Abbiamo già avuto modo di parlarne soprattutto attraverso l’articolo di presentazione, ma partecipare all’Obscene Extreme non è mai un’esperienza qualsiasi.
Per chi non lo sapesse, stiamo parlando di un piccolo festival nel nord della Repubblica Ceca con un numero di presenze tra le quattro e le seimila persone; di un festival vegetariano e/o vegano; di una festa continua, dove difficilmente le band suonano davanti e poche dozzine di persone anche se si esibiscono ad orari proibitivi; di una vetrina di gruppi che spaziano dal death al grind, dal fast-core al punk, dal metal più estremo alle sperimentazioni.
Ma soprattutto, stiamo parlando di una manifestazione dove al pubblico è concesso salire sul palco ed interagire coi musicisti, caratteristica unica al mondo. L’edizione 2023, in linea con le ultime, ha spostato la proposta dal territorio grind, gore e fast hardcore verso territori più ampi, dove il death metal in tutte le sue forme trova più spazio, oltre ad un giorno di pre-show dedicato ogni anno ad uno stile differente. Contestualmente, servizi e costi sono aumentati portando l’Obscene Extreme in una dimensione da festival in parte differente. Gli organizzatori sono riusciti a mantenere comunque la celebre aria di casa e la matrice underground? Vediamo come è andata.
MERCOLEDI’ 5 LUGLIO
Giungiamo al festival nel primo pomeriggio del mercoledì, in tempo per vedere parte delle amenità classiche di ogni Obscene Extreme, ovvero le corse coi cassonetti, la gara di frustate sul deretano, gli scontri stile American Gladiators e altro ancora, tutto ovviamente condito da abbondante goliardia.
Noi attendiamo ovviamente l’inizio dei concerti nell’area palco, ma questo intermezzo che si svolge di fronte all’area campeggio e al bar principale è l’occasione di farsi una risata, acclimatarsi, controllare che l’area merch sia organizzata come al solito e avere una delle conferme più importanti: nonostante i rincari degli ultimi anni il costo della birra si aggira, per mezzo litro, fra i due euro e i due euro e mezzo (nel caso di IPA o birre particolari e artigianali).
Ci dirigiamo poi a visitare il metal market, come al solito organizzato all’ombra del boschetto che si trova nella parte superiore dell’area dell’anfiteatro e scorgiamo la solita, buona varietà di dischi, vinili e magliette, grazie anche alla presenza ormai costante della nostrana F.O.A.D. Records. Alle quattro in punto, come da programma, dall’area grande dell’anfiteatro naturale iniziano ad arrivare le prime note, segnale d’inizio della giornata pre-show, quest’anno dedicata all’old-school metal più estremo.
I primi ad esibirsi sono i giovani MÖRGHUUL, band ceca dedita allo speed/thrash con venature black metal. I nostri hanno prodotto finora un paio di EP ma sono un nome che si sta facendo largo nell’Europa dell’Est e risultano apprezzabili per la spontaneità e una presenza sul palco più che notevole; dal canto proprio, il pubblico dell’Obscene li supporta fin da subito e, nonostante il tempo sia in movimento e i nuvoloni non facciano presagire niente di buono, iniziano le danze su e giù dal palco e il primo moshpit. Questa è probabilmente una delle caratteristiche uniche del festival di Trutnov: la presenza costante, dalle dieci del mattino alle tre di notte, di supporter e ascoltatori casuali che animano i concerti. E’ un atteggiamento inclusivo perché è evidente come molti frequentatori abituali dell’Obscene non conoscano tutte le band in cartellone ma come non sia per niente importante, visto che è il divertimento a farla da padrone.
Dopo i venticinque minuti concessi ai Mörghuul tocca a due formazioni thrash: prima i cechi LAID TO WASTE e poi i polacchi HELLFUCK.
Il thrash-core dei primi è molto godibile per l’approccio che i nostri hanno, anche se la loro esibizione è un po’ inficiata dalla pioggia e da un sensibile calo di pubblico sotto al palco, anche se loro non sembrano curarsene.
Per gli Hellfuck il discorso è diverso, visto che si capisce come per loro ci sia già una certa attesa, almeno locale, visto che parliamo di una band di nomi noti da queste parti, ovvero musicisti già visti in Squash Bowels, Christ Agony, Azarath e Throneum.
La loro proposta è un thrash-metal a tematica anticlericale vicino a Destruction, Kreator ed Exodus che viene acclamato dai presenti; i nostri eseguono i brani dall’unico disco pubblicato, “Diabolic Slaughter” (uscito per Godz Of War nel 2022) e se non è assolutamente possibile parlare di originalità, è corretto tributare loro una buona resa sonora.
