Venticinquesimo anno di vita per l’Obscene Extreme, il festival ‘estremo-in-tutti-i-sensi’ forse più celebre in Europa.
Se il Brutal Assault nel tempo si è ingrandito ed è diventato un evento di riferimento a livello mondiale ma rimane un festival dove conta principalmente la kermesse musicale, l’Obscene è rimasto in una dimensione più ridotta e non ha mai perso le proprie caratteristiche che lo rendono di culto sotto molti aspetti.
Parliamo della selezione delle band, che spaziano dal death metal fino a proposte quasi inascoltabili come il gore-noise; parliamo della scelta radicale di essere completamente vegetariano e vegano da moltissimi anni; parliamo dell’accoglienza di tantissime istanze ‘freaky’, inclusa la possibilità di girare nudi, le esibizioni sul palco di fachiri o quelle a tema S/M o le gare in stile Jackass che si svolgono di solito nel primo pomeriggio.
Si mormorava tra l’altro che questo numero ‘compiuto e rotondo’ potesse coincidere anche con l’ultima edizione, paura però smentita praticamente subito, visto che all’entrata dell’area fest campeggiavano già dal primo giorno le date di luglio per il prossimo anno.
Arrivati sul posto puntuali al primo dei quattro giorni – una sorta di pre-show con meno band – ci mettiamo poco a ritrovare la solita atmosfera rilassata, i soliti servizi d’eccellenza (braccialetto cashless, parcheggio facile, poche file dovunque) e prese le prime birre, ci accomodiamo sulle panchine in legno dell’anfiteatro naturale di Trutnov in attesa dei primi gruppi.
MERCOLEDI’ 03 LUGLIO
Il pomeriggio si apre puntuale, attorno alle 15, con i SØLITÄR, quintetto d-beat/crust con due voci, una maschile e una femminile.
La band, piuttosto giovane, è chiaramente influenzata dai classici del genere e ci intrattiene per quasi una mezzora. Vedendo già il mosh e il pubblico che sale sul palco per danzare e mostrarsi, ci ricordiamo subito come l’Obscene sia, per le realtà underground, una possibilità enorme a livello di feedback: qui chiunque ottiene una risposta di pubblico caldissima e partecipata.
Dopo di loro è il turno dei grinder americani TRUCIDO, la cui proposta è un brutal-grind dal rullante secchissimo e dai ritmi elevatissimi. Dopo di loro arrivano gli UTILIZE THE REMAINS, direttamente dalla Nuova Zelanda con una proposta brutal/slam piuttosto canonica, al netto della loro simpatia e gentilezza con l’audience che viene ringraziata più e più volte per la partecipazione.
La qualità dei gruppi si alza drasticamente con l’esibizione dei C.A.R.N.E., porno-grind dal Messico di lungo corso, tornati in attività dopo una pausa di più di una decade grazie anche al supporto di un’etichetta underground infaticabile come la Mierdas Production (che ultimamente sta stampando e ristampando titoli notevoli, tra cui Meat Shits, Hemdale, i nostrani Cripple Bastards e molti altri ancora).
Da parte loro i C.a.r.n.e sembrano davvero usciti dal porno-gore dei primi anni 2000, strapieni di tematiche oscene e sessualizzate, umorismo nerissimo e prestazioni musicali che definiremmo come ‘funzionali’ e con brani come “The Sexual Side Of The Moon” o “Natural Born Big Tits” non possiamo pretendere chissà cosa. Divertenti e oltraggiosi, in pieno stile Obscene, potranno anche essere discograficamente fuori tempo massimo, ovviamente, ma non è questa la sede per discuterne.
Dopo di loro tocca ai SEDEM MINUT STRACHU, gruppo ceco che propone da sempre un set di sette minuti esatti a metà fra grind e noisecore estremissimo.
Il richiamo fin dal moniker è ai Seven Minutes Of Nausea e a realtà altrettanto estreme, anche se la proposta nei quattro non è così affine all’improvvisazione e invece mostra debiti anche con Regurgitate o Agoraphobic Nosebleed.
Basso distorto, batteria, voce in growl profondo e una lama di sega suonata con un archetto speciale (sic!) inquadrano un’esibizione sicuramente particolare per buona parte del pubblico presente. Personalmente, se facciamo così tanti chilometri ogni anno è per vedere qualcosa di realmente differente come i Sedem Minut Strachu e siamo proprio stati accontentati.
E’ ancora Messico con gli ACIDEZ e il loro street-punk metà in inglese metà in spagnolo. Grandi intrattenitori sulla scia dei Total Chaos ma musicalmente più pesanti e talvolta affini a territori crossover/thrash, i nostri divertono e fanno partecipare il pubblico in maniera esemplare, sfruttando ovviamente brani immediati e cantabilissimi.
Gli ANGELUS APATRIDA offrono uno show solidissimo da diversi anni e non mancano di farlo anche in questa sede. Li seguiamo da lontano, mentre mangiamo qualcosa.
Alle 20 circa è ora dei DEVOURMENT, molto attesi dal pubblico, e ancora una volta le lancette si spostano all’indietro, in quel di Trutnov: torniamo con loro agli anni d’oro del brutal tecnico, prima che lo slam in qualche modo diventasse rappresentativo e – ahinoi – fin troppo standardizzato.
I Devourment non sono peraltro un gruppo definibile come nuovo, visto che “Molesting The Decapitated” ha ormai venticinque anni e ci sono stati parecchi periodi delicati per i texani, con pause, interruzioni e quant’altro: i musicisti che abbiamo di fronte però sono solidi, tecnici e decisamente brutali.
