Report a cura di Marco Gallarati
Situazione non certo ottimale, quella odierna, per andare a vedere gli Orphaned Land di passaggio nel Nord Italia, dopo la data al Traffic di Roma, in pieno e lunghissimo tour promozionale della loro ultima fatica discografica, il solo discreto “All Is One”: giorno infrasettimanale; tempo davvero da lupi, con acquazzoni di pioggia violenti e visibilità ridotta fin dalla prima mattina su tutta la Pianura Padana; e venue non esattamente comoda e centrale, sebbene la Rock N’ Roll Arena di Romagnano Sesia sia un locale più che adatto per ospitare concerti metal, con un’acustica validissima e tutte le cose che servono al proprio posto. E quindi, dopo un viaggio piuttosto avventuroso e lugubre ed una veloce cenetta in una pizzeria appena fuori dal paese, eccoci pronti a raccontarvi le peripezie di un evento che riserverà all’audience spettacoli più che dignitosi e tanto divertimento; audience che però – dispiace davvero tanto dirlo – è stata drasticamente ridotta all’osso e limitata a forse un centinaio di persone, addetti ai lavori compresi. Triste colpo d’occhio, dunque, per tutte le formazioni impegnate, che comunque non hanno esitato ad impegnarsi al massimo per rallegrare non poco i pochi esseri presenti! Detto dell’imprevista assenza dei palestinesi Khalas, assolutamente non pervenuti, entriamo nell’Arena quando i francesi The Mars Chronicles hanno da poco concluso il loro set e sul palco si stanno già insediando i volitivi Matricide…
MATRICIDE
Ci sono tante band al mondo che si chiamano Matricide, ma i protagonisti del secondo slot della serata sono quelli israeliani, nati nel 2003, con all’attivo una coppia di EP e ancora senza nessun contratto di pubblicazione in saccoccia. Evidente come la scelta caduta su di loro sia tutto merito degli Orphaned Land, anche perché Matan Shmuely, batterista della Terra Orfana, è proprio un ex-membro dei Matricide. E infatti, tra il pochissimo pubblico presente, non è difficile scorgere in prima linea proprio i vari Chen Balbus, Matan Shmuely e Uri Zelcha, presenti per dare supporto numerico ai loro compagni di tour. I ragazzi capitanati dallo scatenato frontman Ran Eliyahu – lo vedremo protagonista in seguito di scenette mica da ridere! – propongono un metal-core piuttosto sui generis, con puntate nel thrash, nel groove metal e qualche azzardo vagamente più tecnico, sulla scia ad esempio di Meshuggah molto stilizzati e semplificati; non assente anche qualche linea vocale più melodica della media. L’impegno e la grinta sono davvero encomiabili e, con bei suoni già potenti ed una professionale serie di filmati alle spalle, i Matricide fanno trascorrere una mezzoretta simpatica all’audience, che applaude non solo per ‘compassione’ ma anche per reale compiacimento. Nulla di tanto promettente all’orizzonte, ma almeno una discreta live-band come cento altre.
KLONE
Tempo di spulciare tra le bancarelle di CD e i banchetti con il merchandise ufficiale delle band, ed ecco che il cambio palco è bello servito! Salgono on stage i francesi Klone, band trasversale – almeno per quanto riguarda il genere suonato – che ha ben sfruttato nel tempo l’interesse della Season Of Mist e la contemporanea mini-esplosione dei conterranei Gojira, Dagoba e Hacride. Soprattutto del progressive groove metal, in parte atmosferico, di questi ultimi, i Klone si possono dire quasi epigoni, aggiungendoci poi svariati rimandi ad un grunge rivisto in chiave nuovo millennio e l’onnipresente influenza dei Tool. A chi li ascoltasse oggigiorno probabilmente verrebbe in mente anche qualche collegamento alla corrente djent. Ma, tralasciando questi dettagli, ciò che importa riportare ora è l’incredibile impatto avuto dai ragazzi di Poitiers sullo striminzito parterre della Rock N’ Roll Arena! Suoni a tuono fin da subito, una presenza scenica particolare e ammaliante, organica e ben coordinata, con i flessuosi ondeggiamenti del vocalist Yann Ligner ad attrarre inevitabilmente l’attenzione. E poi i brani eseguiti: affascinanti e trascinanti, con linee vocali non innovative ma di certo considerabili quale uno dei punti di forza dei Nostri, un tiro, un groove ed un dinamismo assolutamente meritevoli di menzione. E’ vero che probabilmente, con i Klone, ci si trova proprio al limite estremo di dove il metal esce dai binari e diventa qualcos’altro, ma l’attitudine al live dei ragazzi è aggressiva e movimentata e tutto sommato i suoni scaturiti dagli strumenti sono comunque densi, pastosi e pesanti. Ligner è in possesso di una voce incredibile, in grado di fornire degli scream-vicini-al-pulito veramente encomiabili! La prestazione dei cinque francesi è durata quaranta minuti, compresa la conclusiva ed esplosiva cover di “Army Of Me” di Bjork, ma saremmo andati avanti a gustarceli almeno per un’altra ventina! Sorprendenti e completamente padroni del proprio sound e del proprio liveset, i Klone si sono rivelati una sorpresa più che ottima dal vivo!