Dopo di loro tocca ai tedeschi LUCIFUGE, band tedesca a noi sconosciuta fino a questo momento che viene presentata (sì, per quanto buffo possa sembrare all’Obscene c’è ancora uno speaker che, come negli anni ‘80, introduce le band in inglese e in ceco) come autrice di quattro dischi, di cui gli ultimi due sulla interessante Dying Victims. La loro prova, black/thrash con un certo retrogusto alla Motörhead, ci fa rimanere un po’ indifferenti anche perché lascia un pochino a desiderare dal punto di vista tecnico.
Le nuvole sembra si siano ormai diradate quando tocca ad un gruppo che rappresenta un’altra delle caratteristiche dell’Obscene: la volontà dell’organizzazione di rappresentare moltissimi paesi differenti offrendo possibilità anche a musicisti provenienti da territori geograficamente secondari dal punto di vista metal. E’ con questo spirito che si esibiscono gli HELLIONIGHT dal Bahrain (sic!) terzetto che sembra divertirsi molto con il proprio thrash metal.
La resa complessiva, sia per l’aspetto tecnico che musicale, ci fa rendere immediatamente conto di come siano un gruppo acerbo, ma nel contesto dell’Obscene Extreme la loro rimane una esibizione divertente da godersi dalle panchine dell’anfiteatro, appena sostituite e rinnovate dall’amministrazione locale e dagli organizzatori del fest. Ovviamente con una birra in mano.
Ci concediamo quindi una pausa per mangiare qualcosa, visitare l’area merch e notiamo come la fila per accaparrarsi il merch ufficiale del fest sia costante, segno di un gradimento ogni anno maggiore. Notiamo anche come i prezzi siano accettabili, con maglie attorno ai venti euro, longsleeve attorno ai venticinque e felpe sui quaranta: un vero miraggio rispetto ai prezzi a cui siamo abituati in Italia o nei fest più importanti.
Torniamo poi in area palco per goderci i VULTURE, da cui ci aspettavamo molto. La speed/thrash band di Dortmund si è fatta notare con i suoi tre dischi su Metal Blade e li aspettavamo al varco per verificarne la sostanza dal vivo: beh, siamo rimasti annichiliti.
I suoni non li hanno supportati fin dall’inizio, non restituendo una corretta resa delle chitarre e della voce, ma pian piano la loro proposta di speed metal vecchio stampo piena di cori e situazioni da headbanging conquista molto del pubblico presente. La mezz’ora abbondante di esibizione permette ai germanici di eseguire solo sette pezzi, ma il palco di Trutnov conferma la bontà di brani come “Vendetta”, “Clashing Iron”, “Electric Ecstasy” o la più recente “Malicious Souls”. Chiude una cover acclamatissima di “Another Lesson In Violence” degli Exodus dove si iniziano a vedere i primi moshpit importanti sotto al palco. Grandi.
E’ ormai ora di cena quando tocca ad un grande classico dell’Obscene, Paul Speckmann che qui si esibisce con il moniker DEATH STRIKE.
Lo ammettiamo: le esibizioni del buon Paul da troppi anni sono fondamentalmente identiche fra di loro e la trovata di esibirsi come Death Strike non ha cambiato di molto il risultato. Perennemente con la bottiglia di Jack Daniels e una lattina di coca sulla cassa, il nostro scodella delle telefonatissime “Mangled Dehumanization”, “Cut Through The Filth”, “Re-Entry And Destruction” e “Pay To Die”, al punto che ci chiediamo a cosa gli serva avere una scaletta cartacea durante il set. Va bene il motto “old but gold”, ma a tutto c’è un limite.
Se il nostro entusiasmo si è abbassato un po’ per colpa di Paul Speckmann, ci pensa James McBain, ovvero HELLRIPPER, a ricordarci che si può ancora fare la differenza suonando generi già codificati.
Il suo speed/thrash a tematica satanica è uno scossone che tutta l’area di Trutnov sente. L’attacco di “Spectres Of The Blood Moon Sabbath” fa esplodere il pit, situazione che durerà quaranta minuti abbondanti. L’esibizione tocca un po’ tutti i capitoli della discografia, compreso il recente “Warlocks Grim & Withered Hags”: chi scrive ci ha rivisto la stessa energia dei primi Enforcer e il divertito ma conscio omaggio al passato dei Nifelheim. Pezzo dopo pezzo James e la sua band infiammano il pubblico che, come detto, reagisce in modo entusiasta. E’ il potere della musica: se certe esibizioni di quaranta minuti sembrano non finire mai, quella di Hellripper è fin troppo corta e ne avremmo voluto ancora.
E’ ormai buio e tocca ai due headliner previsti, veri protagonisti dell’old-school metal e non giovani epigoni, visto che parliamo degli HOLY MOSES di Sabina Classen, giunta ormai al tour di commiato e alle sessanta candeline da spegnere il prossimo 27 dicembre.
