Report a cura di Simone Vavalà
Tornano in Italia i norvegesi Okkultokrati, e lo fanno da headliner dopo diversi passaggi di supporto alle band più disparate. Autori di uno degli album più interessanti usciti nell’ultima parte del 2016, non richiamano purtroppo masse oceaniche, ma la loro proposta musicale figlia tanto del punk, quanto del black metal (a volte la patria di provenienza non lascia scampo) e non priva di afflati legati al lato più dark degli anni ’80, risulta assolutamente interessante e ci trascina con piacere allo Spazio Ligera di Milano. Un locale accogliente e che può sicuramente decollare per concerti di questo calibro, nella speranza che le difficoltà legate ai suoni (la conformazione della sala purtroppo non aiuta) riescano ad essere presto bypassate.
HUNGRY LIKE RAKOVITZ
In apertura di serata scaldano gli animi i bergamaschi Hungry Like Rakovitz, autori di un grindcore contaminato, efficace e violento, che segue tutti gli stilemi del genere senza risultare però banale. Il frontman Rubens si piazza giù dal palco da subito, cercando di coinvolgere l’auditorio e non si fa pregare a lungo: certo, non parliamo di masse oceaniche, ma nello spirito più DIY possibile i presenti si radunano intorno a lui, che trasuda energia e vomita senza requie le sue marce strofe. Peccato per una resa acustica che, come accennato, non è proprio da urlo e, almeno in questa prima fase della serata, lascia a dir poco a desiderare: quanto udibile del cantato – per quanto non si parli dei Nightwish, chiaramente – lascia totalmente a desiderare e anche il buon lavoro del resto della band, fatto di stop-n-go, sfuriate grind, brevi passaggi dalle parti del black più intransigente, risulta parecchio impastato; viene leggermente premiato il lavoro dietro le pelli di Tiziano, o forse l’effetto doppler garantito dall’angusta caverna nota come Spazio Ligera permette di essere se non altro investiti dalle sue ritmiche serrate e dalle improvvise esplosioni di blastbeat, degne di un Danny Herrera a caso. Da rivedere, e non in senso negativo: con adeguati suoni e con un pubblico più abbondante siamo certi che possano garantire un ancor maggiore coinvolgimento.
OKKULTOKRATI
Quando tocca agli Okkultokrati il nostro pensiero va con affetto al tecnico presente al mixer, che si trova a dover cercare un’impossibile quadra per ben cinque strumenti (consideriamo anche la voce, come vedremo nel seguito), che sembrano fare ognuno una cosa diversa; la conformazione della sala è quella che è e purtroppo per i primi tre brani è difficile riuscire a riconoscere qualche suono, a parte il basso mostruoso e trionfante, che sommato alla resa zanzarosa del resto della band, ci trasporta indietro nel tempo, quasi fossimo di fronte a un’esibizione dei Venom circa un quarto di secolo fa. Quando i suoni si aggiustano, l’impatto sonoro si fa notevole e per fortuna nulla si perde dell’impatto violento eppure ipnotico della band; i cinque offrono una sequenza di canzoni trascinanti, declinate in perfetto stile eighties: proprio come su album, la voce di Black Qvisling ricorda parecchio l’approccio della prima ondata crust, ma è ricca di variazioni sul tema e di calore, così come la sua presenza sul palco risulta efficace grazie alle sue movenze minimali ma coinvolgenti. Alle sue spalle il tappeto delle tastiere rasenta in certi momenti il sound new wave, o meglio post punk, mentre il resto della band costruisce ritmiche costanti e accattivanti, col risultato che una voce più autorevole di chi vi scrive ha definito efficacemente la band come ‘i Ramones del black metal’. L’esibizione si concentra sui brani del recente “Raspberry Dawn”, con sugli scudi la splendida “Hard To Please, Easy To Kill”, resa come un vero e proprio inno di black’n’roll, di cui gli Okkultokrati sono ottimi e particolarissimi profeti. Circa un’ora di esibizione, estremamente carica, sudata, trascinante: quale sia l’etichetta da affibbiare a questa band, sicuramente portano altissimo il vessillo del rock’n’roll nelle sue più ampie sfumature.