Ruben Rosas è ormai un signore di mezza età con cappellino e capelli cortissimi, ma tiene il palco ancora piuttosto bene. Dall’ultima volta che li abbiamo visti – pre-pandemia – è cambiato solo il chitarrista Marvin Ruiz (già negli Stabbing), e risentire ancora una volta buona parte i classici di “Molesting The Decapitated” è ancora un grandissimo piacere.
Dopo il brutal, torna l’hardcore più indiavolato con i DROPDEAD, negli ultimi anni molto attivi sul fronte live e in grande spolvero.
E’ la terza volta che li vediamo in meno di cinque anni e restano una conferma: il loro hardcore sparatissimo e ad alto contenuto politico che ha contribuito a creare il concetto di powerviolence (insieme ai Siege, che vedremo nei prossimi giorni) in grado di funzionare davvero bene sul palco dell’Obscene, con il pubblico che impazzisce letteralmente e si scatena davanti e sul palco.
Bob Otis fa esattamente tutto quello che sa fare da molti anni: presenta sommariamente i temi politici dei pezzi, invita il pubblico alla riflessione sul futuro, sullo stato del nostro pianeta e sull’animalismo. Il resto sono pallottole powerviolence una dietro l’altra, tutto quello che volevamo sentire.
Si torna al death metal con i GRUESOME di Matt Harvey che ormai non possono più davvero essere definiti come un semplice omaggio ‘divertissement’ ai Death, ma una vera e propria band sempre in bilico tra un consapevole tributo e la volontà di rivisitare territori classici.
I nostri non hanno un reale disco nuovo dal 2018 ma sono tornati in pista con un nuovo singolo e uno split con i giapponesi Sabbat proprio in questi mesi. La scaletta è bilanciata: riprende la nuova “Frailty” e pesca da “Savage Land”, “Dimension Of Horrors” e “Twisted Prayers” i migliori pezzi, facendoci avere davvero nostalgia dei vecchi Death di Chuck e di un suono floridiano che non è sempre semplice risentire in modo così incontaminato.
Lo slot di headliner per questo primo giorno è lasciato ai giapponesi SABBAT, band che volevamo davvero vedere su un palco dopo averli seguiti nel tempo attraverso la sterminata e confusa discografia.
Aver presente la scaletta dei Sabbat riferita alla loro discografia, approfondendo quanto scritto sopra, vuole davvero dire essere ad un livello di monomania abbastanza pericoloso, quindi non vi mentiremo in proposito, ma abbiamo riconosciuto con gioia qualche classico estratto dai primi “Envenom” (“Evil Nations”) ed “Evoke” (“Envenom In The Witch’s Hole”).
Gezol, a quasi sessant’anni, presenta le canzoni in un inglese assolutamente incomprensibile, mezzo nudo con addosso solo il classico costume leather’n’spikes con cui si fa ritrarre da sempre nei booklet dei dischi.
Da parte nostra ci rendiamo conto, pian piano, di come il chitarrista Ginoir (entrato nel 2021) sia un vero metronomo e il punto di riferimento più solido della band (decisamente più del folle batterista Zorugelion). Il risultato è quindi anche strumentalmente molto buono, con l’alternanza tra i tre strumenti che non si limitano a seguirsi ma riempiono il suono complessivo della band in modo magistrale.
Oltre a questo, sul palco i Sabbat esprimono appieno il loro amore per i Venom e i Bathory partendo dalle pose, le boccacce e in generale l’attitudine estrema veramente vecchio stile. Ci aspettavamo poco, soprattutto perché la band ha fatto dell’approssimazione un proprio credo, dal punto di vista discografico, ma abbiamo dovuto felicemente ricrederci.
GIOVEDI’ 04 LUGLIO
La nostra giornata nell’Arena Trutnov inizia poco dopo mezzogiorno, con gli APOSENTO che concludono il loro set chiaramente death metal old-school. Ammettiamo di averli ignorati fino a questo momento, ma vedendo la risposta del pubblico e la quantità di merch che ha girato nei giorni successivi, abbiamo deciso che li recupereremo presto. In quel che abbiamo sentito ci abbiamo riconosciuto Morbid Angel, Sinister e Vomitory e ci è sembrata una miscela non sorprendente ma funzionale.
Torna il noise-core e la follia quasi immediata con i MUTILATED JUDGE di Bilbao, un duo con drum-machine, voce in pitch-shifter e basso distortissimo. Come se non bastasse, i nostri sul palco iniziano a spogliarsi, a spingersi per terra fra di loro e il cantante ad un certo punto – completamente nudo – si diverte a giocare con un flauto, suonandolo e facendoci anche altro che però vi lasciamo immaginare (internet è vostra amica, non sarà difficile scovare le loro esibizioni).
Il risultato è folle e intrattiene alla grande il pubblico dell’Obscene, ma a differenza dei Sedem Minut Strachu del giorno precedente nel loro noise-core di sostanza musicale propria ce n’è proprio pochina. Estremi sì, sperimentali anche, ma a tutto c’è un limite.
Dei polacchi HOSTIA non avevamo mai sentito parlare e il loro death/grind non ci incanta più di tanto, nonostante tutti gli orpelli, l’immaginario anti-clericale e un gusto parecchio groove nelle chitarre.