Gli Holy Moses sono tornati tra l’altro con un nuovo album, il conclusivo “Invisibile Queen” e la nostra curiosità è quella di capire quanta tenuta possa avere una formazione così datata e rimaneggiata negli anni, oltre all’eterno ‘problema’ della voce di Sabina che ci era parsa già in netto calo diversi anni fa. Da parte loro gli organizzatori si prodigano nel festeggiare la bionda singer tedesca, visto che ad un certo punto compare pure una torta con le candeline sul palco, ma la performance musicale è tutt’altro che felice.
Non possiamo dire molto della band attorno alla Classen, in grado di sostenere una scaletta con buona parte dei classici dei primi periodi (“The New Machine Of Liechtenstein”, “Finished With The Dogs” e “Terminal Terror”) e qualcosa di più recente (gli ultimi due dischi) saltando a pié pari la più trascurata parte centrale di carriera (anche abbastanza giustamente, a nostro avviso); diverso è il discorso voce: è ovviamente un’opinione personale, ma il semi-growl rochissimo di Sabina non ci ha mai fatto impazzire anche da studio e riteniamo che col passare del tempo sia diventato ancora più strascicato e un po’ fastidioso.
Molto bella comunque l’attitudine degli Holy Moses che celebrano i quarant’anni e più di carriera citando più e più volte l’affetto dei fan che li hanno portati a ‘resistere’ fino a qui.
Sono quasi le 23 e tocca all’ultima band di questo primo giorno, i canadesi EXCITER, ora in mano a Dan Beehler, Allan Johnson e al più giovane Daniel Dekay (già comparso per un pezzo sul palco con Hellripper) in sostituzione di John Ricci.
Siamo in pieno territorio, permettetecelo, ‘comfort food’ visto che la scaletta dei nostri in questi ultimi anni è telefonatissima e concentrata grosso modo sui primi tre dischi “Heavy Metal Maniac”, “Violence And Force” e “Long Live The Loud”. Così è stato e perciò abbiamo visto una performance molto simile all’ultimo live italiano del Rock The Castle del 2022 con tutti i suoi pregi e difetti: entusiasmo, vera attitudine metal old-school, un approccio sicuramente da rocker veri ma anche uno stile di batteria di Beehler che non è mai stato impeccabile allora e figuriamoci adesso, la continua necessità di spostarsi il microfono per cantare durante i pezzi, o i vuoti enormi lasciati durante gli assoli dal basso di Johnson, che si è sempre ben guardato dall’azzardare qualsiasi cosa.
Revisionismi a parte, gli Exciter non sono mai stati i primi della classe e sarebbe difficile immaginarli tali ora dopo quarantacinque anni di carriera: noi infatti ci accontentiamo di veder suonare con entusiasmo “Stand Up And Fight”, “Pounding Metal”, “Violence And Force” o “Die In The Night”. Mentre sul palco il festival allestisce i Freak Shows tipici dell’Obscene, con performance sadomaso, fachiri e quant’altro, noi decidiamo di ritirarci sapendo che essere riusciti a vedere tutti i gruppi della giornata è una vittoria di Pirro, visto che dal giorno successivo inizierà la vera sfida. Vedremo se la temperatura non altissima del primo giorno sarà un aiuto o meno.
GIOVEDI’ 6 LUGLIO
La presenza di un solo palco e la volontà di far esibire un numero elevato di musicisti fissa sempre l’inizio concerti alla Battlefield arena per le 10 di mattina, un orario impegnativo per chiunque debba recuperare i bagordi della serata precedente.
Da parte nostra, entriamo nell’area fest attorno a mezzogiorno, in tempo per pranzare e osservare cosa offre la prima giornata ufficiale del festival: parliamo del grind-core dei PURE, molto in linea con Napalm Death e Rotten Sound, il death metal dei francesi DEPRAVED, altra realtà esistente da un trentennio e l’old-school death metal degli ENTRAPPED, fin troppo debitore della scuola di suono dell’HM-2w.
Dopo di loro tocca ad una band che invece aspettavamo, ovvero i norvegesi OBLITERATION: la proposta del quartetto di Kolbotn è sicuramente vecchia scuola ma sufficientemente ben fatta e rielaborata da alzare l’asticella delle esibizioni fino a questo momento. Parliamo di un sound inquadrato ma non succube delle influenze varie che vanno dagli Unleashed agli Autopsy passando per i primi Pestilence, senza dimenticare la rielaborazione dei canoni del genere fatta formazioni più moderne come Morbus Chron o Horrendous.
Il death metal degli Obliteration è un meraviglioso gioco di specchi fra vecchio e nuovo, fra tradizione e sperimentazione che culmina nella resa di brani ben pensati ed eseguiti come “Goat Skull Crown”, “Exterminate” o “Onto Damnation”, la nuova “Ingesting Death” o il piccolo classico “Catacombs Of Horror”. Strumentalmente solidi, non sentono la necessità di interagire più di tanto col pubblico se non tramite il vocione di Sindre Solen che a noi ha ricordato molto quello di Johnny Hedlund: se state leggendo questo lungo report alla ricerca di nomi caldi, questo è sicuramente il primo consiglio che vi diamo.
