23/07/2018 - PALLBEARER + RISE ABOVE DEAD @ Magnolia - Segrate (MI)

Pubblicato il 26/07/2018 da

Report a cura di Giuseppe Caterino

Unica data italiana all’interno della tranche europea che li vedrà anche sui palchi di alcuni dei più noti festival del Vecchio Continente, la calata dei Pallbearer sulle rive dell’Idroscalo milanese è comunque un’occasione ghiottissima per i fan del quartetto americano. Non esattamente dalle nostre parti tutti i giorni, i ragazzi dall’Arkansas hanno una fanbase piuttosto devota, costruita sulla scia di tre dischi uno migliore dell’altro (oltre a una manciata di singoli) e su di un’attitudine mite e che trasuda umiltà tanto sul palco quanto fuori. Non si fatica a percepire i Pallbearer come ‘gente come noi’ e non stupisce che, già pochissimi minuti dopo il loro concerto, fossero giù dal palco per qualche parola coi presenti – ad occhio qualcosa più di un centinaio, complice anche il lunedì sera. Ma è soprattutto con gli strumenti in mano che i Nostri hanno saputo esprimersi al meglio, confermando ancora una volta il loro posto sul podio dei nomi che più contano nell’odierno panorama doom (termine nel quale loro, tuttavia, non si riconoscono) e regalando una serata che resterà impressa a lungo nella memoria del pubblico. Ad aprire i Rise Above Dead che, forti di giocare in casa, hanno saputo scaldare come si deve il palco in attesa del main act.

 


RISE ABOVE DEAD

Il quartetto milanese comincia senza troppi fronzoli a macinare riff su riff una decina di minuti dopo le nove, facendo muovere a fronte palco gran parte dei presenti intenti a bighellonare intorno ai rilassanti spazi offerti dal Magnolia. Emerge immediatamente la quantità di esperienza accumulata nel corso degli anni, anche a latere del fatto di essere perfettamente in grado – cosa non sempre scontata – di gestire un palco in assenza di un frontman. Le sapienti composizioni della band si rincorrono continuamente tra cambi di tempo, accelerazioni, rallentamenti e una coesione che rende questo concerto post metal un’esigenza di espressione sensoriale del tutto essenziale nella sua fugacità. Niente giri di parole, dicevamo, solo un’ottima coesione che si sente negli scambi tra le chitarre, nella sezione ritmica che copre e detta le tematiche sulle quali ricamare le trame tessute dai Nostri. Il limite di band così prolifiche in termini di passaggi strumentali è quello di rischiare una certa dispersività dal vivo, soprattutto se non di fronte al ‘proprio’ pubblico, cosa che qui non accade, invece, grazie ad un’oculata calibrazione dei tempi. I Rise Above Dead si confermano gruppo di cui andare fieri all’interno del panorama tricolore, e lasciano il palco tra gli applausi.

PALLBEARER

Il tempo di una birra allo stand e di affrontare il coacervo di zanzare assiepato sotto l’area ‘boschiva’ del Magnolia, che un basso distorto apre ad un veloce check e richiama, come un segnale liturgico, tutti i presenti nell’area antistante il palco. Giusto il tempo di una sistemata agli strumenti e di un fugace saluto ed ecco che, da “Foundations Of Burden”, le sinistre chitarre di “Watcher In The Dark” aprono la strada all’intenso concerto che i Pallbearer hanno preparato per il pubblico italiano. I volumi sono pesanti quanto basta e, almeno in zona centrale a un paio di file dal palco, ben calibrati, benché ogni tanto la voce sembrasse un po’ mancare, ma riteniamo anche per scelta di Brett Campbell, che a volte sembrava volutamente non caricare troppo.
Non dovendo promuovere un album in particolare, la setlist abbraccia tutti gli episodi della corta ma ragguardevole discografia degli statunitensi, con un equilibrio quasi perfetto tra i vari album. L’ultima nata, “Dropout”, prosegue nell’irretire un pubblico oramai scaldato, mentre apprezziamo la forma smagliante di una band semplice ed efficace, che con la seguente “Thorns” fa alzare non poche mani al cielo. Il brano è ipnotico ed è una sensazione che sentiremo per buona parte dello show, in realtà: le trame che i Nostri costruiscono, unite ad un groove encomiabile e a un’esecuzione ineccepibile da parte di ogni musicista, riescono a confondere e a far dimenticare momentaneamente qualsiasi questione riguardi la cosiddetta vita reale.
Tra un’altra incursione in “Heartless” con “Dancing In Madness”, che esalta le note progressive che la band sta acquisendo di album in album, e una celebratissima “Worlds Apart”, siamo già a metà concerto quando i Nostri scavano ancora più indietro e propongono la meravigliosa “Foreigner”, in cui si raggiunge, per chi scrive, il picco di un’esibizione estremamente toccante. E, un po’ a sorpresa, dal primo disco non ci si muove più: “Given To The Grave” e “Devoid Of Redemption”, una dietro l’altra, portano alla serata una mesmerizzante tristezza che si eleva da ogni intreccio di chitarra, da ogni rincorsa di basso e da ogni colpo di cassa scandito dalla profonda Ludwig di Mark Lierly, chiudendo così un concerto sentito tanto dagli artisti che dal pubblico che, a gran voce, chiede un encore quando i Nostri vanno a riposarsi dopo i saluti di rito. Bis insperatamente esaudito e ad occhio non preparato, con già le casse che mandavano la ‘musica da fine concerto’ e la band che risale sul palco, con le sigarette accese, per una “Fear And Fury” che manda tutti a casa con quel sorriso in più di quanto ci si potesse a quel punto aspettare.

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