Report a cura di Carlo Paleari
Fotografie di Fabry C.
Non è certamente una serata da grandi numeri quella che vede gli Orphaned Land tornare in Italia per la data lombarda del tour di supporto ad “Unsung Prophets & Dead Messiahs”. Certo, la posizione non esattamente centrale del Dagda Live Club per una lunga serata di musica a metà settimana non avrà aiutato gli avventori più incerti, ma resta il fatto che il manipolo di presenti ha potuto godere di quattro grandi performance. Oltre ai già citati Orphaned Land, tornati a splendere grazie ad un lavoro di fattura eccezionale, troviamo i nostrani Lunarsea, pronti a radere al suolo il locale con il loro death metal melodico; gli israeliani Subterranean Masquerade, formazione spettacolare che ci ha letteralmente rapiti con il loro album “Vagabond”; e i danesi Road To Jerusalem, progetto nato dall’unione di alcuni musicisti della scena estrema scandinava, che si cimentano in un interessante hard rock settantiano dalle tinte esoteriche. Quattro band molto diverse tra loro eppure coerenti in una serata che, attraverso la musica, veicola un messaggio di unità che trascende le frontiere e le culture.
ROAD TO JERUSALEM
Il quartetto proveniente dalla Danimarca, purtroppo, è quello che si trova a suonare nelle condizioni peggiori. Sono passati pochi minuti dall’apertura delle porte e sono solo le 20.00 quando i musicisti salgono sul palco del Dagda Live, trovandosi davanti un pubblico composto da due persone. Due. O meglio, nel locale ci saranno una quindicina di persone in tutto, ma essendo appena entrati, sono ancora tutte intente ad ordinare una birra o a girellare nel locale nell’area del merchandising. I Road To Jerusalem, però, sebbene un po’ straniti dalla situazione, non si lasciano abbattere ed iniziano a sciorinare i pezzi del loro album di debutto. Dispiace che questi ragazzi non abbiano potuto godere di un pubblico più nutrito, perché la loro proposta è assolutamente degna di nota: un hard rock fortemente influenzato dagli Zeppelin, non così immediato, forse, ma certamente intelligente e affascinante. Nella mezz’ora a loro disposizione, i Road To Jerusalem hanno la possibilità di suonare il loro album di debutto quasi per intero, escludendone un solo pezzo. Gli highlight del loro show, a nostro parere, sono state l’iniziale “Andromeda’s Suffering”, la poderosa “Village” e la conclusiva “Poison Ivy”, melliflua e calda, dalle tinte blues. Ottima prestazione da parte di tutti i musicisti, con il cantante Josh Tyree a sfoggiare una voce potente e particolare. In sede live, dunque, questi ragazzi rafforzano le buone impressioni avute durante l’ascolto del disco e si confermano una realtà da tenere d’occhio. Ottimo inizio!
Setlist
Andromeda’s Suffering
Ragtime Woman
Under Your Skin
Widowmaker
Them
Jack O’ Diamonds
Village
Poison Ivy
SUBTERRANEAN MASQUERADE
Chi vi scrive segue da tempo la proposta dei Subterranean Masquerade, band dotata di talento immenso che non vedevamo l’ora di poter ascoltare anche dal vivo. La curiosità è tanta, soprattutto nel cercare di capire come avrebbero retto i complessi arrangiamenti del gruppo in una situazione non certo ideale. Posti addirittura come terza band in cartellone, i sette musicisti si trovano a suonare in uno spazio vitale ridotto all’osso: il palco del Dagda, che già ospita la batteria degli Orphaned Land, lascia infatti poco agio a questa formazione allargata (due chitarre, basso, batteria, tastiere e due cantanti). Altra incognita, per chi conosce il gruppo, è data dall’assenza del cantante Kjetil Nordhus, uno dei tratti distintivi della band, sostituito per l’occasione dall’israeliano Davidavi Dolev. Bene, sono sufficienti le prime note dell’iniziale “Early Morning Mantra” per spazzare via ogni dubbio: i Subterranean Masquerade dal vivo sono un ciclone inarrestabile. Tutti i musicisti saltano e incitano il pubblico senza sosta; il leader e chitarrista Tomer Pink riversa un’energia pazzesca nella sua chitarra e il nuovo frontman si rivela un vero e proprio animale da palco. Carismatico, dotato di un’ottima voce e di una eccezionale presenza scenica, salta, balla, si dimena, sale e scende dal palco, si arrampica perfino sulle alte casse laterali venendo redarguito dai responsabili del locale preoccupati per la sua sicurezza. Solo sei canzoni, per poco più di mezz’ora di durata, ma il responso è unanime. Il pubblico, ancora piuttosto scarso, dopo l’iniziale freddezza verso una band poco conosciuta, viene coinvolto sempre di più e la band lascia il palco tra gli applausi. Anche dal punto di vista degli arrangiamenti, se la componente più ricercata ed etnica viene necessariamente penalizzata da questioni tecniche, l’impatto e l’energia profusa compensano completamente le poche mancanze. Assolutamente eccezionale la conclusione affidata ad “Hymn Of The Vagabond”, che pone il sigillo su una performance degna di quella degli headliner.