Non facciamo in tempo a riprenderci che tocca agli improbabilissimi californiani SHITBRAINS, duo grind/fast-core formato da Emi e Anthony, probabilmente marito e moglie. Parliamo di chitarra, due voci e batteria, per un suono commovente che si muove fra Regurgitate, Extreme Noise Terror e Anal Cunt, senza dimenticare comunque il filone un po’ più math.
Improbabili nell’aspetto ma musicalmente implacabili, i due hanno trasmesso al pubblico di Trutnov tanto amore per la musica senza compromessi: il messaggio è arrivato praticamente subito, visto il movimento che si realizza sotto e sopra al palco dopo pochissimi minuti e la quantità di persone esaltate alla fine della loro brevissima esibizione (soli venticinque minuti).
Il nostro coinvolgimento cala un po’ con gli spagnoli BONEYARD e il loro death metal a tema horror, proposta piuttosto standard negli ultimi anni. Riconosciamo loro di non essere musicisti di primo pelo, in quanto ennesima band old-school di Noel Kemper, già con Gruesome Stuff Relish e molti altri. Anche i loro venticinque minuti passano velocemente e tocca ai cechi CONTROLLED EXISTENCE riportare le coordinate su un grindcore musicalmente e tematicamente classico, seguiti dai palestratissimi messicani ROTTENNESS, nome che pensavamo ormai disperso nelle paludi del death metal degli anni Duemila, quando etichette come Comatose, Sevared, Lacerated Enemy o Unique Leader dettavano legge. I nostri almeno su palco sembrano piuttosto in forma, con il loro modello di death/grind non particolarmente tecnico ma di grande impatto, e pure con loro, fra un breakdown e una accelerazione, il tempo passa piacevolmente.
Quando vediamo salire sul palco i NEKROMANTHEON ci ricordiamo che si tratta, in buona parte, di una band collegata agli Obliteration, con cui condividono buona parte della formazione: si tratta però in questo caso di thrash metal che rimanda a Slayer o Dark Angel sì ben eseguito, ma secondo noi privo del mordente necessario per spiccare in un altro sottogenere che da anni fatica a proporre novità di rilievo.
Ci perdiamo il punk/crust dei belgi CAPITAL SCUM per passare del tempo al metal market, pausa che abbiamo volutamente allungato visto il forfait dato dagli svedesi THE CROWN per via della cancellazione di un volo.
Torniamo quando si stanno preparando i GADGET, tornati attivi dopo molto tempo. Riconosciamo, nella formazione rimaneggiata, i fondatori Rikard Olsson e il batterista William Blackmoon ma vediamo anche come alla voce ci sia Emilia Henriksson e siamo curiosi di capire che tipo di performance sarà. Musicalmente riconosciamo un bel po’ di brani dalla discografia dei nostri tra cui l’ormai anziano “The Great Destroyer”, disco di ormai ben sette anni fa. Anche se i grandi del grind-core svedese sono altri, non ci pare che i nostri siano ridotti ad essere una band superflua e l’esibizione di Trutnov lo ha confermato: Emilia ha decisamente un buono stile da palco, diretto e coinvolto, anche se le sue sembrano urla sguaiate e pure: abbiamo qualche riserva su come possa essere in grado di tenere una esibizione di più di mezzora, ma la gioia di vedere i Gadget nuovamente attivi è talmente tanta che lasciamo queste riflessioni al futuro del combo svedese. Bentornati.
Gli Americani TOTAL CHAOS sono davvero una band che sembra eterna e il loro street punk/hardcore punk non ha davvero età nella composizione dei brani, nei temi e nell’esecuzione. Eppure, non sembrano nemmeno stanchi o parodistici e anche per questo il pubblico dell’Obscene Extreme li ha tributati nella maniera migliore.
Il loro set, partecipatissimo, ha visto un movimento su e giù del palco e nel pit davvero importante. Personalmente li seguiamo sempre un po’ da lontano dal punto di vista dei dischi in uscita, ma non ci facciamo mai mancare l’occasione di sentire una punk band immarcescibile e preparata. Col senno di poi, anche stavolta abbiamo fatto bene.
Dopo averli visti almeno una dozzina di volte fino a poco prima del Covid, avevamo lasciato un po’ da parte Peter e soci e l’Obscene era, per chi scrive, la possibilità di aggiornarsi sulla death metal band polacca ormai non più famosa ma di sicuro più longeva e persistente di sempre: i VADER.
