02/07/2023 - PANTERA – The Return Of The Gods – Bologna @ Arena Parco Nord - Bologna

Pubblicato il 08/07/2023 da

Introduzione e report a cura di Roberto Guerra, Marco Gallarati e Vanny Piccoli
Fotografie di Benedetta Gaiani e David Scatigna

A distanza di soli sette giorni dal successo più o meno prevedibile della prima edizione del Knotfest Italy, la temutissima Arena Joe Strummer di Bologna è di nuovo protagonista della stagione estiva dei festival metallici italiani. Temutissima, sì, perchè anche in questo 2 luglio 2023 la spianata erbosa della venue, con le sue ridotte oasi d’ombra, si è tramutata in una caldissima savana africana, costringendo ad un lavorone i tanti barellieri della Croce Rossa Italiana presenti, che hanno trotterellato in lungo e in largo per dare una mano – o curarli proprio! – ai numerosi spettatori vittime della famigerata combo caldo-alcol. Peccato, dunque, per la temperatura rovente della giornata, preceduta oltretutto da un sabato che si era rivelato al confronto pressochè mite.
Ottime cose, chiaramente, per combattere il caldo torrido si sono rivelate: l’efficace presenza di un tunnel con svariati nebulizzatori d’acqua, assalito costantemente fin dalle prime ore del festival; i necessari water point con la possibilità di farsi riempire il bicchiere acquistato con acqua fresca gratis; le creme solari – perchè no? – facilmente reperibili al nostro stand; ed infine qualche nuvolone passeggero ad anticipare il calar della sera, sera che ha concesso, ad orario Kreator, una finalmente piacevole ed ideale combinazione di metallo pesante, birra rinfescante e platea festante, tanto per restare in rima.

Un’affluenza più che discreta, andata in crescendo ora dopo ora e palesatasi tale giusto alle ultime due band in programma, ha dato il saporito contorno ad un evento che, a conti fatti, rappresentava un po’ l’esatto opposto del succitato Knotfest Italy della settimana prima: mentre l’arrivo degli Slipknot aveva permesso a Vertigo di proporre un bill decisamente orientato al metal moderno e più giovanile (Architects, Lorna Shore, I Prevail, con la sola eccezione dei vichinghi Amon Amarth), l’attesissimo ritorno concertistico dei Pantera in pseudo-reunion ha dato occasione al promoter di accontentare anche la frangia, ampissima del resto, di metallari di media attempatura, che oltre al potersi sentire, dopo tanti anni, una serie incredibile di brani che hanno segnato irrimediabilmente il metallo degli anni Novanta e non solo, hanno potuto anche godere di un manipolo di formazioni ben calibrato e nemmeno tanto monotematico, se ben si vanno ad analizzare i nomi coinvolti.
Kreator in veste di pre-headliner e (in teoria) i Behemoth ancora prima sicuramente mettevano tantissima altra carne sul fuoco, senza tralasciare i nomi importanti di Vektor e Coroner e le due solide certezze nostrane, Sadist e Fleshgod Apocalypse, a colorare un po’ di tricolore la kermesse. Soltanto i nuovissimi e ancor poco conosciuti Elegant Weapons, pur contando su membri di sicura nomea, parevano ‘stonare’ tra l’elenco di band.

Ecco, a parte il non voler tornare per l’ennesima volta sulla necessità (davvero fastidiosa) di avere il pit elitario di fronte al palco, l’unica nota di vera delusione è stata la pesante cancellazione dello show di Nergal e compari polacchi: con il materiale e la strumentazione già presenti in loco, gli unici a mancare della crew dei Behemoth erano proprio loro, i tre musicisti, l’iconico frontman e i suoi fedeli vassalli, Inferno e Orion. La band, all’aeroporto di Varsavia fin dalle 7 del mattino, ha ricevuto continue notizie sui ritardi della compagnia aerea, nonché la successiva e definitiva cancellazione del volo solo durante le prime ore del pomeriggio, senza aver dunque il tempo di trovare un’altra soluzione per non dover saltare lo show. L’organizzazione ha saggiamente comunicato il loro annullamento appena scesi dal palco i Fleshgod Apocalypse: ovvio lo scoramento, molti degli astanti non hanno nascosto di essere lì praticamente solo per gli spettacolari black-deathster, così come ovvia la nascita di qualche polemica. Nessuna sostituzione è stata fatta nella scaletta – d’altronde era impensabile sostituire i Behemoth con una qualsiasi band trovata all’ultimo secondo, anche solo nei dintorni del capoluogo emiliano – perciò le restanti formazioni hanno allungato il proprio set di circa quindici minuti sulla tabella di marcia, mantenendo comunque la puntualità finale.
Dunque ci troviamo a tirare le fila di una manifestazione che, pur con qualche inciampo, si è anch’essa rivelata un successo: ci hanno pensato difatti Phil, Rex, Zakk e Charlie, mix efficiente e grintosissimo di Pantera vecchi e neoarruolati, a dare il colpo di coda (e di classe) decisivo affinchè le migliaia di spettatori assiepate sulla salitella di fronte al palco fin giù nel rumorosissimo e saltellante frontpit se ne andassero pienamente soddisfatte ed appagate. E non per aver vissuto cinque minuti da soli, bensì un’ora e passa, per non dire tutto il giorno, in compagnia.

