Report e fotografie a cura di Dario Onofrio
La Fucina di Efesto, che da anni allieta i padiglioni auricolari di chi si sintonizza su quel di Radio Città Bollate il venerdì sera, è ormai più di un semplice programma radiofonico. Da qualche anno a questa parte, infatti, gli speaker della trasmissione hanno portato al Blue Rose Saloon di Bresso qualche nome più o meno noto della scena heavy internazionale, arrivando a questa terza edizione del cosiddetto Efesto Metal Fest a chiamare nientemeno che gli statunitensi Omen, per troppo tempo lontani dai palchi italici. Una serata, quindi, all’insegna del power/heavy/thrash più antico e genuino di matrice ottantiana, che ha portato al Blue Rose gente da tutta la Lombardia e pure fuori regione: prima della band statunitense si sono esibiti Playhard, Anguish Force e i mitici Rustless, tutte band italiane più o meno conosciute, ma sicuramente ideali per una serata da defender dei vecchi tempi.
PLAYHARD
Davanti a un Blue Rose ancora, purtroppo, deserto, si esibiscono i Playhard, quartetto di Rho fondato da Maury Roveron (ex Pino Scotto) che presenta un classicissimo hard’n heavy di vecchio stampo. Questa sera, tra l’altro, i Nostri si esibiscono con alla voce Rob Della Frera dei Love Machine, con il quale si riesce comunque a creare una bella alchimia di suoni e presenza scenica. Da subito l’impressione è stata quella di trovarsi davanti musicisti sì navigati, ma che suonano più per passione che per un vero riscontro di pubblico e critica: si parte con “Run To You” e “Shine On Me”, pezzi originali dal buon tiro heavy, per poi presentare una cover di “Metal Heart” degli Accept, tributo che, anche se non eseguito benissimo, comincia a scaldare la serata come si deve. Certo, l’esecuzione non è perfetta ma, visto il clima e considerato che i nostri hanno solo Maury come ascia, ci sta che un assolo non sia esattamente a posto e che il muro sonoro non sia così compatto. Un concerto fatto col cuore in mano che viene chiuso da un’altra cover: “Princess Of The Night” dei Saxon. Va via così questa prima mezz’oretta che accende gli animi dei curiosi che cominciano ad affluire alla venue in attesa dell’headliner.
ANGUISH FORCE
Dall’hard rock/heavy metal ci spostiamo decisamente su un heavy/power vecchio stile con gli Anguish Force. La band di Bolzano sfodera uno show durissimo e serrato: si alternano tutti le fasi della loro carriera, passando dallo speed/thrash del primo periodo al sopracitato power delle ultime prove in studio. Luck Az e LGD, i chitarristi e membri fondatori del gruppo, calano riff a pioggia sul pubblico del Blue Rose, con “Megalodon”, direttamente dall’ultimo full-length, ma senza dimenticare vecchie glorie come “11 September”, suonata in medley con “Lady Of Iron”, altro classicone. La prestazione è veramente massiccia e intensa, qualche cuorioso butta pure un’occhiata da fuori nonostante non conosca bene la band. Si sente fortissimo come l’entrata nella band di Pemmel alla batteria e di Kinnal alla voce non abbia fatto altro che giovare al sound del quintetto: in particolare l’istrionico singer ha carisma da vendere e soprattutto un’ottima capacità di interpretare e coinvolgere il pubblico nei testi ‘supermetallici’ che canta. Gli Anguish Force non saranno certamente la band più innovativa della scuderia heavy italica, ma il loro mestiere lo fanno bene: l’esibizione viene chiusa con la classica “Cause Of Death”, direttamente dal primo album.
