un concept che guarda alla natura e al misticismo, Mondernte è un po’ Jarboe, un po’ Darkher: una tenebrosa cantastorie capace di alternare partiture avvolgenti e astiose esplosioni di elettricità.

Da segnalare anche la notevole prova dei VIRGIN ORCHESTRA, trio di Reykjavík autore di un’interessante rielaborazione in chiave ambient/atmosferica di certo post-punk. Il gruppo ha recentemente dato alle stampe il proprio debut album, “Fragments”, e sembra avere le carte in regola per farsi notare anche fuori dai confini nazionali. Veniamo molto colpiti dall’interplay fra chitarra e violoncello, ma anche dalla decisa performance della cantante, brava nell’escogitare linee vocali mai banali. Un suono soffuso e dalla forte vena malinconica, quello del trio, ideale per spezzare il ritmo fra vari concerti dal ritmo o dai suoni ben più tesi.
Sempre dalla capitale islandese arrivano i ROHT, entità che mescola il suono compresso e digitale di certo industrial e harsh noise con un approccio interpretativo che invece guarda al punk. Il risultato sono brani piuttosto brevi, nei quali i clangori della base industriale vengono sovente abbinati a varie sfumature di ‘umanità’, siano esse urla brucianti o più delicate – e sibilline – pennellate di melodia. Ad avvolgere tutto, un mood perennemente ansioso, che a tratti sfocia in toni a tutti gli effetti opprimenti.
Memorabile anche l’esibizione di AERIAL RUIN, progetto statunitense all’insegna di un folk/cantautorato che sta ottenendo sempre più riscontri, pure in ambito metal. Ultimamente Erik Moggridge è stato molto impegnato con i Bell Witch, arrivando anche in Europa per promuovere dal vivo la loro collaborazione intitolata “Stygian Bough: Volume I”. Al Norðanpaunk il musicista statunitense si dedica però al proprio repertorio, imbracciando la chitarra e andando a ripercorrere alcune delle sue più sensibili arie folk.
Con il pubblico seduto ai suoi piedi in religioso silenzio, Erik domina la scena, tenendo ogni ascoltatore in pugno con ogni sussurro, mentre cori e melodie delicate e strazianti si intrecciano in un incantesimo che non può che riportare alla mente i paesaggi del Pacific Northwest. Un’esibizione tanto semplice quanto sublime nella forma e nei contenuti.

Altro suono e altro ‘campionato’ per i DYS, veterani della scena punk di Reykjavík. Siamo dalle parti di un crust hardcore mescolato a vecchie fascinazioni british anni Ottanta, al quale talvolta si aggiunge qualche virata più estrema che, almeno a livello chitarristico, pare persino evocare del black metal. Una sorta di via di mezzo fra English Dogs e Wolfbrigade, per un suono che sa tanto di molotov lanciata in mezzo al pubblico. La sala principale non a caso si riempie di gente e il pit si accende come mai prima d’ora. Una prova dal forte impatto.
Un’altra cosiddetta ‘chicca’ di questa edizione del festival è il primo concerto della storia dei FLUISTERAARS. La black metal band olandese, partita come progetto da studio ormai una quindicina d’anni fa, ha nel tempo raccolto sempre più consensi di critica e pubblico, tanto che la sua presenza sui palchi di vari happening europei è ormai richiesta regolarmente.
Dopo avere titubato a lungo, il duo si è finalmente deciso ad assemblare una line-up da concerto – fra cui milita anche O degli Iskandr – e a buttarsi là fuori. Bisogna dire che, per essere un cosiddetto battesimo del fuoco, lo show dei Fluisteraars si rivela decisamente compatto e spontaneo. Pensavamo di notare qualche sbavatura, ma la formazione è pur sempre composta da veterani ed evidentemente i cinque hanno provato più volte prima di arrivare in loco. Anche sul palco, emerge insomma la qualità della band e il valore di un songwriting che è sempre attento alla canzone, con idee e riff mirati e un mood che, pur avendo talvolta qualche affinità con Urfaust o Drudkh, a conti fatti si dimostra personale e subito riconoscibile. Tanta gente è qui per loro e alla fine assistiamo a un evento all’interno dell’evento.
Il giorno successivo è una bella sorpresa anche quella rappresentata dai PTHUMULHU, misterioso trio – chitarra, batteria, voce – che, come altri connazionali, si esibisce con il volto parzialmente bendato. Il suono è un pesante mix di sludge doom che pare talvolta venato da influenze black metal e industrial. Potenti riff, muri di feedback e un lavoro di batteria stentoreo fanno da base al growling oppressivo del frontman. La band sembra non badare minimamente al pubblico durante la sua performance, cosa che rende l’atmosfera attorno al trio ancora più alienante.
Purtroppo non vi sono profili social o materiale disponibile su Bandcamp e piattaforme varie, ma siamo sicuri che presto sentiremo parlare di questa realtà.