In formazione troviamo ancora Spider e Hal, dopo il terremoto di formazione di fine anni 2010 (quella ormai storica con Novy, Mauser e Daray), mentre alla batteria siede Michal dal 2022. L’occasione è quella di celebrare il passato, come nel recente tour asiatico e nell’imminente tour europeo autunnale e la scaletta insiste parecchio su “The Ultimate Incantation” e “De Profundis” passando per tutti i grandi classici come “Back To The Blind”, “God Is Dead” o “What Colour Is Your Blood?”.
La loro è una esibizione dai suoni un po’ confusi all’inizio ma nel complesso riuscita, con un solo neo a nostro parere: mentre ci sono diversi gruppi che intendono mantenere un suono analogico quando ripropongono i brani di un tempo, i suoni dei Vader ci sono parsi troppo moderni, compressi e lontani dalle versioni da disco a cui siamo affezionati. Ci riserviamo comunque di aspettare un’altra occasione, magari il tour autunnale, per verificare se si tratti di una scelta o di una giornata un po’ storta dove i trigger di batteria e le chitarre semplicemente non avevano una resa ottimale.
Parlando di problemi audio, i VOMITORY di Tobias Gustafsson hanno ottenuto, a nostro parere, davvero i peggiori suoni del fest, diametralmente opposti a quelli del 2019, in cui ce li ricordiamo per un’esibizione magistrale.
L’attacco della nuova “All Heads Are Gonna Roll” non ha avuto granché impatto e le altre due nuove “Ode To The Meat Saw” e “Raped, Strangled, Sodomized, Dead” hanno ottenuto una sorte migliore perché posizionate più avanti in scaletta, con i volumi nel frattempo regolati meglio. Chitarre confuse e voce troppo bassa nel mix hanno fatto perdere mordente ad una setlist altrimenti energica e ben pensata, con grandi hit del passato come “Revelation Nausea”, “Regorge In The Morgue” e “Blood Rapture”. Peccato, soprattutto adesso che gli svedesi vivono un momento di grandi riconoscimenti.
E’ ormai buio quando i CARCASS di Steer e Walker si presentano sul palco di Trutnov e, pur ci rendiamo non essendo stata una giornata difficile dal punto di vista climatico, siamo allo stesso modo molto stanchi dopo la sequenza ininterrotta di musica e perché no, birra. Avendoli visti molte volte nel tempo, decidiamo di goderceli dalle panchine e ci accorgiamo subito che c’è attesa fra il pubblico, che si raduna grosso modo tutto quanto nell’area concerti.
Buffamente, alla nostra destra ci sono dei ragazzi tedeschi per cui l’attesa è mista a moltissimo scetticismo per via di, citiamo testualmente, “la possibilità di sentire quasi tutta la merda degli ultimi dischi”.
Non sappiamo se poi i nostri siano tornati in tenda più o meno felici, ma abbiamo trovato la scaletta dei Carcass molto equilibrata, con un po’ di tutto: cinque o sei pezzi estratti dai primi due “Reek” e “Symphonies”, un paio da “Necroticism”, pochissimo dal saccheggiatissimo (sentito e stra-sentito dalla reunion, tra l’altro) “Heartwork” e una manciata dagli ultimi due lavori “Surgical Steel” e “Torn Arteries”. Veder Steer cantare i vecchi brani, osservare Walker che ha lo stesso entusiasmo degli anni della reunion e arrivare a distinguere i musicisti inglesi in mezzo alla montagna di persone, perennemente sul palco con i quattro, ci ha sicuramente allietato la serata. Lontanissimi dallo stereotipo della band stanca i Carcass hanno davvero intrattenuto, nel migliore dei modi, l’Obscene Extreme.
La stanchezza la fa ormai da padrona ma cerchiamo di resistere con un po’ di caffè per i BRUJERIA che, a quanto era stato annunciato, avrebbero tributato il mitico debutto “Matando Gueros”: c’è voluto molto poco per averne conferma e ammettiamo di esserci goduti tantissimo il grindcore primordiale dei nostri, così come l’avevamo sentito ben trent’anni fa.
Ci pare che, title-track esclusa posta alla fine per il suo ritornello anthemico, il disco sia stato eseguito per intero quasi del tutto in ordine, seguito da una seconda parte di show con estratti da “Raza Odiada” e dai restanti capitoli. Assolutamente eccessivi e ben consapevoli di avere a che fare con un festival estivo molto partecipato i nostri, soprattutto tramite le performance dei cantanti Pinche Pinch e Juan Brujo, hanno aizzato la folla rendendo il palco praticamente sempre intasato di fan. L’esibizione, soprattutto nella seconda parte, si è rivelata un vero e proprio rito collettivo all’insegna del cattivo gusto, del metal e delle parolacce. Avercene.
Decidiamo di resistere ancora un po’ solo perché tocca ad un nome chiacchierato come i SICK SINUS SYNDROME, trio ceco in odore di Carcass e gore.
