A cura di Marco Gallarati
La recentissima esibizione avvenuta nell’ambito dell’ottimo Evolution Festival, svoltosi lo scorso luglio dalle parti del lago di Garda, aveva messo in mostra, seppur solo per il limitato tempo loro concesso, la sorprendente bravura live degli israeliani Orphaned Land, probabilmente la miglior sorpresa musicale dell’annata 2004 in materia di metal estremo contaminato da sonorità accessibili ed originali (la matrice folk del suono del combo asiatico). Con quella favorevole premessa, quindi, tutto faceva presupporre un grande successo di pubblico per questa seconda calata italica della band…ma così non è stato, purtroppo. Forse a causa del grande affollamento di interessanti appuntamenti live di queste ultime settimane, forse per colpa di una popolarità non ancora allargata alle grandi fasce dell’heavy metal a tutto tondo, il Transilvania Live di Milano è risultato pieno solo a metà, quando invece lo spettacolo offerto dai ragazzi israeliani avrebbe meritato, per intensità, simpatia e vigore, la venue gremita ed osannante! Ma non anticipiamo troppo gli eventi e procediamo con ordine… Si entra, ci si mette al riparo dalla pioggia torrenziale ed ecco i Summoner, thrash-death metal band nostrana, iniziare il loro set di supporto…
SUMMONER
Pur se di fronte solo a poche decine di spettatori (forse cento…ma forse), i Summoner hanno il duro compito di scaldare l’audience accorsa, inzuppata dall’acqua – chi più, chi meno – ed ansiosa di ammirare le gesta degli Orphaned Land. Non male davvero come concerto! Il settetto italiano, autore di “Summoner’ Sign” e del full “Winter Solstice”, ha potuto davvero usufruire di ottimi suoni, come la tradizione del Transilvania conferma ampiamente, ed ha deliziato il pubblico con un’abbondante mezz’ora di metal estremo, a cavallo tra Dark Tranquillity, Children Of Bodom, In Flames ed un pizzico di avant-gothic, dovuto soprattutto alla presenza della bravissima Dalia, frontgirl dall’ugola sorprendente e, a parte l’impaccio dei primi minuti, per niente intimidita dalla platea. I ragazzi ci sanno proprio fare, il singer Claudio interpreta bene il suo ruolo e, tra scariche swedish-death in puro stile At The Gates, passaggi più cadenzati debitori del thrash e aperture di tastiera più romantiche e sognanti, i Summoner hanno proposto i loro brani migliori (“Dreamy Lullabies”, “Forever Fellows” fra gli altri) e una irriconoscibile versione, ben rivista comunque, di “The Unforgiven” dei Metallica. Buona la presenza on stage di tutti i componenti e caloroso l’impatto del gruppo sulle prime file. Bravi!
ORPHANED LAND
Il tendone del Transilvania si apre e finalmente gli Orphaned Land sono al cospetto del loro piccolo, ma incitante seguito: l’intro di archi e tastiere di “Mabool”, la title-track dell’omonimo album, e la band che dà le spalle al pubblico sono un bell’inizio di concerto, e quando la song prende piede in tutta la sua maestosità e fierezza, si capisce subito, anche grazie a dei suoni superbi (unico appunto: le parti soliste di Yossi erano un po’ troppo fuse con il resto degli strumenti), che lo show sarà memorabile. Vengon da ripetere le stesse parole e gli stessi concetti utilizzati per descrivere la performance dell’Evolution, ma questa volta è tutto incredibilmente amplificato, tutto esagerato: innanzitutto, la band ha suonato molto di più (più di un’ora e mezza), e quindi ha avuto modo di proporre molti più brani ed anche siparietti solisti divertenti e d’intensa atmosfera; il pubblico, almeno le primissime file (dove stanziava anche il sottoscritto) ha risposto sempre agli incitamenti continui di Kobi Farhi, abilissimo a coinvolgere la gente in cori e cantilene arabe, oppure in semplici “oh” da stadio. Gli Orphaned Land hanno poi il grandissimo pregio di essere positivi sul palco: sempre sorridenti (il chitarrista Yossi Sasi è davvero uno spettacolo di smorfie gaudenti e divertite), sempre impegnati a dare il meglio, sempre precisi tecnicamente ed abilissimi a muoversi sul palco. La coppia Kobi/Yossi, poi, prendendo le dovute distanze da improponibili paragoni, è riuscita timidamente a risvegliare in chi scrive il ricordo dell’atteggiamento di due grandissimi musicisti da palco, ovvero Freddie Mercury e Brian May dei Queen: è bastato ascoltare la commovente “The Beloved’s Cry”, composizione acustica eseguita con Yossi seduto su uno sgabello e Kobi in piedi a cantare al suo fianco, per far rammentare le note di un pezzo immortale quale “Love Of My Life”. Ma il meglio, gli Orphaned Land lo danno durante i pezzi più intricati e metallici, sia che sia tratti delle composizioni più recenti (“The Kiss Of Babylon”, “Birth Of The Three”, “Halo Dies”, “Ocean Land”), sia che ad essere chiamate in causa siano le canzoni del magico “El Norra Alila” (impetuosa l’esecuzione di “Like Fire To Water”, grandiose le varie “Of Temptation Born”, “Find Yourself, Discover God”, “Thee By The Father I Pray”, “El Meod Na’ala”). E poi che dire dell’intermezzo percussivo, con Eden e Matti accovacciati sui loro strumenti a supportare il drumming di Avi Daimond? E che dire della cover di “Mercy” dei Paradise Lost, ormai un classico degli Orphaned Land? E le danze sfrenate scatenate da “Norra El Norra”? Ed infine, quali complimenti fare ancora per l’esecuzione finale di “Nel Blu Dipinto Di Blu”, esattamente come a luglio? Insomma, una band che, incredibilmente, dal vivo rende il triplo di quanto renda su CD…ed è sinceramente pazzesco! Vi lasciamo a sognare la loro prossima calata italica con la frase di Kobi che ha praticamente chiuso le ostilità: “This is the last show of our tour! And it has been the best show ever!”.