Report di Alessandro Elli
Gli Opeth sono uno degli ultimi gruppi ad essersi esibiti a Milano prima che la pandemia fermasse tutto, a novembre del 2019; tre anni dopo li ritroviamo in giro con lo stesso tour, dedicato al loro ultimo album, “In Cauda Venenum”, ed addirittura con la stessa band di supporto – eppure sembra che da allora sia passato un secolo.
Un concerto degli svedesi è sempre un’occasione speciale e lo è ancora di più se la cornice è fuori dal comune: la sede dello show di stasera, infatti, è il teatro degli Arcimboldi di Milano, arena moderna poiché di recente costruzione ma comunque luogo affascinante in cui assistere ad un’esibizione di musica metal. Il pubblico è accorso numeroso, tra chi aveva acquistato il biglietto per la data originaria più volte rimandata e chi si è aggiunto all’ultimo minuto, e, nonostante molti fossero scettici sull’opportunità di uno spettacolo da seduti, tutto è andato per il verso giusto: Mikael Åkerfeldt e soci, visibilmente galvanizzati dal contesto, non si sono risparmiati ed hanno dato fondo a tutte le loro energie, in una scaletta che, liberi dalla pressione di un album da promuovere (il tour è sempre quello dell”ultimo’ lavoro, anche se questo ha ormai tre anni di vita), gli svedesi hanno riempito la setlist di classici del loro repertorio. Ad accompagnarli, come già accennato, ancora una volta i The Vintage Caravan, esattamente a formare lo stesso bill della loro ultima calata italiana.
THE VINTAGE CARAVAN
I The Vintage Caravan sono in tour con gli Opeth ormai da tre anni e, nonostante ciò, ad ogni loro concerto il commento più comune è: “Come sono giovani questi ragazzi!”. In effetti i tre sono ancora in verde età ma giova ricordare che la band di Reykjavík, avendo cominciato a suonare molto presto, è in giro dal 2006 ed ha all’attivo ben cinque album, di cui l’ultimo, “Monuments”, uscito lo scorso anno. A differenza del gruppo principe della serata, quindi, gli islandesi hanno dei pezzi nuovi da proporre rispetto alla precedente esibizione nel capoluogo lombardo, e lo fanno subito con la doppietta iniziale composta da “Whispers” e “Crystallized”. Il loro è un hard rock che pesca a piene mani dagli anni ’70 di gruppi quali i Cream, sporcato con venature blues e qualche asprezza tra stoner e heavy psych; è evidente come tutto sia retrò nella loro proposta, e che i The Vintage Caravan si distinguano dalla massa di band dello stesso genere principalmente per la bontà delle loro canzoni e – ne siamo testimoni questa sera – per la verve e la potenza dei loro show. Il loro approccio live, infatti, è quello classico di molti power trio, diretto e senza troppi fronzoli; magari qualcosa si perde rispetto alla loro versione in studio, ma sicuramente è ciò che ci si aspetta da chi suona questo genere, cioè chitarre roboanti, ritmiche incalzanti e buone melodie. A colpire sono soprattutto brani come le ottime “Reflections” e “Innerverse”, in cui il lavoro della sei corde è rimarchevole non solo per i riff infuocati ma anche per i delicati arpeggi, ma in generale non si vedono cedimenti per tutti i tre quarti d’ora a loro disposizione. Un ottimo antipasto in attesa del piatto principale.