Conosciamo invece bene i tedeschi CRYPTIC BROOD e il loro death-doom dai grandi riferimenti Autopsy e li abbiamo apprezzati di più rispetto al passato. La proposta è abbastanza fuori genere per gli standard del posto e il pubblico non partecipa più di tanto, ma loro non sembrano curarsene più di tanto.
Sentiamo da lontano i thrasher ACID FORCE e i deathster CUTTERED FLESH, perché ci siamo decisi di concederci del tempo al metal market che si trova nella parte superiore dell’arena, tra gli alberi. La scelta, a livello di distro e dischi, anche quest’anno è ampia nei settori estremi ma anche in quelli del punk, hardcore e crust. Torniamo per la conclusione del set dei Cuttered Flesh e notiamo come negli ultimi dischi – usciti per l’indiana Transcending Obscurity – si sia fatta largo un’evidente influenza deathcore che li distingue dal brutal death degli inizi.
C’è attesa per i francesi WHORESNATION che sono accolti davvero come delle piccole star. Il loro grindcore è solidissimo e l’ultimo “Dearth” ci era proprio piaciuto. Si muovono in territori ben conosciuti, affini a quelli di Wormrot e ovviamente Napalm Death, ma sprigionano un impatto tale che il pit esplode dopo pochissimo.
A ruota tocca ai nostri PUTRIDITY, una band a nostro avviso rinata con i cambi di lineup e l’ultimo EP “Greedy Gory Gluttony”. E’ già stato detto tante volte che il brutal sghembo e convulso del nostri non è roba per tutti, è già stato notato come la tecnica del gruppo torinese sia da sempre di altissimo livello, ma vederli sul palco di Trutnov ci ha davvero ancora una volta sorpreso.
Parliamo di un set intensissimo, estremamente violento, difficile anche da seguire con un semplice headbanging. Se siete amanti del brutal più tecnico di Enmity, Defeated Sanity e Disgorge, dovreste assolutamente ascoltarli perché in questo momento, di band così intense dal vivo non ce ne sono molte.
Ci prendiamo un’altra lunga pausa per rifocillarci anche perché i MASS WORSHIP previsti in questo tardo pomeriggio sono stati sostituiti nelle settimane precedenti al festival e lo show sui generis dei NECRO BART INFERNO (crust/grind) e quello dei SEE YOU IN HELL (grindcore) non ci stuzzicano più di tanto. Torniamo ovviamente per i WALKING CORPSES, ovvero Dan Lilker che, insieme ad alcuni compari della Repubblica Ceca (tra cui ovviamente il prezzemolino Bilos di Malignant Tumor e Sick Sinus Syndrome), esegue tutto il debutto “Extreme Conditions Demand Extreme Responses”.
L’esibizione è concepita come regalo di compleanno per l’organizzatore Curby e dobbiamo ammettere che la nostra curiosità era mista anche alla paura che si trattasse di una baracconata e poco più.
Invece siamo rimasti soddisfatti: il tocco dei musicisti è ovviamente diverso e Bilos non è Kevin Sharp, ma è evidente che il gruppo si è trovato per tempo in sala prove e la scaletta è stata eseguita con perizia: “Stench Of Profit”, “Denial Of Existence” e altre piccole gemme sono risultate efficaci quanto basta per smuoverci.
In un momento in cui tutto è tributabile e tributato e la definizione di band originale che celebra un disco del passato spesso si riduce a qualche ex membro che porta avanti un nome più o meno appropriatamente, possiamo dire che i Walking Corpses hanno fatto il loro lavoro in maniera adeguata.
A distanza di qualche anno rivediamo sul palco dell’Obscene i SIEGE, altra cult band assoluta del panorama hardcore velocissimo che nel tempo ha dato vita al movimento powerviolence.
Estremamente di culto, con un solo EP all’attivo e ovviamente una marea di occasioni perse, i nostri si sono rimessi in moto a livello live negli ultimi sette/otto anni con un paio di membri e avevamo avuto modo di vederli in questa sede alcuni anni fa. Il cantante Mark Fields ci mette poco ad intrattenere il pubblico, scusandosi ironicamente con tutti quelli che “si sentiranno infastiditi da questo nostro ritorno visto che si era detto come il precedente sarebbe stato il nostro ultimo concerto europeo”.
In un periodo di ennesimi ultimi tour, questo tipo di ironia è stato subito apprezzato dai presenti, che si sono dati ancora di più da fare nell’infinito mosh, stagediving e compagnia. La loro performance è buona, ma se messa a confronto con il treno merci lanciato ad altissima velocità dei Dropdead del giorno prima la differenza è piuttosto evidente.
Possiamo tranquillamente dire che coi GUTALAX il festival si è praticamente fermato per quasi un’ora.
Quasi tutti si portano nell’area concerti, riempiendola completamente come se si trattasse degli headliner: la quantità di gonfiabili, carta igienica tirata e buffi costumi del pubblico si triplica in poco tempo e il palco sarà perennemente gremito di persone che ballano al punto di non riuscire praticamente a vedere la band che suona.
Per i lettori che non lo sapessero, all’Obscene è consentito al pubblico di salire sul palco nell’area antistante le casse spia e non ci sono transenne. Per una esibizione ‘normale’, le persone fanno una qualche passerella, saltano e ballano per poi scendere e solo in casi particolari rimangono stazionari sul palco.
Questo invece è uno di quelli: se tutto è realmente divertente, inaspettato e coreografico, diventa anche un po’ monotono dopo qualche minuto. Da parte loro, i Gutalax ormai sono un fenomeno del gore con il loro piglio demenziale e scatologico ed eseguono con tranquillità la loro scaletta costruita sulle varie “Poopcorn”, “Diarrhero” e “Shitbusters” ma, divertimento a parte, non possiamo ormai non notare come la band sia ferma immobile nella propria proposta musicale.