I tre non sono certo dei novellini, visto che si tratta di un nuovo progetto di Bilos dei Malignant Tumour, di Jirka già con Ingrowing e Ahumado Granujo e da un ex Pathologist, Hary. Vecchie conoscenze, vecchia musica: il gore-grind grezzissimo non lascia dubbio come le fonti di ispirazione siano Carcass, Dead Infection e un’attitudine rock’n’roll sicuramente mutuata dai Malignant Tumour stessi.
Come per quasi tutto quello che abbiamo visto in questi due giorni di festival, originalità quasi pari a zero ma grande professionalità, tiro esecutivo e spirito. Da tenere d’occhio.
VENERDI’ 7 LUGLIO
Il tempo atmosferico, dopo la pioggia di mercoledì, sembra virare verso il sole, ma la zona collinare e boschiva di Trutnov ci ha finora evitato insolazioni e temperature folli, anche se percepiamo che il caldo sta aumentando giorno dopo giorno.
Le prime due formazioni che abbiamo modo di vedere sono i crusters argentini CAHNALET e i messicani UNIDAD TRAUMA. Questi ultimi, con il loro concept medico e le influenze death-grind, ci ricordano ancora una volta come Steer, Walker, Impaled, Haemorrage e soci abbiano veramente inventato un approccio visivo e narrativo della musica che dopo così tanti anni ha ancora un suo appeal e moltissimi proseliti.
Alle 14.30 tocca agli HYPERDONTIA e, mentre ci godiamo il loro breve set, ci accorgiamo anche come il contesto spesso decreti il successo di una esibizione: la scarsa interazione col pubblico dei turco/danesi e il loro death metal old-school non hanno lasciato moltissime tracce nel pomeriggio di sole di Trutnov.
Da parte nostra abbiamo osservato una formazione quadratissima, e il nuovo EP “Deranged” conferma come ci sia ancora modo di suonare old-school senza per forza essere cloni di qualche altro gruppo più blasonato.
Lasciamo dopo poco il grind-core dei messicani INTO SICKNESS per andare a ristorarci e torniamo con il death metal destrutturato, ultrabrutale e gutturale degli americani ANIMALS KILLING PEOPLE. Gli echi sono quelli di Wormed, vecchi Cryptopsy, Devourment o Viscera Infest, uniti all’attitudine dissacrante e comedica del cantante Ammo Diaz. Anche la loro è una carriera di ormai due decadi, con ampie pause fra un disco e l’altro: a vederli così efficaci e convinti ci dispiace un po’ per il ‘tempo perso’, visto che hanno raccolto parecchi consensi.
Poco dopo le quattro con i portoghesi SERRABULHO, l’atmosfera dell’arena diventa festa al 100%, visto che il grind umoristico e demenziale dei nostri fa comparire gonfiabili, carta igienica, cannoni per la schiuma e trenini attorno all’area del fest. I Serrabulho fanno parte di quella schiera di formazioni volutamente eccessive che trovano il loro compimento in occasioni come l’Obscene: parliamo di nomi come Rectal Smegma, Party Cannon e ovviamente Gutalax. La festa è riuscitissima, anche se riusciamo a definire i portoghesi solamente come ‘simpatici’ visto che la proposta musicale in sè è davvero esile.
Gli indiani GUTSLIT riportano le coordinate verso la brutalità e l’aggressione con il loro death metal alla Suffocation, Dying Fetus, Severe Torture e Cannibal Corpse. Il loro terzo disco, “Carnal”, è in uscita in questo periodo e il precedente “Amputheatre” ci aveva convinto qualche anno fa.
All’Obscene Extreme il Messico ci ha mostrato finora diverse band ma la più attesa sono sicuramente i redivivi DISGORGE, ancora con i fratelli Garcia al timone ma senza Antimo Buonanno.
Il loro set è pura nostalgia, visto che la loro interpretazione paludosa e perennemente sottoprodotta del death-grind ha lasciato molti ricordi nei fan. Quello che si è visto dalla nostra posizione riprende il filo esattamente da “Gore Blessed To The Worms” e la ripresa di brani del primo periodo come “Rancid Bowel Sarcoma” e “The Vile Sores…” è stata proprio una bella sorpresa. Speriamo che la band creda a sufficienza nei propri mezzi e ritorni con una certa costanza.
Notiamo, un po’ sorpresi, che il death metal tecnico, moderno e brutale dei tedeschi CYTOTOXIN è molto gradito da queste parti e che la reunion degli INGROWING, storico nome del grind ceco, conferma come il metal resti un genere per cui non si è mai troppo vecchi. Nel frattempo, in un ennesimo giro nell’area merch alla ricerca di qualcosa da comprare, alla fine del terzo giorno di festival ormai il merch ufficiale è quasi sold-out.
Verso le 20, dopo aver cenato, ci restano pochi nomi da vedere in questa giornata e ci rendiamo conto di uno di difetti dell’edizione di quest’anno dell’Obscene: la distribuzione degli headliner. Stasera gli slot importanti sono occupati da Internal Bleeding, Bulldozer, Pyrexia e Fuck On The Beach e il confronto con i Carcass, Vader, Vomitory e Brujeria del giorno precedente non è sicuramente alla pari.