Con le SVARTÞOKA riprendiamo invece contatto con una formazione conosciuta lo scorso anno. Dopo essersi esibite attorno al falò in una delle prime serie del festival, quest’anno il trio di ragazze islandesi suona all’interno della struttura. Se da un lato viene a mancare la memorabile atmosfera garantita dalla location esterna, dall’altro il palco vero e proprio ci dà modo di cogliere maggiori dettagli della peculiare proposta del progetto, che vede mescolare elettronica, folk e una punta di black metal all’interno di un sound certamente devoto alla sperimentazione. Voci eteree e screaming si alternano di continuo, ma anche sul fronte strumentale si assiste a un puntuale scontro/dialogo fra tastiere e una chitarra letteralmente martoriata, le cui corde a tratti vengono anche colpite con un coltello. Un’altra esperienza sui generis in un cartellone già pieno di curiosità.
Più classicamente metal è invece il set dei MÒR, altro progetto francese, parte del collettivo La Harelle, da cui provengono anche i succitati Iffernet e Sordide. Non a caso, i musicisti sono gli stessi, con l’eccezione del batterista. Il black metal della formazione è forse il più tradizionale tra i tre, con un impianto più lineare e aggressivo che spesso si presta a frequenti poderosi inserti di doppia cassa.
Come nel caso delle altre band transalpine qui presenti, emerge tuttavia anche una componente atmosferica, un’emotività viscerale, che rende la prova squisitamente cruda e autentica. Non ci sono trucchi e sotterfugi: la band suona senza orpelli, con sudore e trasporto, facendo di nuovo intravedere un’attitudine che è forse più punk che metal. Un modo di approcciarsi che trova ampio apprezzamento da parte del pubblico, il quale si avvicina sempre più alla band, quasi a stringerla in un abbraccio.
Un’altra brillante prova è quella degli ÓREIÐA, one-man band black metal già esibitasi lo scorso anno, ma ora forte di un nuovo full-length – licenziato da Debemur Morti Productions – che ha portato ulteriori riflettori sul progetto. Þórir Georg Jónsson (già all’opera con i Roht) si esibisce alla chitarra e al microfono, lasciando a una drum machine la parte ritmica. Non c’è molto da vedere sul palco, perché il Nostro mantiene le cose estremamente semplici, ma è la musica a parlare. Il black metal di Óreiða, quasi sempre spiccatamente cadenzato e atmosferico, talvolta una via di mezzo fra Urfaust e Paysage d’Hiver, sa trasmettere un senso di malinconia e smarrimento facendo affidamento su pochissimi elementi. Sta tutto negli ipnotici giri di chitarra che il leader è in grado di escogitare, sui quali si tende a chiudere gli occhi per lasciarsi trasportare lontano, magari fra gli algidi paesaggi che possiamo vedere sulle copertine dei suoi dischi.
Altro black metal islandese ci viene proposto dagli ÖRMAGNA, gruppo in cui milita Ö, già cantante dei più affermati Naðra. Rispetto a quella di altri progetti locali, la proposta dei ragazzi appare meno sfuggente, nel complesso più melodica, con un occhio di riguardo anche per certe atmosfere che rimandano agli anni Novanta. Non a caso, la band in concerto è accompagnata anche da una cantante, la quale indubbiamente dona un’altra sfumatura, un velo di romanticismo e di epicità, a un suono che sa anche correre su ritmiche molto elevate. La performance è molto sentita e si nota maggiore confidenza con il palco e nell’interazione con il pubblico da parte del gruppo, rispetto ad altri colleghi già esibitesi. Vi è insomma una certa attenzione anche per lo ‘show’, cosa che viene appezzata da molti.

Fra gli ‘headliner’ troviamo poi le KÆLAN MIKLA, trio al femminile che qualcuno dei nostri lettori avrà probabilmente già visto sul palco dell’Alcatraz di Milano qualche mese fa, quando il gruppo di Reykjavik ha aperto il concerto di Ville Valo.
Per una realtà ormai abituata a esibirsi su palchi enormi, suonare al piccolo Norðanpaunk è un po’ come tornare a casa. Si crea infatti subito una bella sintonia fra band e pubblico, il quale, giunto ormai alla terza e ultima sera del festival, ha voglia di lasciarsi andare e divertirsi come se non ci fosse un domani. In questo senso, la proposta delle ragazze è perfetta, trattandosi di una miscela di post-punk, vecchia darkwave e qualche accenno a una synthwave maggiormente contemporanea che sa essere tanto torbida quanto ritmata e orecchiabile. Il basso, messo decisamente in primo piano nel mix, detta i tempi e ‘gasa’, mentre la cantante Laufey Soffía attira su di se l’attenzione di tutti con le sue movenze teatrali. Si nota insomma come il trio abbia ormai maturato un’esperienza di alto livello, ma al tempo stesso si può dire tutto tranne che le tre ‘se la tirino’. Dando uno sguardo in sala, si ha la percezione che la band venga anzi presa come esempio seguire. Il futuro del panorama musicale islandese passa anche da qui.

Da una certezza della scena musicale locale contemporanea, passiamo a un nome che da molti esponenti della cosiddetta vecchia guardia viene considerato fondamentale per lo sviluppo del circuito heavy sull’isola. Parliamo dei GRAVESLIME, una stoner/noise rock/sludge band originaria di Reykjavík, attiva per breve tempo nei primi anni Duemila e autrice di un solo album, “Roughness and Toughness”.
Poco noti fuori dal loro paese di origine, da queste parti i ragazzi sono visti come una sorta di eroi e questa estemporanea reunion in occasione del Norðanpaunk 2023 ha già del mitologico per molti dei presenti. In effetti, il gruppo, nonostante i decenni di inattività, possiede un tiro invidiabile e un repertorio che probabilmente avrebbe meritato maggior fortuna. D’altra parte, la scelta di sciogliersi poco dopo la pubblicazione del suddetto esordio discografico non aiutò di certo i Nostri ad arrivare a orecchie esterne alla loro piccola cerchia locale. In ogni caso, per noi ‘stranieri’ stasera diverte quasi più vedere l’eccitazione fra il pubblico che il concerto in se, nonostante la band sia senza dubbio in palla. Vedere così tante persone saltare e gioire all’annuncio di ogni pezzo è una cosa che scalda il cuore. Del resto, il Norðanpaunk è anche e soprattutto questo: entrare in contatto con musica nuova, lasciarsi trasportare e condividere conoscenze ed esperienze fra persone animate dalle stesse passioni. Non poteva esserci conclusione musicale più significativa.

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