C’è chi dice addirittura che abbiano contribuito a far decadere un genere come il grind/gore classico banalizzandolo: noi da parte nostra vediamo sempre di più una eccessiva staticità della proposta.
Si torna invece a fare sul serio, a respirare underground e lunghe carriere con i RATOS DE PORAO, che davvero sembrano non voler mollare proprio mai.
La band di João Gordo e Jão, attiva dai primissimi anni ’80 insiste a girare il mondo in tour e a pubblicare dischi, visto che l’ultimo “Necropolitica” è del 2022. Gordo potrebbe sembrare un vecchietto sovrappeso come tanti, ma quando è sul palco riesce ancora a trasformarsi e a diventare un leader.
Strumentalmente efficaci, magari meno violenti se paragonati – ancora una volta – ai Dropdead, paradigma di intensità per un po’ tutti quanti gli esponenti dell’hardcore/punk, hanno saputo come coinvolgere il pubblico anche se sono stati penalizzati dalla prima pioggerellina serale che ha alleggerito un po’ il fronte palco.
Il primo headliner del fest sono i NAPALM DEATH, che non vediamo da qualche anno dal vivo e di cui volevamo sentire in sede live i pezzi degli ultimi lavori, soprattutto da “Throes Of Joy In The Jaws Of Defeatism”.
Il loro set è violento e preciso come sempre, e rispetto ad alcuni anni fa abbiamo ritrovato un suono adeguato e, per l’impressione che abbiamo avuto, un’esecuzione del piglio giusto. Barney sembra davvero non invecchiare mai vocalmente e la scaletta proposta contiene parecchi estratti dall’ultimo album del 2020, stilisticamente differente dal classico suono grindcore dei nostri.
Il risultato globale è più che buono e le nuove canzoni – per chi scrive – se su disco ci avevano lasciato un po’ dubbiosi, pian piano hanno preso forma in sede live e ci hanno spinto a riascoltare le ultime cose dei nostri con atteggiamento differente. Da citare come al solito le grandi interazioni di Barney con il pubblico (anche di educato rimprovero, visto che viene calpestata anche una pedaliera) e l’esecuzione dei classici immortali dai primi due dischi. Prestazione più che positiva, nel complesso.
Prima (e quasi unica) nota dolente del festival è l’esibizione dei DYING FETUS, piagata per buona parte da una batteria troppo alta, da chitarre sottili e da una voce non adeguata.
Li avevamo sentiti l’ultima volta un anno fa, al Brutal Assault, quando hanno asfaltato tutti i presenti in un orario non proprio di punta; l’esibizione di oggi invece non è delle migliori, ma è evidente che siano i suoni e non le prestazioni individuali.
La scaletta sarebbe eccelsa, con le solite “In The Trenches”, “Wrong One To Fuck With” e la nuova “Throw Them In The Van” accompagnate da vecchissimi classici come “Kill Your Mother, Rape Your Dog”. Se proprio vogliamo essere pignoli, ci manca un po’ il periodo “Destroy The Opposition” e “Stop At Nothing”, ma questa non è la sede per snocciolare tutti i classici, visti i soli sessanta minuti concessi.
Nel momento in cui scriviamo, la formazione dei WORMROT che abbiamo visto in azione in quel di Trutnov non esiste già più, visto che il batterista Vijesh ha appena abbandonato, lasciando da solo il fondatore Rasyid al comando, accompagnato per ora alla voce dall’ex Implore Gabriel Dubko.
Siamo un po’ preoccupati, lo diciamo chiaramente: se lo split con il cantante Arif in qualche modo sembra essere stato assorbito, se ne è appena andata un’altra colonna del suono dei Wormrot. Stiamo parlando probabilmente della band grindcore del momento, legata ad un passato classico e violento di scuola Earache anni ’90 ma in grado anche di progredire nel tempo spostandosi verso territori più vicini al noise di scuola Scott Hull e perfino impreziosire finemente la proposta come nel più recente “Hiss”.
Allo stesso tempo, i nostri ci hanno abituato a prestazioni live intensissime, sregolate e furibonde. E’ esattamente quello a cui abbiamo assistito anche in questo caso, con una setlist orientata molto di più sui due dischi più recenti che sul passato e con l’aggiunta degli inserti di voce femminile della cantante Weish che danno un tocco decisamente particolare – affine alla musica d’avanguardia come quella che propongono cantautrici come Björk.
Ormai stanchi, assistiamo a parte del set dei norvegesi KRAANIUM e al loro slam abbastanza canonico.
L’impatto è notevole e anche abbiamo sempre avuto nei confronti della band scandinava dei forti pregiudizi, li ritroviamo efficaci e in grado di coinvolgere il pubblico rimasto davanti al palco in numero notevole. L’unico palco di Trutnov prevederebbe ancora un paio di band, ma quasi alle due di notte decidiamo di ritirarci perché ci aspettano ancora tantissimi altri nomi nei due giorni successivi.
VENERDI’ 05 LUGLIO
Dopo qualche ora di sonno, ci rechiamo nuovamente al festival per una abbondante colazione, visto che tutta una parte dell’area food vegana offre torte, pasticceria e caffetteria tanto quanto un qualsiasi bar, altro fantastico servizio che non sempre è possibile ritrovare nelle manifestazioni di più giorni sul suolo italiano.
