A cura di Fabio Galli
Fotografie di Federico Rucco
Il Killfest è ormai diventato un appuntamento obbligato per pubblicizzare l’arrivo di un nuovo album nell’ormai sterminata discografia della band newyorkese. Piuttosto variegata la scelta delle band che accompagnano la Wrecking Crew durante la tranche europea del tour: si passa dal power/prog dei Darkology all’heavy/speed degli svedesi Enforcer, per arrivare al thrash/groove dei concittadini Prong. Varia, come sempre, l’età dei partecipanti all’evento: se nelle fasi iniziali la predominanza di teenager é schiacciante, con il passare del tempo numerosi thrasher dall’età decisamente più avanzata accorrono a serrare i ranghi tra le prime file. Il pubblico purtroppo è arrivato in buon numero solo con la salita sul palco dei Prong, anche per colpa di un tempo avverso che ha causato lunghe code in autostrada. E’ riuscita, dunque, una compagine tanto eterogenea a mettere d’accordo i thrasher più incalliti? A voi il resoconto della serata.
DARKOLOGY
Saliti sul palco in perfetto orario, i Darkology partono in quarta cercando di guadagnare i consensi di qualche decina di kids che affollano – si fa per dire – le prime file: i suoni e la complessità della proposta non hanno giocato a favore della formazione, che almeno nelle battute iniziali ha avuto vita difficile per racimolare qualche applauso. Con il passare del tempo l’affiatamento della band – complice anche un’ottima preparazione tecnica – è andata migliorando e i Darkology hanno tutto sommato sfoderato una prova più che dignitosa, in cui si sono distinti i due fratelli Brian e Michael Harris, rispettivamente batterista e chitarrista del gruppo. Pur dotato di una buona estensione vocale, il cantante Eugent Bushpepa non è riuscito ad infiammare gli animi dei presenti, mostrando più che altro lacune dal punto di vista dell’intrattenimento. Pur senza far gridare al miracolo, dunque, i Darkology hanno sfoderato una prestazione più che soddisfacente, che avrà senza dubbio almeno incuriosito qualche presente ad approfondire la loro discografia.
ENFORCER
Giovani e sicuri di loro, gli Enforcer salgono sul palco e in meno di un minuto convincono tutti i presenti con la loro carica dirompente: spandex, borchie, headbanging e pose sincrone tra i due chitarristi potranno risultare banali e sorpassati al giorno d’oggi, ma davanti ad una prestazione così energica c’è veramente poco di cui lamentarsi. Il biondo cantante/chitarrista Olof Wikstrand è il vero mattatore della serata, con il suo coinvolgente cantato e il suo continuo andirivieni in ogni zona del palco; non da meno il resto della formazione, che si dimostra ben preparata dal punto di vista tecnico oltre che da quello scenico. La cover di “Countess Bathory” cantata dal chitarrista Joseph Tholl viene accolta timidamente dai più, quasi a significare che la band può tranquillamente iniziare a camminare con le proprie gambe dato che la qualità dei loro pezzi inediti non sembra mancare. Complice la presenza di suoni di buon livello, la perfromance degli Enforcer è stata apprezzata dalla totalità dei presenti: una buona mezz’ora di sano heavy metal.
PRONG
Qualche maglietta marchiata Prong in sala preannunciava una buona quantità di fan pervenuti a rendere omaggio alla band di Tommy Victor, ormai unico superstite di una carriera vicina al traguardo del trentennale. Accolti calorosamente dai presenti in sala, i Prong attaccano con “For Dear Life” e sin dall’incipit iniziale possiamo constatare lo stato di grazia della band. Tommy Victor è decisamente in palla e non perde occasione di aizzare il pubblico a saltare ad ogni stacco dei pezzi. Il groove e i continui stacchi thrash contenuti nelle composizioni sono l’ideale per agitare la folla, che per la prima volta durante la serata inizia a scatenarsi in vista dell’arrivo degli headliner. Tellurica la prova del nuovo batterista Arturo “Art” Cruz (ex Winds of Plague), che ha contribuito a rendere ancora più violenta e devastante la prova del three-piece newyorkese: poco condivisibile invece la scelta di Tommy di posizionarsi con il microfono nel lato sinistro del palco, lasciando spesso e volentieri scoperta la parte centrale dello stage dove ci si aspetterebbe di accentrare la maggiore attenzione. Nell’ora abbondante concessa alla formazione non si sono avvertiti cali di tensione e, grazie anche alla presenza di una sola chitarra, i suoni si sono attestati su buoni livelli, anche se avremmo preferito un volume maggiore per la parte vocale. Come hanno testimoniato gli applausi alla fine di ogni pezzo, la presenza nel bill del combo ha convinto praticamente tutti e la buona quantità di pezzi sciorinati non ha sicuramente deluso i loro fan più accaniti presenti in sala.
