03/11/2014 - OPETH + ALCEST @ Alcatraz - Milano

Pubblicato il 09/11/2014 da

A cura di Davide Romagnoli
Fotografie di Francesco Castaldo

Giudizio su Akerfeldt. Un odio e amore che neanche Catullo avrebbe saputo descrivere meglio. Paladino della rivisitazione moderna del prog Seventies, entertainer dall’umorismo quantomai criptico tanto quanto i suoi testi e le sue partiture sghembe, collezionista infallibile di perle introvabili del genere, leader indiscusso di uno dei progetti più riusciti in ambito metal degli ultimi anni, capitano e timoniere, tra virate e cambi di rotta che hanno fatto entusiasmare alcuni e perdere interesse ad altri adepti al culto Opethiano, della nave che porta sulla polena la O arzigogolata, cara (o ex-cara) ad ogni buon metallaro. Alcatraz quasi pieno, però. Sintomo che di marinai fedeli ne sono rimasti eccome. Merito forse anche della succulenta prefazione fiabesca dell’eclettico compositore di Bagnols-sur-Cèze. O sintomo indiscusso della leadership della quale Mr. Akerfeldt riesce ancora a godere…

 

Opeth Live 2014

Opeth Live 2014

 

ALCEST
Accoglienza piuttosto calorosa, che supera le aspettative che il gruppo di Neige poteva aspettarsi in quel di Milano, anche e proprio in un orario da aperitivo come quello che ogni volta si ritrova all’Alcatraz di Milano. Nonostante l’andamento malinconico e fiabesco monotonico tipico dell’attitudine della formazione francese potesse far presagire uno sbadiglio collettivo, questa dipartita eterea di delay e chorus, melodie, cantilene intervallate da echi black metal degli esordi, porta gli Alcest a racimolare un consenso più che meritato e sincero da parte del pubblico meneghino con la felpa di “Blackwater Park”. I sogni d’infanzia di Neige prendono forma nella setlist che presenta i pregevoli momenti fumosi e sognanti dell’ultimo “Shelter” e le piccole perle del passato recente, come ad esempio “Autre Temps”, forse il brano più riuscito di sempre da parte del musicista francese, opener del bellissimo “Les Voyages de l’Âme”. Reminescenze shoegaze di un “Loveless” e qualche spunto (ultimo) del black metal delle origini, lo spleen latente e uno spirito compositivo quasi naif portano l’atmosfera ad essere piacevolmente interessante e si configurano come peculiare apripista del main-act della serata.

 

OPETH
Cambiano le luci e l’intrattenimento. Quello che in effetti Akerfeldt dice di poter offrire questa sera. In realtà la serata offre ben di più. Un pugno di canzoni che fanno brillare di luce propria l’intera setlist. Oltre, infatti, alle buone prestazioni offerte dai brani dell’ultimo “Pale Communion”, di certo non miracoloso, e il plauso esaltato per “Bleak”, gli Opeth tornano a dire due parole che si possono definire metal. Quello vero. Quello che ha fatto abbandonare la collezione della discografia Opethiana, quello di “Morningrise”, “My Arms, Your Hearse”, “Still Life”. E’ un piacere infatti, sentire introdurre la bellissima “The Moor”, altalenante e meditabonda, come metro dei vecchi fasti della band di Stoccolma. Ma anche “Advent” e “April Ethereal” riportano una rimembranza di piacere vago ed indefinito, quasi a simboleggiare una gratitudine di Akerfeldt nei confronti dell’Italia, che -come fa notare al pubblico- aveva apprezzato per prima le sue note, anche quando erano di spalla ad una band chiamata Cradle Of Filth e si parlava solo di black metal. Oltre alle citazioni obbligate su Ramazzotti e il cibo italiano di rito, e oltre alla ormai must assoluto “Windowpane”, si ritrova anche l’ottimo duetto “The Lotus Eater”/”The Grand Conjuration”, che divide il pubblico in tripudio e perplessità del tipo ‘sarebbe-stato-perfetto-se-avessero-fatto-qualcos’altro-da-blackwaterpark’. Fatto sta che il capitano del vascello Opethiano risulta ancora una volta intrattenitore carismatico (seppur sui generis) capace di esaltare, esaltarsi e mettere in chiaro che il suo egoismo è talvolta da prendere con le debite proporzioni, cavarsela con il cantato di “Harvest” e “Face Of Melinda” durante i problemi tecnici alla batteria che sembrano affliggere l’intero tour, e coinvolgere i fan con chicche sempre nuove, convincendolo che tutto sommato non gli si può non voler bene. L’applauso ad Akerfeldt -anche se richiesto a gran voce dal caro, vecchio e discusso Mike- è infatti sincero e doveroso, così come quello al compagno immortale Mendez e agli ex-nuovi Axenrot, Akesson e Svalberg. Alla scaletta, tutto sommato pregevole. Alla voce eclettica del frontman, calda ed appassionata, e di nuovo brutale e cavernosa, e all’altrettanto eclettismo compositivo e alla raffinatezza delle partiture e dell’esecuzione. “Deliverance” chiude il sipario come tutti vorrebbero che fosse, dopo due ore e passa di arpeggi e riff della band sulle felpe dei presenti. Forse eran meglio prima. Forse eran meglio più metallari. Forse Lindgren e Lopez erano più bravi. Ma la O sul flyer dell’evento è sempre sintomo di ottima musica. Ancora per tutti.

 

Setlist:

Eternal Rains Will Come
Cusp Of Eternity
Bleak
The Moor
Advent
Elysian Woes
Windowpane
The Devil’s Orchard
April Ethereal
Harvest
Face Of Melinda
The Lotus Eater
The Grand Conjuration
Deliverance

 

4 commenti
I commenti esprimono il punto di vista e le opinioni del proprio autore e non quelle dei membri dello staff di Metalitalia.com e dei moderatori eccetto i commenti inseriti dagli stessi. L'utente concorda di non inviare messaggi abusivi, osceni, diffamatori, di odio, minatori, sessuali o che possano in altro modo violare qualunque legge applicabile. Inserendo messaggi di questo tipo l'utente verrà immediatamente e permanentemente escluso. L'utente concorda che i moderatori di Metalitalia.com hanno il diritto di rimuovere, modificare, o chiudere argomenti qualora si ritenga necessario. La Redazione di Metalitalia.com invita ad un uso costruttivo dei commenti.