Il tempo finora è stato nuvoloso con qualche goccia di pioggia, ma sufficientemente soleggiato per garantire una vivibilità soddisfacente.
La prima band che ci godiamo sono i brasiliani ESCARNIUM e il loro death metal americano classico, ma non privo di elementi interessanti. Dopo di loro tocca agli ABRADED, altro nome che ha ricevuto l’attenzione del pubblico presente, vista anche la quantità di merch in giro.
I nostri, provenienti dal Midwest americano, sono particolarmente grezzi nella loro proposta (non lontana da Sanguisugabogg e 200 Stab Wounds, peraltro) e personalmente non ci hanno fatto impazzire fino a questo momento. Aspettiamo comunque il nuovo disco, su F.D.A., per il prossimo autunno.
A ruota è il turno degli austriaci DISTASTE, nuovamente con una proposta death/grind, nuovamente sotto contratto con la F.D.A. e purtroppo, nuovamente abbastanza privi – a nostro modesto parere – di adeguati spunti di interesse.
Con i REBAELLIUN si cambia decisamente musica – non in senso stretto, sempre di death metal si parla – ma sicuramente per il tiro e l’esperienza dei musicisti coinvolti il livello si alza.
Del ritorno dei carioca ci siamo rallegrati qualche anno fa, dopo che ce li eravamo persi ad inizio anni Duemila: non si può certo dire che anche dopo la reunion per i nostri tutto sia andato per il verso giusto, con ben due membri in line-up che purtroppo sono scomparsi, quindi per una volta possiamo dire che la resilienza è davvero amica dei Rebaelliun.
Quello che abbiamo sentito è stato decisamente positivo, anche se non abbiamo colto nei nostri un grosso impatto, come invece ci aspettavamo. Forse saranno stati i volumi del fest o le scelte sonore del gruppo stesso, ma la loro esibizione non ci ha trasmesso chissà quale trasporto.
Il trasporto e la foga invece ce li hanno regalati i MEAT SPREADER, ennesimo progetto death-grind ceco che nel tempo è diventata una band a tempo pieno. Di death/grind si tratta ancora una volta, stavolta figlio però di General Surgery, Haemorrhage e Dead Infection.
I musicisti sono tutti di esperienza e infatti buona parte dei nostri infatti ha già avuto ruoli importanti proprio in Dead Infection (il mitico Jaro, voce dei polacchi per molti anni), Squash Bowels o i più recenti Eternal Rot. La proposta l’abbiamo già inquadrata e possiamo aggiungere solamente che i Meat Spreader sono stati una piacevolissima sorpresa: Se vi piacciono i riferimenti citati, fiondatevi su quanto hanno pubblicato. Non rimarrete delusi.
Usciti contenti dai Meat Spreader, stavamo per dirigerci verso il bar ma siamo tornati in fretta e furia quando ci siamo resi conto che era il turno dei THE ARSON PROJECT, forse una delle migliori realtà underground svedesi di tradizione grindcore.
Attivi dal 2005, hanno rilasciato solo due album finora, di cui il più recente “God Bless” è un vero omaggio a Rotten Sound e Nasum, forse uno dei più belli. I nostri si presentano timidamente, con un chitarrista con un piede ingessato ma anche con tantissima rabbia in corpo.
La loro prova è semplice, diretta, devastante: sorretti da buoni suoni, anche se non sembrano avere chissà quale presenza sul palco, rimangono per chi scrive una realtà intensissima. Da rivedere, anche se non sembra così facile.
Ci prendiamo una pausa mentre suonano i LAHAR, altra formazione ceca dedita ad una forma estrema di thrash/crossover e ritorniamo per gli olandesi INHUME che abbiamo visto negli ultimi anni in modo saltuario in questo o in quel festival.
Ci rallegriamo alla notizia, data dal cantante Dorus, che finalmente un nuovo album sembra in arrivo, dopo circa quindici anni di pausa. Tra l’altro non abbiamo dubbi di che musica ci sarà nel disco, visto che la costanza sembra tuttora un fattore importante per gli Inhume. Grindcore e brutal death metal che si mescolano in parti non uguali, con il primo ingrediente che sembra sempre avere la meglio sul secondo. Esibizione brutale, come in tutte le altre occasioni in cui li abbiamo potuti vedere su un palco.
I BELUSHI SPEED BALL propongono del canonico crossover thrash, ma lo condiscono con un sacco di teatralità ed un membro aggiunto che passa il tempo a lanciare bottiglie d’acqua, schiuma e quant’altro sull’audience. Simpatici, ma stancano in fretta.
Torniamo in tempo per il ritorno dei FLESHLESS, che non vedevamo da davvero tanti anni. Probabilmente il nome più importante della musica estrema locale dopo i Krabathor, i nostri non sono mai però riusciti ad imporsi davvero fuori dal loro Paese e ci fa davvero piacere vederli ancora in pista. Il loro genere è ormai differente dagli esordi di “Grindgod” o “Nice To Eat You” (molto più slabbrati e grindcore), mentre oggi i Fleshless propongono un brutal death che comunque non si presta ad esagerazioni slam o tecniche. Prova solidissima, la loro.
TERVEET KÄDET è il moniker di un’altra cult band del panorama crust/D-beat/hardcore nata ad inizio anni ’80. Seppur in formazione ampiamente rimaneggiata, sono ancora attivi, guidati dalla voce di Läjä. Il loro set è piacevole, ma come per altri, nulla in confronto a quanto proposto dai Dropdead.
