A cura di Maurizio ‘morrizz‘ Borghi
Assenti da moltissimo tempo dai palchi italiani, i P.O.D., dopo una lunga serie di tour e date annullate nel nostro paese, hanno fatto tappa al Rock Planet di Pinarella di Cervia a febbraio portandosi a casa un’accoglienza calorosa nel piccolo club in provincia di Ravenna. E dunque eccoli tornare qualche mese dopo, sempre in coppia con gli Alien Ant Farm, per due appuntamenti ben più sfidanti, all’Orion di Roma e al Live Music Club di Trezzo sull’Adda. Gli appassionati del Nord risponderanno all’appello o sarà una Waterloo che segnerà l’addio dei californiani al Belpaese? In apertura i Dead Girls Academy, che sfortunatamente abbiamo mancato in pieno.
ALIEN ANT FARM
Considerati una delle meteore per eccellenza della scena nu-metal grazie alla mega-hit “Smooth Criminal”, gli Alien Ant Farm sono invece ancora attivi e hanno addirittura pubblicato un disco nel 2015, “Always And Forever”, ignorato dal grande pubblico e anche da loro stessi, visto che per questa occasione nessun brano sarà ritenuto degno di apparire nella setlist. Dryden Mitchell e soci hanno ben chiaro il loro ruolo e di conseguenza puntano dritti all’effetto nostalgia, saccheggiando “Anthology” e riempiendo il set con qualcosa da “Truant” e “Up In The Attic”, per un concerto leggero, godibile e senza pretese, in cui il frontman, che negli anni ha sviluppato un imponente ‘dad body’ e si nasconde sotto un cappellino, ricorda gli anni in cui MTV trasmetteva ancora i video e Tony Hawk Pro Skater era il miglior videogioco sulla piazza. Vuoi per il sound innocuo, vuoi perchè la scaletta non contiene certo bombe atomiche, il pubblico non va sicuramente fuori di testa, tanto che al gran finale si arriva con gambe e schiena affaticate, oltre che con qualche sbadiglio.
P.O.D.
La storia dei P.O.D. è sensibilmente diversa da quella dei main supporter, se siete convinti del contrario e vi siete chiesti ‘ma esistono ancora?’ è solo ignoranza vostra. La popolarità dei ragazzi di San Diego si è sicuramente ridimensionata dopo l’incredibile successo di “Satellite”, ma quindici anni di carriera con pubblicazioni regolari e con un pubblico affezionato non sono proprio da tutti. Se le paure per un flop catastrofico come quello targato Body Count nel 2015 è ampiamente scongiurato – già dalla prima serata si registravano presenze tutto sommato soddisfacenti – eravamo molto curiosi di poter misurare l’energia dei musicisti e la reazione della sala. Cominciamo col dire che i P.O.D. si presentano benissimo, con un entusiasmo contagioso e una forma fisica incredibile: Wuv e Traa non sembrano invecchiati di un giorno, il frontman Sonny Sandoval ha solo dei dread più corti e il chitarrista Marcos Curiel è letteralmente un’altra persona, smagrito e smagliante. Confidenti, affiatati e professionali, il quartetto ha messo in piedi uno show che ha superato ogni più rosea previsione, toccando i momenti più fortunati della propria carriera e contemporaneamente concedendo molto spazio all’ultimo ispirato “Circles”, la cui copertina troneggia sul backdrop con un innegabile effetto ‘Butterfly’. Al contrario dei raffazzonati Crazy Town (ormai una coverband guidata da Shifty), l’impressione che trasmettono i P.O.D. è quella del gruppo storico che, in maniera disciplinata, ha saputo capitalizzare sul proprio successo e può ora tornare a fare estesi tour europei da headliner in club di medie dimensioni, consapevole del proprio pubblico e delle proprie capacità. Zero effetti speciali per scelta, a movimentare il palco ci sono i fan più accaniti che, dopo il meet&greet, hanno avuto la possibilità di assistere al concerto lato palco, come ci ricordiamo accadeva tra fine ’90 e primi 2000. Il bello dei californiani, che emerge in maniera evidente nel corso di un concerto che pesca da vent’anni di carriera, è che il gruppo è rimasto strettamente fedele a se stesso, così che brani estremamente distanti temporalmente sono stati riproposti senza alcun tipo di shock per il pubblico festante: si passa organicamente da “Boom” a “Rockin’ With The Best”, a “Southtown” con la costante benevolenza dell’audience, che come da programma riserva le scintille per le mega hit “Alive” e “Satellites” (dedicata a Chester Bennington), ma che in realtà accompagna ogni brano con sincero entusiasmo. Nello spirito della serata risulta particolarmente ben riuscito il siparietto di “Youth Of The Nation”, dove vengono invitati sul palco due giovanissimi fan per occuparsi dei cori. Se credevamo fosse tutto finito, dopo “Alive” sono arrivate “Satellite”, “On Fire” e “Who’s In The House”, per una chiusura che non ci si aspettava. Un successo che dice molto sullo stato di salute della band e che potrebbe significare una tappa in Italia anche nei tour a venire.