Gli INTERNAL BLEEDING del 2023, anche se decisamente rimaneggiati come formazione (rimane il fondatore Chris Pervelis) non sembrano avere complessi di inferiorità, e nei cinquanta minuti a loro concessi sfoderano uno show muscolare e partecipatissimo. La loro formula è un death metal misto a slam che dal vivo funziona benissimo, la presenza sul palco è notevolissima, Steve Worley alla voce è un grande performer e – ultimo ma non meno importante – il disco del ritorno, “Corrupting Innocence”, è un prodotto di qualità che con pezzi come “Surrounded By The Inside”, la stessa title-track o “Final Justice” riesce ad essere efficace sia in studio che dal vivo. Tamarri quanto basta, i nostri mostrano anche la loro natura newyorkese debitrice dell’hard-core più grezzo e il pubblico presente non manca di apprezzare.
Quasi lo stesso discorso possiamo farlo per i PYREXIA che finalmente riusciamo a vedere dal vivo dopo diverse cancellazioni negli ultimi anni. Lo stato di salute del gruppo, guidato ancora solamente da Chris Basile, ci è sembrano buono anche in relazione ai pezzi dell’ultimo album “Gravitas Maximus” che reggono il confronto con i classici da “System Of The Animal” e dall’indimenticato “Sermon Of Mockery”.
Fra le due band americane ci siamo dati un po’ di tempo per i nostrani BULLDOZER di cui abbiamo apprezzato il grande batterista Manu e in generale, la voglia di suonare di Andy Panigada e soci, ma allo stesso tempo li abbiamo trovati un po’ fuori contesto incastrati fra realtà death metal e grind-core. Forse, se avessero suonato il primo giorno, a confronto con Holy Moses o Exciter, avrebbero raccolto di più.
Ci concediamo qualche pezzo dei folli nipponici FUCK ON THE BEACH che con il loro fastcore riportano le sonorità dell’Obscene ai primordi e vedere le persone ancora così coinvolte anche dopo quattordici ore di festival è sicuramente piacevole.
SABATO 8 LUGLIO
Al quinto giorno di festival, anche se personalmente non siamo avvezzi ai bagordi, la stanchezza inizia a farsi sentire seriamente ed entriamo in area festival dopo pranzo, giusto in tempo per goderci gli HAGGUS, mince-core band dagli Stati Uniti.
Nell’infinita sequenza dei nomi minori presenti all’Obscene ci vuole poco per comprendere come i nostri si posizionino un paio di scalini più in su della classica underground band: la loro miscela di gore, grind e voce ultragutturale ed effettata funziona benissimo e coinvolge tutto il pubblico presente, sia chi è lì per ballare e saltare sul palco sia i mosher più convinti. Anche se non c’è nulla di completamente originale tutto sembra ben pensato, eseguito e gestito negli Haggus: il look con i passamontagne, il concept completamente in bianco e nero. L’alternanza fra sfuriate grind, intermezzi ritmati ballabili stile Gutalax è grosso modo inattaccabile e ci esalta per tutta la mezz’ora a loro concessa.
Dopo di loro è il turno dei violentissimi SPEED! NOISE! HELL!, altra folle entità fastcore/power violence giapponese che condivide membri con i Fuck On The Beach, e degli INCARCERATION, death metal band di origine brasiliana ma stabilmente residente in Germania. Il leader Daniel Silva come sempre mostra un grande entusiasmo per il proprio ruolo di musicista underground e il set degli Incarceration è un’onesta proposta death metal old-school con influenze thrash metal. Certo, non ci ha mai fatto impazzire il timbro vocale di Daniel ma il loro posizionamento volutamente underground li rende come minimo simpatici ed apprezzabili.
La comparsa sul palco degli EXCREMENTORY GRINDFUCKERS promette ancora tempo dedicato all’umorismo, alla danza e al divertimento senza pensieri e così è, visto che i tedeschi ci mettono pochissimo a mettere in chiaro il loro atteggiamento sopra le righe. A differenza dei simpatici portoghesi Serrabulho però, è evidente come le capacità tecniche dei nostri siano superiori: nonostante un umorismo perennemente cialtrone e qualche gag difficilmente esportabile fuori dal territorio tedesco (loro sono di Hannover) i cinque, oggi vestiti da cavernicoli, portano sufficiente buonumore a Trutnov, sia con pezzi originali che con le improbabili cover tra cui spicca l’immancabile “The Final Grinddown”.