RUSTLESS
I Rustless sono sempre una garanzia in fatto di resa dal vivo, così come dimostrano durante la loro esibizione al Blue Rose. La formazione che racchiude il cuore pulsante dei Vanadium, infatti, sfodera una prestazione da dieci e lode, passando dai classiconi della vecchia band heavy, come l’opener “Too Young To Die”, fino ai pezzi più recenti come “Remember Your Name” e “No Frontiers”. A dire la verità i Nostri non coverizzano nemmeno il loro materiale passato: Steve e soci si muovono talmente bene sulle vecchie canzoni da quasi farci dimenticare le varie storie di separazione e ricongiungimenti che hanno attraversato per anni le loro band, portando sul palcoscenico una vera e propria pioggia di heavy metal incandescente. Ruggy alla tastiera è sempre un diavolo e, soprattutto, un elemento portante al pari della chitarra solista, mentre Emanuele Panza al basso ha trovato ampiamente la sua quadratura del cerchio, reggendo il confronto con le leggende dell’heavy italiano che lo circondano. Così, tra un pezzo nuovo e l’altro, c’è pure il tempo di suonare una sentitissima “Streets Of Danger” e soprattutto la finale “I Gotta Clash With You”, sulla quale moltissimi dei presenti scoppiano di esaltazione come fuochi d’artificio. Un concerto da molti atteso, da altri semplicemente visto come un interessante intermezzo: i Rustless dominano la serata. Non resta che aspettare che sul palco salga l’headliner.
OMEN
Più persone ci avevano detto che vedere gli Omen dal vivo è sempre un terno al lotto, perché non si sa mai in che condizioni si può trovare il buon vecchio Kenny Powell. Ebbene, pure in quest’occasione la band traballa su più punti, specialmente nei momenti successivi al ‘salto’ della spia di Kevin Goocher, ma è innegabile che vedere due ‘anzianotti’ mettercela tutta per regalare al pubblico il sogno di poter essere negli anni 80′ scalda ancora il cuore. L’inizio è stellare: “Death Rider” ci spiazza tutti e scatena la gioia dei defender più accaniti accorsi da ogni parte d’Italia per vedere i texani esibirsi. Una dopo l’altra arrivano “Last Rites” e “The Axeman”, tutti inni di battaglia che ogni ascoltatore di heavy e power di un certo tipo conosce sicuramente, mentre un po’ di spazio viene anche lasciato ai pezzi dell’ultimo “Hammer Damage”, uscito lo scorso anno, che dal vivo acquisiscono quella dignità che su disco decisamente mancava. L’unica cosa che fa un po’ piangere il cuore è vedere il povero Roger Sisson che non fa nulla per farsi vedere, confinato alla sinistra del palco senza nemmeno una luce! Peccato, per uno che viene direttamente dalla primissima band in assoluto di Powell, i Rapid Fire. Dopo “Dragon’s Breath”, lo show prosegue con l’immortale “Warning Of Danger”, sulla quale il pubblico impazzisce letteralmente. Arrivano gli encore, e nonostante la disavventura della spia rubi qualche secondo di esibizione; nonostante il povero Powell ogni tanto non riesca a stare dietro ai riff e si inventi gli assoli; nonostante i suoni impastati rendano difficile capire cosa stia veramente succedendo, non si possono non cantare a squarciagola “Teeth Of The Hydra” e la finale “Die By The Blade”, due canzoni che hanno letteralmente forgiato un certo modo di suonare metal. Insomma, gli Omen non saranno una garanzia dal punto di vista della prestazione live, ma ci hanno davvero messo l’anima nel fare questo concerto. Ovviamente, se andrete mai a vederli, considerate che non ascolterete certamente una performance pulita e rifinita sotto l’aspetto tecnico, ma d’altronde siamo metallari, no? Inoltre, potersi godere una serata così ad un prezzo irrisorio quale era il biglietto d’ingresso ha aiutato a richiamare pubblico da ogni zona d’Italia. In bocca al lupo ai ragazzi de La Fucina Di Efesto, saremo sicuramente curiosi di vedere cosa organizzeranno il prossimo anno.