06/10/2025 - OPETH + PAATOS @ Alcatraz - Milano

Pubblicato il 10/10/2025 da

Report di Carlo Paleari
Foto di Pamela Mastrototaro

Il ritorno discografico degli Opeth con “The Last Will And Testament” è stato accolto con grande entusiasmo dal pubblico della band svedese, grazie ad un ritrovato equilibrio tra le diverse anime della band ed un inatteso ritorno di sonorità che sembravano essere un lontano ricordo dopo la svolta prog rock di “Heritage”.
Eravamo curiosi di vedere se questo entusiasmo si sarebbe tradotto in una altrettanto nutrita partecipazione alla data prevista all’Alcatraz di Milano e non siamo stati affatto smentiti: accolti da un locale vicino al sold-out, gli Opeth si sono resi protagonisti di uno show eccellente, perfetto – come sempre – da un punto di vista formale, ma soprattutto molto intenso nella sua capacità di evocare atmosfere uniche.
Lo stesso Mikael Åkerfeldt, noto per essere un frontman che chiacchiera spesso con il pubblico, ci è parso particolarmente coinvolto dall’audience milanese, e si è speso molto in ringraziamenti, raccontando aneddoti sul passato remoto della band e condividendo ancora una volta la sua passione per la grande scuola del progressive rock italiano. Senza ulteriori indugi, quindi, vi lasciamo al nostro racconto della serata.

Il compito di aprire la serata è affidato ai PAATOS, formazione svedese con un background lontano dal metal, ma che è riuscita a convincere tutti i presenti grazie ad un prog rock che strizza l’occhio al trip-hop di Portishead e Massive Attack. D’altra parte, non parliamo di una band alle prime armi, ma di una realtà con più di venticinque anni di storia, che sa muoversi con sicurezza, anche proponendo musica non necessariamente facile da assimilare, soprattutto se al primo ascolto.
Il tempo a loro disposizione – una cinquantina di minuti – è consono al loro status e i Paatos lo sfruttano al meglio per un excursus sulla loro carriera, con un’ovvia predilezione per il loro più recente album in studio, “Ligament”, ma arrivando a toccare anche gli esordi con “Tèa”, una canzone dedicata alla figlia della cantante Petronella Nettermalm e composta, almeno nel testo, la sera stessa della sua nascita.
L’acustica dell’Alcatraz non è sempre ideale per una proposta di questo tipo e qualcosa purtroppo si perde nella trama musicale, con basso e batteria che finiscono per emergere in maniera netta sul resto degli strumenti. Quello che si perde in sfumature, però, viene compensato dalla musicalità della band, capace di dare comunque valore alla voce di Petronella e agli strati di tastiere e sintetizzatori che lavorano di cesello, laddove invece la chitarra fornisce massa e robustezza.
Nel complesso, comunque, un’ottima esibizione che ci lascia il desiderio di rivederli in un contesto dedicato tutto a loro.

È proprio il primo paragrafo di “The Last Will And Testament” a dare il via al concerto degli OPETH, che si presenta al meglio anche visivamente. Dietro la band, infatti, una serie di ledwall proiettano immagini che accompagnano la narrazione della musica. Quadri, antichi ritratti, forme inquietati e squarci di luce si animano seguendo le trame complesse disegnate dai musicisti.
Dopo una tesa “Master’s Apprentice”, ci addentriamo nei meandri di “Blackwater Park” con “The Leper Affinity” e il pubblico dell’Alcatraz esplode in un’ovazione di pura estasi.
Åkerfeldt canta e suona con una naturalezza impressionante, ben supportato da due colonne portanti come Martín Méndez e Fredrik Åkesson. Joakim Svalberg da parte sua aggiunge classe ed eleganza alle tastiere, mentre l’ultimo acquisto, il batterista Waltteri Väyrynen, ci colpisce ancora una volta per la facilità con cui sembra affrontare partiture tutt’altro che semplici, permettendosi anche di roteare la folta chioma tra un blastbeat e l’altro.
“§7” torna alla stretta attualità ed è l’occasione per Mikael di sfoderare uno dei suoi celebri siparietti: nel ribadire l’autenticità degli Opeth come live band, rivendicando la scelta di non usare nemmeno il click – la traccia audio che permette di mantenere un tempo specifico – il frontman scherza sul fatto che le parti recitate da Ian Anderson, il leader dei Jethro Tull ospite dell’ultimo disco, potrebbero risultare leggermente fuori tempo, a seconda della performance della serata. “Ma non è Ian ad essere fuori tempo”, chiosa, “siamo noi”. Sappiamo bene, però, che si tratta di facezie, perché gli Opeth suonano ad un livello di precisione mostruosa, che si tratti di composizioni di pura scuola prog rock, come “The Devil’s Orchard”, oppure di delicati momenti di intima bellezza, come in “To Rid The Disease”, recuperata in questo tour dopo diversi anni di assenza.

Il momento più nostalgico della serata, però, arriva con la meravigliosa “The Night And The Silent Water”, da quel capolavoro di “Morningrise”, che diventa l’occasione per Åkerfeldt di ricordare il primo tour della band passato per l’Italia, in compagnia dei Cradle Of Filth.
Il finale, affidato alla sempre devastante “Ghost Of Perdition”, porta con sé un altro divertente aneddoto, che coinvolge il leggendario Gene Hoglan. Durante il tour negli Stati Uniti che portò alla separazione della band con Martin Lopez, infatti, gli Opeth si trovarono di punto in bianco senza un batterista a poche ore di distanza da una data già programmata. Fu proprio il gigantesco Hoglan a salvare la situazione, prestandosi come sostituto e imparando l’intera scaletta a tempo di record, facendo pratica su dei cuscini nel tour bus durante il viaggio verso la venue (!).
Sebbene la serata abbia segnato fino a questo punto solo dieci canzoni, non manca poi molto al raggiungimento delle due ore di concerto, un traguardo che viene abbondantemente superato grazie all’esecuzione di “Deliverance”, che è diventata da tempo uno dei punti fermi della scaletta e che si abbatte come un macigno sulla platea, suggellando l’ennesimo trionfo per gli svedesi.
Certo, con del materiale così corposo a disposizione, c’è sempre spazio per qualche piccolo rimpianto: ad esempio, ci sarebbe piaciuto sentire qualcosa anche da “Still Life”, ma è evidente ormai come gli Opeth abbiano trovato la loro dimensione ideale, continuando ad esplorare orizzonti sonori sempre più complessi, pur senza dimenticare di dare il giusto valore ad un percorso che ha saputo segnare un solco indelebile fin dai primi passi. Una serata da incorniciare.

Setlist Opeth:
§1
Master’s Apprentices
The Leper Affinity
§7
The Devil’s Orchard
To Rid the Disease
The Night and the Silent Water
§3
Heir Apparent
Ghost of Perdition
Deliverance

 

PAATOS

OPETH

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