Dopo di loro, tocca ai sudafricani GROINCHURN, altro nome che credevamo disperso. Effettivamente l’ultimo disco risale all’anno 2000 e non ci hanno mai particolarmente colpito. Non ci sembra sia cambiato molto da allora e secondo noi la formazione a power-trio non è loro particolarmente d’aiuto nel proporsi al pubblico di Trutnov.
Lo show del venticinquesimo anniversario dei ROMPEPROP è abbastanza atteso dai presenti – è piuttosto evidente – e più che della loro prestazione, in linea con gli spettacoli grind/gore tipiche dell’Obscene, ci serve per fare un paragone tra loro e i Gutalax: mentre i cechi rappresentano il presente del genere, molto più danzereccio e di facile ascolto, gruppi come i Rompeprop ne rappresentano il passato con sì dell’umorismo, ma anche con brutalità e prestazioni strumentali di un certo spessore.
I Gutalax, secondo molti, avrebbero sì reso più popolare questo sottogenere, ma l’hanno anche banalizzato: da parte nostra ci sentiamo solo di dire che il cambio di passo si sente tutto e gli olandesi Rompeprop rappresentano davvero, positivamente, il passato.
Se il festival il giorno prima si era fermato per i Gutalax, stasera lo fa per i WOLFBRIGADE, attesi un po’ da tutti. La band svedese, con il suo ostinato crust punk si è pian piano imposta nel tempo, diventando uno dei modelli del genere.
Quello che suonano i Wolfbrigade oggi è un paradigma di tale genere ma senza tempo, perché non sono né un residuato del passato, né una involontaria tribute band. Allo stesso modo, i Nostri non spostano di un centimetro la struttura musicale, se non in qualche rarissima occasione in cui si possono sentire alcune influenze thrash metal.
Dal vivo sono una vera macchina da guerra e tutto quello che possiamo dire è che se voleste far sentire a qualcuno del crust moderno, senza scomodare i classici, la risposta è una sola: Wolfbrigade.
E’ ormai tempo di headliner e tocca a Ross Dolan e Robert Vigna. Di tutte le cose che si possono dire degli IMMOLATION contemporanei, è innegabile che la band sia in uno stato di grazia quasi irreale e che stiano raccogliendo decisamente di più di quanto fatto in passato: il death metal ha fatto tempo a passare e a tornare di moda un paio di volte e loro sono ancora lì, a dispetto di tutto e tutti. Sul livello tecnico della formazione non perdiamo nemmeno tempo, talmente è assodato, mentre la conferma di quanto ci credano i nostri è la presenta di ben cinque pezzi dal recente “Acts Of God”.
Il resto è quasi tutto, però, estratto dal 2010 in poi, se escludiamo due riprese da “Dawn Of Possession” e una da “Here In After”: non neghiamo che ci sarebbe piaciuta un po’ più varietà, ma siamo comunque contenti così.
Dopo qualche anno, ritorna uno degli headliner storici dell’Obscene: i CRIPPLE BASTARDS, già presenti nella primissima edizione e da sempre legati al festival. Giulio The Bastard sale sul palco con un kimono – che scopriremo poi essere un regalo dei Kandarivas – e inizia una delle esibizioni più belle che abbiamo avuto modo di vedere dei grinders nostrani: i suoni sono meravigliosi e si riescono ad apprezzare tutte le sfumature di rabbia della band piemontese.
La scaletta li sorregge appieno, presentandosi come un vero e proprio greatest hits che praticamente tutti riconoscono e apprezzano. Personalmente non possiamo far altro che rimanere estasiati davanti ad una prova maiuscola dei nostri, forse la migliore a livello di suoni a cui abbiamo mai assistito.
In attesa dei Kandarivas, ci appoggiamo al bar seguendo da lontano gli ACAO DIRETA, hardcore band brasiliana di lunghissimo corso che però non ci lascia particolari emozioni. Il loro suono è forgiato sull’hardcore anni ’80 e in parte sul crossover/thrash, ma rimane a nostro avviso abbastanza compendioso.
I citati KANDARIVAS invece non fanno prigionieri: la band di Tokyo si presenta con il proprio suono grindcore folle (come lo vorrebbe Scott Hull, per capirci) accompagnato dalle percussioni tradizionali nipponiche (taiko) e da una prestazione vocale magistrale di Tomoki (che a quanto sembra, di lavoro farebbe il chirurgo).
I paragoni sono Unholy Grave, Napalm Death, Pig Destroyer ma anche una versione acceleratissima e folle degli Slipknot. Ai Kandarivas non interessa praticamente nulla dei generi specifici (come succede spesso per le band giapponesi) e quello a cui assistiamo è forse lo show più estremo della quattro giorni di Trutnov. Meravigliosi.
SABATO 06 LUGLIO
La nostra ultima giornata al festival inizia poco dopo mezzogiorno e ci dispiace un po’ di non aver assistito all’esibizione dei giapponesi MORTIFY e il loro death/grind al sapore di HM-2, ma arriviamo durante il set dei SICKRECY, dove il ruolo di frontman è lasciato ad Adde Mitroulis, già noto per i suoi Birdflesh. Assolutamente privi di originalità, ma altrettanto divertenti, ci fanno iniziare la giornata nel modo giusto.
Dopo di loro tocca agli ACRANIUS, slam dalla Germania: i nostri hanno un certo seguito, si vede subito dai movimenti sotto al palco, ma sono a nostro parere degli onesti operai del brutal più moderno zeppo di breakdown e cappellini New Era.