Sorpresa per noi invece sono gli svedesi M:40, con il loro crust-core venato di sludge e di atmosfere decadenti, un po’ sul modello degli Agrimonia. Sospendiamo la pausa birra per goderci un suono finora inedito nell’arena Battlefield e ci rilassiamo un po’, prima di venire investiti dal death metal moderno dal sapore Fear Factory degli austriaci MASTIC SCUM, che però nemmeno stavolta sono riusciti a convincerci, dopo diverse esibizioni live viste nel corso degli anni.
Fanno meglio di loro gli HIATUS dal Belgio i quali, con la loro esperienza di ben trentacinque anni di carriera, sanno come proporre del crust-core magari poco originale ma dal grande impatto.
Alzano ancora di più l’asticella i francesi BLOCKHEADS, visto che il loro grind-core di scuola britannica o statunitense è fenomenale nell’esecuzione: dai loro strumenti passa il suono dei migliori Napalm Death, primi Cattle Decapitation o Assück e il loro “Trip To The Wild” ci era rimasto impresso all’uscita. Li ritroviamo oggi sul palco dell’Obscene in grado di colpire in modo letale sia con brani recenti che con altrettante schegge impazzite dal passato, nonostante la parola ‘midtempo’ sia per loro sconosciuta. I quarantacinque minuti a loro concessi, a differenza di molte altre formazioni, sono volati e speriamo di rivederli presto, magari in un tour tutto loro o quasi.
E’ sempre un piacere rivedere dal vivo i RAW POWER per molti motivi: gli anni passano, ma la formazione italiana riceve ancora il rispetto che merita grazie ad una capacità di tenere il palco in modo energico e professionale; oltre a questo, il leader di sempre Mauro sa scegliersi i musicisti adeguati e anche stavolta ci siamo trovati di fronte versioni di un po’ tutti i classici coerenti e suonate con il piglio giusto.
Lo ammettiamo: sono moltissimi anni che non balziamo dalla sedia per le versioni da studio delle canzoni dei Raw Power, ma vederli live è sempre un grande piacere.
Tra le 21 e le 22 Trutnov ha assistito ad una lezione di grind-core di altissimo livello da parte dei finnici ROTTEN SOUND, che sono finiti per fare esattamente tutto quello che ci si aspettava da loro, ovvero far cadere una pioggia di proiettili grind sul pubblico presente. Circa venticinque pezzi in circa sessanta minuti per una sequenza micidiale di energia, dove la setlist è molto varia e pesca un po’ da tutti i capitoli dei nostri, dal recente “Apocalypse” agli storici “Cycle”, “Muderworks” ed “Exit”.
Risulta molto scenografico il nuovo bassista Matti e restano una garanzia gli altri tre, tra cui il singer Keijo con il suo approccio semplice ma violentissimo. Saranno anche “standard” rispetto ad altre proposte più folli come il grind giapponese visto anche qui a Trutnov, ma i Rotten Sound restano, a nostro avviso, una fondamentale grind band operaia. Uno di quei gruppi su cui contare.
Ormai il festival si avvia alla conclusione con l’ultima manciata di show e alle 22.15 tocca all’ultimo headliner del fest, i MASSACRE di Kam Lee.
Abbiamo già avuto modo di parlare della band americana nel report del loro show di Milano, ma possiamo confermare in maniera sintetica che l’ennesima incarnazione del gruppo dell’ormai lontanissimo “From Beyond” ha un proprio motivo di esistere e non si tratta di una stanca cover band.
C’è da dire comunque che lo show di Trutnov è stato a nostro avviso preso un po’ troppo sotto gamba dal mattatore Kam Lee, che poteva risparmiarsi tutta una serie di battutacce tanto quanto una cover abbastanza inutile di GG Allin. Aggiungiamo pure dei suoni di chitarra bruttini (con dei ronzii inspiegabili per più di metà concerto) e possiamo dire che la loro esibizione è piaciuta ma non ha fatto impazzire (quasi) nessuno. Nota positiva per i nuovi brani proposti, coerenti con lo stile dei vecchi storici lavori e lontani dal deludente “Back From Beyond”.
Siamo ormai stanchissimi ma decidiamo di fermarci ancora un po’ per vedere se gli svedesi DEFLESHED meritano davvero ancora la nomea di essere una micidiale thrash/death band come ai tempi di “Fast Forward” o “Royal Straight Flesh”. Il trio è in formazione originale e credeteci, sono bastate poche canzoni come “The Return Of The Flesh” o “Stripped To The Bone” per ottenere una risposta positiva. Sembra tutto congelato nel tempo, per i Defleshed: thrash iperveloce, essenzialità nell’esecuzione ma con prove strumentali ottime, soprattutto da parte del batterista Matte Modin, celebre per il suo lavoro coi Dark Funeral. Probabilmente è un genere morto che vive solo di revival (come avremmo dovuto vedere da parte dei The Crown, poi cancellati all’utimo), ma lo show messo in piedi dai Defleshed è stata la degna conclusione piena di adrenalina del nostro soggiorno all’Obscene Extreme.