Con il nuovo disco “The Last Will And Testament” gli Opeth sono tornati a suonare metal, seppur a modo loro e, al di là della divisione tra sostenitori e detrattori delle opere che sono arrivate dopo “Watershed”, possiamo affermare che la buona notizia non è solo il tanto strombazzato ritorno del cantato in growling, quanto l’aver ritrovato uno stato di forma che negli ultimi anni era parso ondivago.
In versione live, però, Åkerfeldt e compagnia non hanno mai perso un colpo e, proprio per questo motivo, è grande la curiosità di capire in che modo verranno proposti i nuovi brani, e se la storia che sta dietro al sontuoso concept album sarà anche il filo conduttore del concerto. La prima europea del tour, a Helsinki, è l’occasione buona per scoprire cosa gli svedesi hanno preparato.
Ad aprire, un’altra band proveniente da Stoccolma: i Grand Magus, che da anni propongono il loro heavy metal potente con qualche venatura di doom e che stanno promuovendo l’ultimo album “Sunraven”, pubblicato ad ottobre dello scorso anno. Un gruppo rodato, sulle scene da venticinque anni abbondanti, che tra i propri punti di forza ha proprio il palcoscenico.
Vediamo come è andata.
La Ice Hall è un palazzetto situato nelle periferie nord di Helsinki, con una capienza di circa ottomila spettatori, utilizzato per le partite di hockey su ghiaccio (e la conferma è il freddo che fa all’interno, nonostante molti dei temerari locali si presentino indossando solo una maglietta) ma sede anche di diversi eventi live. L’apertura porte, prevista per le 18, è attesa da una folla incolonnata sul marciapiede che costeggia la struttura, e che viene convogliata all’interno in modo rapido ed ordinato. L’impressione è, fin dall’inizio, che ci sarà una buona affluenza e, essendo giornata festiva, il pubblico arriva numeroso anche per la band di supporto.
Alle 19 in punto, come da programma, sono i GRAND MAGUS a presentarsi sul palco: il trio svedese da sempre mescola un heavy piuttosto tradizionale con sonorità che vanno dallo stoner al doom e con epicità e tematiche tipicamente nordiche. L’affiatamento tra i due membri storici, il cantante/chitarrista JB Christoffersson ed il bassista Fox Skinner, è collaudato, ed entrambi sono personaggi carismatici che sanno tenere la scena con energia e determinazione.
L’ingresso avviene sulle note di “Jailhouse Rock”, usata come intro nella versione degli ZZ Top, e l’attacco con un pezzo storico come “I, The Jury” non può che scaldare i presenti: Christoffersson macina riff e dimostra di avere discrete doti vocali anche dal vivo, mentre il suo compare Skinner si muove in modo molto appariscente, formando una sezione ritmica affidabile con il batterista Ludwig Witt. Avere solo tre strumenti può essere un limite dal punto di vista della pienezza del suono, ma i Grand Magus hanno la giusta esperienza per portare a casa il risultato, con pose e attitudine tipicamente vecchia scuola; pezzi anthemici come “Ravens Guide Our Way” o “Hammer Of The North” scatenano entusiasmo e cori e i quaranta minuti di show scorrono piacevoli.
Al termine del loro spettacolo, si spengono le luci e, curiosamente, la musica proposta nella pausa è la colonna sonora di “The Devil In Miss Jones”, film americano del 1973, come per creare un’atmosfera retrò nei tre quarti d’ora di attesa che portano all’entrata in scena della band principale.
Tutt’ad un tratto il silenzio, poi i rumori sinistri e gli scricchiolii che introducono “§1”: salgono sul palco in questa maniera gli OPETH, con il primo pezzo tratto dal loro ultimo lavoro “The Last Will And Testament”. Fin da subito si capisce come i suoni siano praticamente perfetti, con ogni nota che si percepisce in modo distinguibile e pulito, mentre i visual contribuiscono a creare quel fascino vintage ed allo stesso tempo oscuro che permea tutto il disco.