OPETH
Sono esattamente le 21 quando gli Opeth si presentano sul palco: accanto al leader Mikael Åkerfeldt, allo storico bassista Martín Méndez e agli ormai consolidati Fredrik Åkesson alla chitarra e Joakim Svalberg alle tastiere, a completare la formazione c’è questa sera il nuovo entrato Waltteri Väyrynen (ex Paradise Lost, ex Bloodbath tra gli altri), batterista già affermato anche se ancora giovane, tanto che lo stesso Åkerfeldt presenterà la band con un sarcastico: “Siamo quattro signori di mezza età ed un giovanotto che cercano di suonare rock“. Sulle note di “Seven Bowls” degli Aphrodite’s Child, i cinque svedesi entrano in scena, vestiti in modo impeccabile forse per onorare la location, e danno fuoco alle polveri nel miglior modo possibile, ossia con “Demon Of The Fall”, uno dei pezzi più amati della loro discografia e sulle cui prime note un teatro gremito esplode in un boato. Si osserva subito l’ottima qualità dell’impianto luci e, nonostante tutti siano seduti, l’adrenalina scorre ma, purtroppo, questo sarà anche l’unico brano funestato da un pessimo audio, con suoni impastati e confusi. Già dalla successiva “Ghost Of Perdition”, infatti, il problema rientra e non ci saranno più inconvenienti per tutta la serata; anche questo pezzo, seppur più recente, è da tempo fisso nella scaletta, e la versione live, le acrobazie vocali e strumentali che la contraddistinguono, risultano essere veramente avvincente, con il growl di Mikael in gran spolvero. E’ il momento del primo ed unico estratto da “In Cauda Venenum”: “Hjärtat Vet Vad Handen Gör” viene riproposta con un approccio vigoroso che non aveva su disco e ne guadagna in intensità e compattezza. Dopo il primo siparietto del cantante – capace di spaziare da aneddoti sul primo tour italiano degli Opeth nel 1996, di spalla ai Cradle Of Filth, fino alla presunta superiorità della pizza svedese su quella di casa nostra – ecco “The Leper Affinity”, in cui la sproporzione tra il furioso attacco ed il malinconico finale crea un effetto drammatico che non può lasciare indifferenti. “Reverie/Harlequin Forest” e soprattutto “Nepenthe” con le sue parti jazzate, mettono in mostra doti inaspettate da parte di quelli che spesso sono considerati comprimari: Åkesson si rivela un ottimo chitarrista anche quando non si deve andare a mille, con un tocco personale e delicato che in altri contesti è difficile riconoscergli; Méndez lo conosciamo da sempre e sappiamo quanto sia importante il suo basso nell’economia di questo suono; a Svalberg va riconosciuta un’incredibile capacità di essere un costante tappeto sonoro con le sue tastiere, ma di saper anche impreziosire i brani con cori e seconde voci; il nuovo arrivato Väyrynen è la vera sorpresa della serata, e dimostra di saperci fare anche quando l’atmosfera si fa più intima e raccolta. A seguire, l’oscura “Hope Leaves”, brano emozionante, eseguito con una pulizia sonora che ne esalta la freddezza e rappresenta uno dei vertici dello spettacolo in quanto ad intensità, e più o meno lo stesso si può dire di “The Devil’s Orchard”, con la quale rimaniamo in territori prog anni ’70, in un brano pieno di dettagli che su disco era difficile notare e che qui risultano molto più nitidi. “The Lotus Eater” viene annunciato come “l’ultimo pezzo in scaletta oggi ed il primo pezzo con dei blast-beat probabilmente suonato in questo teatro” ed in effetti si tratta di una sfuriata violentissima interpretata con precisione chirurgica; ciò non sorprende, in quanto gli svedesi non hanno mai avuto una formazione con un background così metal come in questo momento, quindi non ci può essere alcun dubbio sulla resa di pezzi di questo tipo. Ovviamente, il concerto non è finito e, dopo una breve pausa, i cinque si ripresentano sul palco proponendo “Sorceress”, uno degli episodi più diretti della seconda parte di carriera del gruppo di Stoccolma, con un riff decisamente heavy ed una struttura mutevole ed articolata. A questo punto altro siparietto, con Mikael che chiede: “Cosa volete sentire ora?” e, di fronte alle molteplici richieste, partono accenni di “Face Of Melinda”, “Harvest” e “Bleak” che, a dirla tutta, sarebbe stato meglio ascoltare per intero. Il vero finale è affidato, invece, a “Deliverance”, tredici minuti di delirio sonoro a degna conclusione di una grande serata.
Tirando le somme, gli Opeth svogliati e sottotono che, purtroppo, abbiamo osservato negli ultimi tempi hanno finalmente lasciato il posto ad una band aggressiva e sul pezzo, magari galvanizzata dalla location oppure dalla vitalità portata in dote dal nuovo batterista. Una scaletta senza grandi sorprese ma con molti tra i pezzi migliori della loro discografia ha, se ce n’era bisogno, evidenziato come gli scandinavi nella loro lunga carriera non abbiano mai copiato se stessi; peccato solo abbiano proposto praticamente niente dai primissimi dischi, ma su ciò dovremmo esserci ormai definitivamente rassegnati.
Setlist:
Demon Of The Fall
Ghost Of Perdition
Hjärtat Vet Vad Handen Gör
The Leper Affinity
Reverie/Harlequin Forest
Nepenthe
Hope Leaves
The Devil’s Orchard
The Lotus Eater
Sorceress
Deliverance