Buffo come a seguire ci siano i californiani VILE, seconde linee del brutal anni Duemila, band senza di cui gli Acranius (o gli Analepsy che vedremo dopo) non esisterebbero nemmeno. Dei Vile però non si ricorda ormai quasi nessuno e infatti l’audience presente è scarsa: certo, la band americana le ha un po’ sbagliate tutte dal 2005 in poi tra pause, scioglimenti, dischi mediocri, però fa un certo effetto vederli così ‘secondari’ ma d’altronde, la loro esibizione rappresenta proprio un modello di death metal ormai in pieno declino a favore di stili differenti (e ci dispiace un po’).
Piccolo momento nostalgia, l’esecuzione di “Depopulate”, a ricordare i bei tempi andati.
L’ultimo giro al mercatino per prendere qualche t-shirt e qualche altro disco ci fa saltare l’esibizione dei tedeschi CLUSTER BOMB UNIT e il loro crust/punk che riscuote notevole successo all’arena, ma torniamo per gli ANARCHUS, ormai storica grind band messicana attiva da fine anni Ottanta. La loro prova però è abbastanza incolore, non aiutata da dei volumi bassini e priva del tiro necessario che su disco negli anni abbiamo sentito.
Ritorna lo slam con gli ANALEPSY – dal Portogallo – e nuovamente il pubblico si assiepa attorno all’area palco, segno che la band ha effettivamente raccolto un certo successo nel tempo. Non siamo personalmente fan del genere, però riconosciamo quando una band è professionale e trascinante e possiamo dire davvero di esserci goduti appieno la loro esibizione, la grinta nella voce di Calin e in generale il movimento che riescono a creare. Considerato che per ora escono su etichette minori, ci aspettiamo in futuro una qualche crescita, sempre che il genere non imploda, nel frattempo.
Altro momento tipicamente Obscene sono i FINAL EXIT, duo giapponese già passato da queste parti più volte e che in teoria dovrebbe proporre una sorta di grind matto e destrutturato, ma in pratica poi omaggia tremendamente bene il mondo di Mike Patton e John Zorn, tutto ovviamente rivisto in un’ottica minimale e accelerata fatta di brani scheggia e vocalizzi cacofonici.
In posizione come i migliori power-duo, uno di fronte all’altro con la batteria di fianco, i due nipponici hanno dato spettacolo per il tempo loro concesso e hanno interagito col pubblico nel migliore dei modi, con tanto umorismo e autoironia.
Nella serie della band che per qualche motivo sono rimaste nel limbo per un sacco di tempo, di sicuro ci sono i colombiani INTERNAL SUFFERING e il loro brutal death tecnico. La band si è spostata logisticamente in vari continenti e francamente non abbiamo idea di dove oggi sia la loro base; allo stesso tempo anche la formazione è mutata una marea di volte; ciò che conta è che “Rituals” del 2023 ha riportato il gruppo nella posizione di poter dire la propria anche se il loro modello di death metal non è tra i più in voga ora.
Se dobbiamo confrontarli anche solo con i nomi minori che abbiamo visto in questi giorni ovvero Analepsy, Acranius, Kraanium e Vile, gli Internal Suffering stravincono su tutta la linea: la loro prestazione è notevolissima, ben suonata ma soprattutto equilibrata fra tecnica e impatto. Le voci dell’unico superstite originale Fabio Marin tengono ancora insieme una band che se trovasse un po’ di continuità, potrebbe regalare un sacco di soddisfazioni.
Passo indietro, qualitativamente parlando, con i CONVULSE che abbiamo visto diverse volte in questi anni e che non ci stanno convincendo più di tanto, sia su disco che che dal vivo.
A dir la verità, chi scrive ha sempre pensato che il livello di un disco come “World Without God” sia inarrivabile, ma ci saremmo di sicuro accontentati di qualcosa di meglio delle ultime prove tipo “Deathstar”; allo stesso modo, la formazione a tre con Rami Jämsä ci è sempre parsa debole nell’esecuzione e ci rimarrebbe la voglia di vederli con una chitarra in più. Riguardo l’esibizione specifica, la parte di scaletta che abbiamo seguito ha ripreso in gran parte proprio il mitico debutto e l’entusiasmo che Rami ci mette è notevole, ma anche stavolta siamo rimasti un po’ freddini, soprattutto in un contesto di stretto confronto con così tante altre formazioni titolate.
In vista di una lunga serata con tante band da vedere, ci perdiamo i BIRDFLESH per questa volta; da lontano ci pare che i nostri siano stati come al solito divertenti e molto apprezzati dal pubblico che oggi si ritrova in un caldo pomeriggio, forse il primo di questo Obscene.
Torniamo sotto palco invece per i BLOOD, la band che abbiamo deciso di eleggere come esempio ultimo della già citata ‘resilienza’ nel metal.
I tedeschi sono ri-diventati, negli ultimi anni, forse l’esempio definitivo di convinzione e coerenza: il mondo del metal infatti ha fatto almeno un paio di giri completi attorno a loro mentre loro sono rimasti fermi, immobili con il loro grindcore oltraggioso e dalle tinte sataniche ormai completamente fuori moda.
Eppure, vederli suonare felici come dei ragazzini (mentre hanno ovviamente tutti più di cinquant’anni) è stato quasi terapeutico. Abbiamo riconosciuto i pilastri portanti dei vecchi “Impulse To Destroy” e “Chrisbait”, abbiamo ammirato un modo di suonare veramente old-school ma soprattutto, ci siamo divertiti un sacco. Lunga vita ai Blood.