ORPHANED LAND
Dopo la prestazione roboante dei Klone ed un lotto di support-act che probabilmente mal si sposa stilisticamente con gli Orphaned Land – ma qui ci si può mettere anche un bel chissenefrega, ovviamente – per il quintetto israeliano è piuttosto dura andare oltre, considerando anche la pesante assenza di Yossi Sassi in questa prima metà di tour. Il chitarrista ha un carisma e un approccio al palco talmente personali che la sua mancanza risulta un vuoto difficilmente colmabile, nonostante gli sforzi di Chen Balbus alla chitarra solista e sebbene il sostituto di Yossi, Idan Amsalem, si dimostri presto un asso alla sei-corde e anche al bouzouki, la versione greca del mandolino. Per Idan lo show di Romagnano Sesia è l’ultimo del tour, quindi viene rapidamente eletto a protagonista/vittima della serata, in modo da ringraziarlo per l’ottimo lavoro svolto. Durante “Sapari”, ad esempio, che non ha presentato nessuna cantante femminile ma solo basi registrate, sono saliti on stage tutti i membri di The Mars Chronicles, Matricide e Klone prima circondando e truccando il malcapitato Idan e poi dandosi a feste e pazze gioie sul palco, danzando come invasati, e soprattutto ubriachi, sulle note orgiastiche del brano. Si sa, i concerti della Terra Orfana sono composti da momenti dai più svariati tenori emotivi: si passa dall’introspezione di “Brother” alla (relativa) ferocia di “Barakah”, dalla drammaticità di “Children” all’esaltazione dell’incredibile “Olat Ha’tamid”, fino ad arrivare al massimo coinvolgimento del pubblico durante canzoni quali “The Kiss Of Babylon”, “Norra El Norra” e “In Thy Never Ending Way”. Alla band piace alternare queste variazioni d’umore, ma bisogna dire che l’impatto live dei brani meno introspettivi è certamente più soddisfacente e adatto al contesto dal vivo. Dopo “Ocean Land”, uno dei picchi della setlist, i Nostri si rifugiano in camerino per un paio di minuti, lasciando spazio a Matan Shmuely per un piuttosto inutile assolo alla batteria, seguito però da una stupenda versione semi-acustica di “El Meod Na’ala”, introdotta dalla succitata performance solista di Idan al bouzouki, osservato dai suoi compiaciuti compagni seduti attorno al drumkit; per “El Meod Na’ala” sale sul palco anche uno dei chitarristi dei Matricide, a dar manforte. Il tempo tiranno fa probabilmente saltare l’esecuzione della magica “The Beloved’s Cry”, quindi il bis prende forma soltanto grazie alle proposizioni dell’ovvia “Norra El Norra” e del solito outro collettivo e festeggiante rappresentato dalla short version di “Ornaments Of Gold”, durante la quale di nuovo tutti i membri dei gruppi del tour si presentano on stage per il gran finale. Il pubblico ondeggia le braccia a ritmo e torna a casa più che soddisfatto, conscio probabilmente di non aver assistito al miglior show possibile degli Orphaned Land ma di certo appagante! E questa volta Kobi Farhi non ha neanche detto di non essere Gesù Cristo…
Setlist:
Through Fire And Water
All Is One
Barakah
The Kiss Of Babylon
The Simple Man
Brother
Birth Of The Three
Olat Ha’tamid
Let The Truce Be Known
Sapari
Children
Ocean Land
Drum solo
El Meod Na’ala
In Thy Never Ending Way
Encore:
Norra El Norra
Ornaments Of Gold