Fra chi ha scelto di andare al mare e chi alla festa della Repubblica, il 2 giugno romano ha vissuto anche un happening musicale di quelli pesanti: gli Obituary. La band floridiana – oltre venticinque anni di carriera, sempre seguendo il mantra del death metal nella sua particolare e originale maniera – ha fatto tappa in Italia per una manciata di date. È tornata sul luogo del delitto, potremmo dire: proprio due anni fa, infatti, il gruppo si esibì al BlackOut, dove aveva fatto “strage di cuori” a suon di death metal pesantissimo. Potevamo quindi marcare visita? No che non si poteva, e quindi, grazie alla joint venture fra Hellfire Booking Agency ed Extreme Agency, una serata di alto livello si è materializzata nuovamente presso il BlackOut di Roma, locale climatizzato e con una buona acustica. Purtroppo però le esigenze del locale, di solito adibito a discoteca, hanno fatto sì che gli show iniziassero con un’ora e mezza di anticipo rispetto a quanto prefissato. Ci siamo persi quindi le esibizioni dei riformatisi Sudden Death, dei Southern Drinkstruction – che avevamo visto di recente – e dei modenesi Krysantemia, che hanno sostituito all’ultimo gli Hellvate, annunciati in cartellone.
CORPSEFUCKING ART
Entriamo che i romani hanno iniziato da pochissimo il proprio show. È da un po’ che non li si vede di spalla a gruppi più importanti. Il death metal del gruppo è di stampo brutal e ben noto a tutti gli avventori del locale, che intanto va popolandosi. I titoli delle loro canzoni sono spesso parodie di film famosi o cose del genere, ma non per questo la resa sonora suscita ilarità: quando suonano sono brutali anche se parlano di corbellerie. Dall’ultimo lavoro in studio, “Zombiefuck”, uscito nel 2008, riconosciamo “Beverly Hills Corpse”, concentrato di estremismo vecchia scuola. Nella mezz’ora a loro disposizione dispensano grugniti (con il cantante dei Southern Drinkstruction alla voce a sostituire il singer originale), blast beat e il classico riffing urticante. Un buon riscaldamento.
ADIMIRON
Il gruppo si cimenta in un death/thrash dai connotati moderni, specie a livello vocale, e che non disdegna puntate nel calderone metalcore. Dal vivo, quindi, la band laziale (geograficamente parlando) risulta abbastanza coinvolgente anche se non raggiunge i picchi cristallini dei lavori in studio, specie a livello di arrangiamenti. Ovviamente la scaletta attinge a piene mani dall’ultimo studio album del gruppo, “K2”, uscito nel 2011. Il cantante presenta con orgoglio in particolar modo “The Whisperer”, che su disco ha nelle vesti di ospite niente meno che Dave Padden, cantante degli Annihilator, che ovviamente stasera non c’è, lasciando di fatto il pezzo “menomato”. Concerto comunque energico, il loro, nella mezz’ora a disposizione, e ultimo cartellino da timbrare prima di godersi gli americani.
OBITUARY
Il primo a salire sul palco è Donald Tardy. Si ferma, scruta la folla, saluto militare e via con lo strip-tease: via il giubbotto militare, via la maglietta, ma mai il cappello da baseball, scolpito sul cranio. Arrivano gli addetti agli strumenti a corda, il chitarrista Peres e il bassista Butler. Manca Santolla (fuori dal gruppo da quest’anno) per la gioia di chi ha maledetto il suo ingresso negli Obituary, dove di lì in poi non si è scritta una canzone senza una decina di suoi assoli di chitarra, spesso puri pleonasmi fuori contesto. Ad ogni modo, si parte. L’acchito è tremendo: “RedneckStomp” arriva con tutta la sua pachidermica pesantezza. Le teste iniziano a girare al ritmo del Tardy batterista, i cui volumi sono alle stelle. L’addetto al mixer infatti ha girato la manovella del volume ai massimi, come a dire che fino a poco prima si era scherzato. Dopo tre minuti di riff monocorde e botte incredibili sulla batteria si accelera sulle note di “On The Floor”, con John Tardy che sale sul palco e inizia a urlare. Passano gli anni, ma oltre alla certezza delle tasse e della morte c’è anche quella della sua voce immutata, così come l’abbigliamento da surfista e l’abbronzatura floridiana. La gente è tutta nel Blackout e la temperatura sale nelle prime file, nonostante l’aria condizionata. Il tempo dei saluti ed è l’ora di attingere all’ultimo album “Darkest Day”, dal quale viene eseguita l’opener “List Of Dead” che, depurata dai continui assoli di Santolla, suona anche meglio! La gente è fomentata ai massimi livelli e il commento che si ode dalle retrovie – “Aò c’ho er cazzo duro!” – rende l’idea dell’eccitazione degli astanti. Si tira il fiato con “Blood To Give”, dove il Tardy cantante si diverte ad aiutare il fratello – come se ne avesse bisogno – a picchiare sui tom prima che tocchi a “Chopped In Half”, classico dei Nostri, mantenere alto il livello dello show. Si torna a fine anni ’90 con l’ottimo binomio formato dalla rapida “Threatening Skies” e dalla più lenta e ragionata “By The Light”, ideale per riposarsi un po’. Non sorprende l’annuncio della cover dei Celtic Frost per “Dethroned Emperor”, altro pezzo che la folla canta a squarciagola e dimostra di gradire. Si prosegue senza sosta con “The End Complete”, dall’omonimo album, e con la velocissima “Find The Arise” del capolavoro “Cause Of Death”. Da “Frozen In Time”, certamente la migliore produzione Obituary post 2000, ecco arrivare “Slow Death”, altro pezzo con entrambi i Tardy a percuotere dietro le pelli. Finisce lo show, o almeno la prima parte, come tutti sanno. Il primo a tornare è Donald, che mette in mostra tutte le sue capacità con il suo classico solo. Impressionante la forza che riesce a sprigionare il minuto batterista che siede dietro il kit con l’entusiasmo di un bambino, con la voglia di partecipare attivamente allo show, salutando, alzandosi spesso durante i colpi e picchiando duro. Torna quindi il resto della compagnia e si riparte: arriva “Evil Ways”, veramente l’unica canzone che si può salvare dall’album “Xecutioner’s Return” (ma ad essere di manica molto larga), la quale cede subito il passo a quella “Slowly We Rot” invocata da tutti e introdotta da Tardy alla solita maniera (“This is the very first song from our first record….”), traccia vissuta magicamente da tutti, come del resto merita un pezzo del genere. Il death metal floridiano riverbera nel locale nella sua forma migliore, quella incontaminata degli Obituary. La sala, per loro, è sempre piena.