OVERKILL
Forti di un signor album come il nuovo “White Devil Armory”, nessuno dei presenti aveva alcun dubbio che anche questa volta gli Overkill avrebbero messo a ferro e fuoco il palco del Live Music Club di Trezzo. Potevano forse deluderci in questo nuovo tour? Ovviamente no. Palco semplice ed essenziale, con la batteria rialzata di Ron costellata da luci stroboscopiche – spettacolari ma un po’ fastidiose – e dall’immancabile stock di Marshall. La nuova “Armorist” scatena subito una bolgia infernale, tanto che in più di un’occasione i ragazzi della security a bordo palco si sono trovati in affanno quando il pit era già affollato dai fotografi per via del continuo crowd-surfing. Potrà mai qualcuno scalzare Bobby Blitz dal podio dei frontman thrash definitivi? A cinquantacinque anni suonati e dopo un tumore e un ictus, Bobby è sempre un idolo incontrastato della scena con le sue ormai mitiche pose: l’arrivo in corsa e le innumerevoli peripezie con l’asta del microfono sono ormai parte integrante dello show dei thrasher di New York. Oltre all’ovvia presenza di materiale di recente pubblicazione – ben accolta da tutti vista la qualità media – gli Overkill non deludono quando pescano nella loro sterminata discografia: purtroppo con l’arrivo di nuovi album si fa sempre più risicata la scelta dei classici – in questo tour tra le tante mancano all’appello “E.vil N.ever D.ies” e “Hammerhead”, ad esempio – ma il groove di “Long Time Dyin'”, l’epica “End of the Line” e la tritaossa “Under One” riescono a sopperire al meglio a queste mancanze. Assolutamente devastante la coppia ritmica formata da D.D. Verni e Ron Lipnicki, mentre ci tocca constatare che purtroppo in questa occasione Derek Tailer si sia rivelato a un po’ spento rispetto alle sue precedenti apparizioni in terra nostrana. Le storiche “Overkill”, “Wrecking Crew” ed una “Rotten to the Core” cantata a gran voce da tutti i presenti scatenano gli animi della folla che non ne vuole proprio sapere di calmare i propri animi dopo più di tre ore totali di musica. Dopo un’ora e un quarto è già tempo dei bis, dove ovviamente non potevano mancare “Elimination” e la mitica cover dei The Subhumans “Fuck You”, durante la quale chiunque viene invitato ad alzare il proprio dito medio: incessante il pogo e il crowd-surfing per tutta la durata del concerto, oltre che gli applausi proferiti a volontà da tutti gli astanti alla fine di ogni pezzo. Come era lecito attendersi gli Overkill non hanno deluso le aspettative e hanno anche questa volta portato a compimento uno show con i controfiocchi, merito anche di suoni all’altezza della situazione: se ve li siete fatti scappare, mettetevi già un appunto sul calendario per il prossimo tour. Leggende viventi.
Setlist:
Armorist
Overkill
Electric Rattlesnake
Wrecking Crew
Black Daze
Rotten to the Core
Bring Me the Night
End of the Line
Guitar Solo
Long Time Dyin’
Under One
Pig
Hello From the Gutter
Ironbound
Encore:
Bitter Pill
Elimination
Fuck You