Meno bene invece i thrashers PROTECTOR, non semplicissimi da vedere live ultimamente, ma ancora attivi saltuariamente.
Diciamocelo, il thrash metal tedesco ha avuto di meglio, ma dischi come “Urm The Mad” ma soprattutto “A Shedding Of Skin” sono tutt’altro che banali. L’approccio live dei Protector però è purtroppo molto simile alla sala prove. A parte Martin Missy, voce storica e unico rimasto delle formazioni classiche, gli altri restano immobili e non sembrano molto interessati alle potenzialità che un pubblico come quello dell’Obscene può fornire.
La scaletta è molto varia e copre un po’ tutti i brani più celebri della formazione di Wolfsburg (anche se oggi quasi tutti i membri sono svedesi), ma rimaniamo dell’idea che potevamo vedere di meglio.
La giornata conclusiva dell’Obscene ci ha regalato tanti alti e bassi, tra prestazioni memorabili e altre decisamente meno: quella degli HAEMORRHAGE è decisamente da ascrivere alla prima categoria.
Saranno anche ormai una band d’altri tempi, proporranno una formula di death/grind alla Carcass a tema medico che forse ha detto tutto, ma lo fanno ancora in maniera meravigliosa. La security da palco del festival per l’occasione si veste da chirurghi con tanto di mascherina e diventa la cornice di uno show elettrizzante ed estremamente partecipato.
La teatralità di Lugubrious o le chitarre di Luisma e Ana sono ormai punti fermi nell’esibizione degli spagnoli, che organizzano la setlist sugli ultimi “Carnage Hospital” e “We Are The Gore”, ma non disdegnano incursioni nel passato.
Il pubblico di Trutnov impazzisce letteralmente e mosh, crowdsurfing e stage-diving si sprecano. L’ora a loro concessa è quanto di meglio potevamo chiedere e rinforza l’idea che se non tutte le grandi band del passato sono ancora in forma dopo trent’anni di carriera e innumerevoli dischi, ci sono realtà underground come i Blood o gli Haemorrhage che avranno da dire molto per diversi anni ancora.
E’ il momento dell’ultimo headliner, il più atteso di tutti, ovvero gli AUTOPSY di Christ Reifert: i nostri non sembrano voler smettere e, pur avendo limitato le loro presenze dal vivo, con una manciata di show ben retribuiti all’anno, non hanno nemmeno smesso di pubblicare dischi di valore come l’ultimo “Ashes, Organs, Blood And Crypts”.
Il tempo decide di peggiorare e pioverà per buona parte del loro set (anche se non eccessivamente), ma comunque ci rendiamo conto subito di essere fortunati: anche se non annunciato in precedenza, assistiamo all’esecuzione di tutto “Severed Survival” più un paio di pezzi da “Mental Funeral”.
Chi scrive non era mai riuscito finora a vedere gli Autopsy dal vivo e l’effetto ‘viaggio nel passato’ è notevolissimo: il suono, l’esecuzione e l’approccio sono decisamente old-school in tutti i campi. E’ quasi commovente sentire i cambi di tempo e i riff essenziali tali e quali alle versioni incise di “Charred Remains” , “Critical Madness” o “Ridden With Disease” che abbiamo ascoltato infinite volte.
Infine, Chris Reifert non è decisamente l’unico batterista cantante nel metal, ma è realmente un’esperienza vederlo suonare e cantare insieme, senza contare l’umorismo con cui presenta le canzoni. Gestire un suono analogico e rètro non è da tutti nel 2024 e spesso ci ritroviamo davanti a band roboanti che tradiscono i suoni delle origini o a versioni fiacche non più attuali, ma gli Autopsy non appartengono a nessuna di queste categorie, grazie al cielo.
La pioggia ormai è leggera ma continua, nonostante questo decidiamo di rimanere sul campo per altre due band.
La prima sono le MELT BANANA, duo giapponese memorabile nella propria proposta, affine in qualche modo a quella dei Final Exit. Parliamo quindi di basi elettronich a volte techno e a volte più particolari, lanciate dalla cantante Yasuko, più le trame di chitarra noise di Ichirou e linee vocali tipicamente orientali.
Il risultato è un noiserock che diventa talvolta noisecore – ancora una volta i territori musicali d’avanguardia ci vengono in aiuto per categorizzarli.
Il loro è uno spettacolo coinvolgente e particolare, in grado di rendere giustizia alla linea artistica dell’Obscene Extreme e ne vorremmo di più, di ospiti di questo tipo, per variare i bill di festival altrimenti troppo monocolori.
La pioggia si fa più insistente, ma decidiamo di rimanere ancora un po’ per i THE CROWN, che in passato ci hanno sempre soddisfatto. I nostri sembrano prendersela comoda con il soundcheck ma quando partono assistiamo al solito, velocissimo attacco death/thrash che da sempre li caratterizza.
La scelta dei brani indugia sui periodi d’oro di “Deathrace King”, “Crowned In Terror” e “Hell Is Here” ma anche quando rimangono sul presente di “Cobra Speed Venom” con “Iron Crown” rimaniamo altrettanto soddisfatti.
La loro esibizione si conclude grosso modo quando smette di piovere e così decidiamo di congedarci anche da questa edizione dell’Obscene Extreme. Mentre usciamo, non possiamo fare a meno di pensare come il concetto di musica estrema sia davvero, per quel che ci riguarda, incarnato da festival come questo.