Mikael Åkerfeldt è chiaramente in forma, il suo growling è ancora feroce come un tempo, mentre con la voce pulita riesce ad essere versatile ed espressivo, ma è soprattutto l’intesa con l’altro chitarrista Fredrik Åkesson ad essere cresciuta, in un alternanza di riff ed assoli che lasciano sbalorditi.
Il locale nel frattempo si è riempito al massimo della capienza, e si prosegue con un’accoppiata di canzoni che arrivano dai primi anni ’00, “The Leper Affinity” e “Master’s Apprentices”, e questa volta a risultare degno di nota è il lavoro di Joakim Svalberg, un tastierista con un passato squisitamente metal che, negli anni, ha saputo far sue pulsioni prog che non erano in principio non erano nel suo bagaglio, tanto che il suo contributo diventa tangibile sia nei vecchi sia nei nuovi brani. Tra questi ultimi molto forte è l’impatto di “§3” e “§7”, un groviglio di suoni infernali che ben si accompagnano con i video proiettati sugli schermi.
Dopo una prima parte senza interruzioni, la prima sosta è per presentare il nuovo batterista Waltteri Vayrynen (ex Paradise Lost e Bodom After Midnight), di gran lunga il più giovane del gruppo ed idolo di casa in quanto nato e cresciuto ad Helsinki, tributato da un lungo applauso; un tecnico fa notare alla band un errore nella scaletta e ne nasce un lungo siparietto in cui si parla di hockey, curling e scacchi, con Åkerfeldt che non perde occasione per farsi apprezzare con la sue pungenti freddure.
Si riprende e la vivace “Häxprocess” è una sorpresa, al contrario della pallida e struggente “In My Time Of Need” e di una “Ghost Of Perdition” cantata all’unisono dai presenti, ma il momento atteso da tutti arriva quando il cantante annuncia “un brano oscuro che ho scritto quando avevo ventidue anni“: era dal 2009 che gli Opeth non suonavano “The Night And The Silent Water”, uno degli apici di “Morningrise” e non deve essere semplice riproporre un capolavoro del genere a distanza di anni, perché il rischio è quello di non cogliere lo spirito originale: eppure gli intrecci di chitarre, gli attimi di quiete, le esplosioni improvvise rimangono inconfondibili, mentre l’aggiunta delle tastiere appare la logica conseguenza di un adattamento al suono attuale.
Altra interruzione, con un ragazzo che, dalle prime file, fa pervenire a Mikael un bigliettino in cui pubblicizza il suo gruppo, dando il via questa volta ad una lunga dissertazione sugli Wigwam (gruppo finlandese di rock progressivo) e sulla musica finlandese in generale, ed il primo set giunge infine alla conclusione con “A Story Never Told”, la malinconica ballata che chiude “The Last Will And Testament”. Pochi minuti e gli svedesi rientrano sul palco, proponendo come encore “Sorceress” e “Deliverance”, in un finale piuttosto scontato poiché identico a quello del tour precedente – probabilmente l’unico piccolo appunto della serata.
Un po’ tutti, critica e fan, sono stati concordi nell’affermare che, con l’ultimo album, gli Opeth hanno ritrovato quella convinzione che non sembrava essere così piena da un po’ di tempo a questa parte, e la prima tappa di questo tour europeo non fa altro che rafforzare questa impressione: Åkerfeldt e compagnia hanno in qualche modo riscoperto il gusto di suonare metal, e ciò si sente nei nuovi pezzi ma anche nel modo in cui ripropongono quelli vecchi, trovando un equilibrio ideale con la passione per il prog più puro maturata negli ultimi anni.
A questo punto non ci resta che sperare in qualche data italiana, al momento non ancora annunciata.
Setlist Opeth:
§1
Master’s Apprentices
The Leper Affinity
§7
Häxprocess
In My Time Of Need
The Night And The Silent Water
§3
Ghost Of Perdition
A Story Never Told
Sorceress
Deliverance