Pubblicato il 29/10/2010 da
Matteo Cereda
Report a cura di Matteo Cereda
Dopo la rivoluzione all’interno della formazione che ha portato alla separazione con la sezione ritmica storica della band e soprattutto due album discontinui quali “Scarsick” e l’ultimo “Road Salt One”, non resta che la sede live ai Pain Of Salvation per dimostrare di non essere già sul viale del tramonto. La data milanese si presenta dunque come un appuntamento di verifica e la band svedese la può affrontare con il sostegno di un pubblico piuttosto numeroso e partecipe. Purtroppo la sede per un evento così interessante, tra i più sentiti in ambito progressive metal, non è delle migliori. I Magazzini Generali infatti sono un locale piccolo disposto sul lungo, caratterizzato da un palco angusto e da una resa sonora tutt’altro che soddisfacente.
BEARDFISH
Il classico compito di scaldare il pubblico spetta ai Beardfish, interessante realtà della scena progressive rock svedese che, grazie al valore delle ultime pubblicazioni (“Sleeping In The Traffic Pt.I – II”, o “Destined Solitaire”), sta entrando nelle preferenze degli appassionati del genere. Purtroppo l’organizzazione per concludere la serata in fretta e far spazio alla discoteca prevista in seconda serata all’interno del locale impone orari impossibili, e così l’inizio alle ore 19 determina un’affluenza di pubblico ancora scarsa che aumenterà nel corso del concerto, ma non saranno in pochi alla fine dell’evento a lamentarsi di aver perduto parte o tutto il concerto degli special guest. Noi stessi arriviamo a performance abbondantemente iniziata e riusciamo a vedere solo tre pezzi, in cui i Beardfish mostrano tutto il loro talento compositivo e una preparazione tecnica sopra la media. Il leader Rikard Sjöblom si divide tra chitarra e tastiere oltre a cantare le vocals portanti, e proprio la scelta di accantonare parti sintetiche in alcuni brani dona maggior pesantezza e aggressività alle composizioni. La titletrack dell’ultima release “Destined Solitaire” si spinge oltre con parti in growl ottimamente inserite nel contesto. Ottime impressioni suscitate anche da “Into The Night”, mentre la più datata “The Sane Day”, tratta dall’omonimo disco, conclude con delizie prog anni ’70 un concerto che avrà fatto guadagnare ulteriore terreno ai Beardfish.
PAIN OF SALVATION
Contornati da una scenografia che chiama in causa l’artwork dell’ultimo arrivato “Road Salt One”, i Pain Of Salvation, acclamati a gran voce da un pubblico ormai numeroso, fanno il loro ingresso in scena attaccando con “Of Two Beginnings”, intro del memorabile “Remedy Lane” al termine della quale viene subito interpretata la successiva “Ending Theme”. Il leader Daniel Gildenlow si presenta sul palco con carisma da leader indiscusso, tuttavia la determinazione non basta e il ritornello corale evidenzia qualche sbavatura di troppo. Niente paura, perché già con la successiva “People Passing By”, il cui iniziale assolo di basso viene eseguito da Daniel con la chitarra, la band originaria di Eskilstuna sembra aver già trovato gli equilibri regalandoci un’interpretazione da brividi. I nuovi innesti Per Schelander e Léo Margarit, rispettivamente al basso e alla batteria, mostrano la giusta competenza tecnica anche se per logici motivi di tempo la perfetta coesione che si sentiva qualche anno fa non può esistere. I Pain Of Salvation vanno sul sicuro continuando la propria performance con due pezzi di grande impatto come la recente “Linoleum” ed il classico “Ashes”, accolto con il consueto entusiasmo dai presenti. Il cantante-chitarrista Daniel Gildenlow dimostra la precisione di sempre anche se vocalmente parlando lascia qualche nota in più al compagno-chitarrista Johan Hallgren, sempre più secondo cantante e determinante per la buona resa delle parti corali. Lo spettacolo prosegue con una buona versione di “Diffidentia”, in cui risultano fondamentali le tastiere di Fredrik Hermansson, seguita a ruota dalla sempreverde “Winning A War” estratta dal primo disco “Entropia”. Tra una canzone e l’altra il leader Gildenlow intrattiene il pubblico con simpatiche battute e siparietti che includono una protesta con tanto di maglietta strappata, nei confronti del merchandising abusivo che si trova all’esterno dei concerti. L’ultimo zoppicante album “Road Salt One” per fortuna viene rappresentato dalle canzoni più interessanti, e così dopo la sopra citata “Linoleum” ecco arrivare la ’70 “No Way” e soprattutto una toccante versione della splendida titletrack. Daniel sale sul pulpito per interpretare una semi-registrata e francamente trascurabile versione di “Of Dust”, che serve da preambolo per introdurre “Kingdom Of Loss”, bellissima traccia estratta dal discusso “Scarsick”, che tuttavia in questa versione live non riesce a ricreare la bellissima atmosfera apprezzata sul CD. A questo punto Daniel fa la star e sale sul ponte laterale per interpretare l’assolo di “The Falling” che introduce il momento più alto della serata: l’intera “The Perfect Element” viene eseguita in maniera perfetta per la gioia dei presenti. Dopo una breve pausa i Pain Of Salvation rientrano sul palco e, accontentando le urla del pubblico, eseguono “Undertow”; scelta infelice, sia perché optano per una versione senza il crescendo finale ma soprattutto perché, non avendo preparato a dovere il pezzo, si nota qualche imprecisione non da loro. Il saluto finale viene fatto con “Nightmist”, grazie alla quale la band ritorna su livelli decisamente migliori, proponendo anche un’intrigante variazione reggae nella seconda strofa. I Pain Of Salvation dal vivo si confermano una band di prim’ordine e possono contare su una serie di brani che non smetteranno mai di emozionare, purtroppo la nuova line up da compattare al meglio, una resa sonora non eccelsa e l’atteggiamento del leader Daniel a tratti sin troppo sopra le righe non rendono memorabile la serata meneghina, tuttavia non va dimenticato che stiamo comunque parlando di una performance di livello che ha soddisfatto pienamente la platea.