Setlist
Early Morning Mantra
Reliving The Feeling
Home
Nomad
As You Are
Hymn Of The Vagabond
LUNARSEA
I romani Lunarsea sono forse la band più lontana dall’atmosfera generale della serata. Laddove le altre band rivolgono lo sguardo ad est, la band italiana guarda invece verso nord, patria del death metal melodico. Poco importa, comunque, perché ciò che conta è la possibilità di ascoltare buona musica e i Lunarsea di buona musica ne hanno! Felici di potersi esibire nella loro Italia dopo aver accompagnato gli Orphaned Land e i Subterranean Masquerade in una parte di questo tour europeo, i cinque ragazzi si buttano anima e corpo nello show, partendo con un’accoppiata dal loro ultimo album, la strumentale “Phostumous” e la tellurica “3 Pieces Of Mosaic”. Anche i Lunarsea incitano in continuazione il pubblico, ricevendo una buona risposta da parte dei presenti che si stanno godendo la serata. Il death metal melodico del gruppo è sicuramente la proposta più estrema della serata e i ragazzi se ne avvantaggiano giocando la carta dell’immediatezza grazie ai riff di chitarra efficaci, la fragorosa sezione ritmica e il dialogo tra il ringhio ferino di Alessandro Iacobelis e le clean vocals del bassista Cristian Antolini. I Lunarsea oggi non hanno un nuovo album da promuovere, quindi a farla da padrone nella scaletta è il loro secondo lavoro “Route Code Selector”, di cui ricorre quest’anno il decimo anniversario. Ben cinque brani, sugli otto proposti, vengono estrapolati da questo disco che regge benissimo la prova del tempo e convince oggi quanto al momento della sua pubblicazione. Divertente il momento di ‘invasione di campo’ dei Subterranean Masquerade, che salgono sul palco a cantare e abbracciare i loro compagni di tour, ricambiando i Lunarsea che avevano fatto la stessa cosa poco prima durante lo show degli israeliani. Una bella fotografia della vita on the road tra band molto diverse che condividono la strada come una grande famiglia. Siamo al terzo concerto e la serata finora ha regalato solo soddisfazioni. Ora tocca agli Orphaned Land!
Setlist
Phostumous
3 Pieces Of Mosaic
Metamorphine
Five-Sided Platform Shape
In A Firmness Loop Day
Magnitude 9.6
The Apostate
As Seaweed
ORPHANED LAND
L’ora inizia a farsi tarda, ma manca ancora il piatto forte della serata e il pubblico è ancora carico e pronto a godersi le melodie orientali degli Orphaned Land. La band di Kobi Farhi sale sul palco e attacca subito con “The Cave”, opener dell’ultimo, fortunato “Unsung Prophets & Dead Messiahs”. I cinque musicisti appaiono carichi e la resa dei pezzi è assolutamente ottima, nonostante qualche problema di bilanciamento dei suoni, soprattutto per quanto riguarda la voce. Molto spazio viene concesso ovviamente al nuovo album e, vista la qualità generale delle composizioni più recenti, il risultato finale non può che essere ottimo. Allo stesso tempo, però, gli Orphaned Land hanno la possibilità di spaziare lungo tutta la loro carriera, tributando il giusto onore a quel capolavoro che risponde al nome di “Mabool”, senza dimenticare “The Never Ending Way Of ORwarriOR”. Leggermente penalizzato (e, ci permettiamo di dire, a ragione) “All Is One”, da cui vengono estratte solo la titletrack e “Let The Truce Be Known”. La band dal vivo si spoglia un po’ delle orchestrazioni più maestose, come è ovvio, dando corpo e sostanza al lato più metallico e aggressivo, mentre Kobi Farhi ammalia con la sua voce e la sua presenza scenica carismatica. Fondamentale, naturalmente, la componente etnica del loro sound, che si esprime soprattutto nei pezzi in lingua ebraica, dove le melodie mediorientali sono più evidenti, come “Sapari” o la nuova “Yedidi”, che di nuovo ha ben poco trattandosi di un pezzo tradizionale con più di ottocento anni di storia! Il pubblico apprezza e si lascia trasportare dal messaggio di fratellanza e unità veicolato da Kobi e il resto dei musicisti. D’altra parte coloro che si sono messi in macchina per raggiungere il locale nel Pavese l’hanno fatto in primo luogo per loro e l’affetto tributato è palpabile. La scaletta è ben bilanciata e il gruppo ha ormai alle spalle una discografia piena di gemme che sanno essere graffianti o delicate, dosando le emozioni e gli umori per dare al pubblico un’esperienza simile a quella di un viaggio tra paesaggi mozzafiato e, allo stesso tempo, storie di vita terribili e drammatiche. La serata volge al termine e rimangono solo due brani prima di spegnere le luci sul palco del Dagda: una splendida versione di “The Beloved’s Cry” cantata da Kobi con il solo accompagnamento di una chitarra e la sempre splendida “Norra El Norra (Entering The Ark)”. Al pubblico non resta che applaudire con trasporto e salutare l’ennesima eccellente performance degli Orphaned Land nel nostro Paese. Una serata riuscita, quindi, nonostante la presenza davvero scarsa a livello di pubblico, che ha visto avvicendarsi quattro formazioni di valore e quattro proposte musicali diverse ma per certi versi complementari.
Setlist
The Cave
All Is One
The Kiss Of Babylon (The Sins)
Ocean Land (The Revelation)
We Do Not Resist
Let The Truce Be Known
Like Orpheus
Yedidi
Birth Of The Three
Olat Ha’tamid
In Propaganda
All Knowing Eye
Sapari
In Thy Never Ending Way
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The Beloved’s Cry
Norra El Norra (Entering The Ark)