SADIST
Sono gli immarcescibili Sadist ad essere chiamati ad aprire le danze di una giornata a dir poco storica. Così come ormai storica è la carriera di Trevor e Tommy Talamanca, che, dall’alto della loro esperienza e della loro familiarità con il pubblico dei principali festival nostrani, non si lasciano sfuggire l’occasione di dare una bella sferzata iniziale ad un pubblico ancora limitato ma fin da subito voglioso di buona musica e sano metallo. Mezzora è la tempistica affidata ai genovesi e nonostante sia orario di pranzo ed il sole stia già sferzando poderosamente l’arena bolognese – non esattamente le condizioni ideali per proporre un set con i controfiocchi – il quartetto si guadagna ampiamente la pagnotta proponendo un buon pacchetto di brani, miscelando con sapienza vecchi cavalli di battaglia (“Breathin’ Cancer”, ripubblicata ad inizio anno come singolo, e “Tribe”) a canzoni del medio-recente passato (“Season In Silence”, “One Thousand Memories”), fino a chiudere con l’opener dell’ultimo “Firescorched”, “Accabadora”. Suoni non eccezionali, che peraltro mineranno parte delle prime esibizioni, hanno accompagnato l’operato dei Nostri, in particolare deficitari nella resa delle sezioni ritmiche di chitarra e nei momenti in cui gli stacchi progressivi del gruppo avrebbero dovuto fare la differenza, con tastiere e basso che avremmo voluto più alti di volume. Il savoir-faire di Trevor, gli assoli di Tommy e l’originalità insita nel sound dei Sadist, difficile talvolta da cogliere in prima battuta, erano dei punti fermi prevedibili del loro set, e tanto è bastato per convincere noi e tutti gli astanti.
(Marco Gallarati)

VEKTOR
Proseguiamo sotto il sole cocente in compagnia di una delle migliori thrash metal band degli ultimi anni, ovvero quei Vektor di cui si è fatto un gran discutere a livello di ‘cronaca metal’ e affini, argomenti che non approfondiremo in questa sede.
Il loro show odierno è invero abbastanza breve, considerando la durata di pezzi come “Charging The Void”, “Black Future”, “Tetrastructural Minds” e soprattutto “Recharging The Void”, i cui psichedelici e folli rintocchi a base technical thrash ci pervadono per poco meno di un quarto d’ora ogni volta che la ascoltiamo. L’esecuzione è chirurgica, le atmosfere evocate al limite del cosmico e l’attitudine c’è tutta, così come una qualità indiscutibile dei pezzi, provenienti da un repertorio di tre dischi il cui livello è poco distante da quello di autentici capolavori del genere; quello che non c’è sono i suoni, che nel pit si presentano in una condizione al limite dell’inaccettabile, se contiamo la portata del sound che stiamo ascoltando: la voce non esiste, le chitarre mancano di attacco e la batteria non ci piglia a sberle come in altre occasioni passate.
La band stessa sembra accorgersene, in quanto le loro espressioni lasciano intravedere un lievissimo senso di perplessità, probabilmente anche per via delle lamentele provenienti dagli astanti. Per quanto ci riguarda, ogni concerto dei Vektor è un’occasione cui presenziare, ma la scarsa ottimizzazione sonora non può e non deve passare inosservata. Peccato, sarà per la prossima.
(Roberto Guerra)

FLESHGOD APOCALYPSE 
Discorso simile, e forse ancora peggiore, per i nostrani Fleshgod Apocalypse, il cui death metal sinfonico ha bisogno di una cura ottimale dei singoli elementi per rendere al meglio, soprattutto in un’occasione in cui vi è una chitarra in meno e il buon Francesco Paoli è costretto ad imbracciare il basso: le orchestrazioni non risultano pervenute, così come il pianoforte, mentre per fortuna la voce femminile di Veronica Bordacchini viene alzata nell’impianto per risultare percettibile. Persino l’unica chitarra non si presenta al meglio, e ancora una volta non c’è traccia di quella ‘botta’ tipica di proposte come queste. Il pubblico stesso tenta di far dare una svegliata ai fonici, urlando in coro di alzare il volume, e l’imbarazzo sulla faccia del sopracitato frontman dimostra che queste situazioni non rendono in alcun modo giustizia a pezzi maiuscoli e ben noti in tutto il panorama: da “Fury” e “Healing Through War” fino al trittico composto da “The Fool”, “The Egoism” e “The Forsaken” è tutto orgoglio italiano, e sentirlo così poco valorizzato sul fronte sonoro ci amareggia non poco.
In tutto ciò, è durante la loro esibizione che viene mostrato on stage il video dei Behemoth che si scusano per l’assenza, tanto per aggiungere un altro carico di nervosismo e delusione, non dimenticando che le due band condividono buona parte del pubblico. Ci viene comunicato dopo il concerto che nelle retrovie la situazione era migliore, seppur non ancora eccellente, lasciandoci di fatto con un’ulteriore conferma che la situazione non è stata gestita bene. Idem come per i Vektor, peccato.
(Roberto Guerra)

CORONER
I Coroner, che salgono sul palco con una mezz’ora di slittamento rispetto alle 15.30 previste, hanno forse la posizione più difficile del bill, per due semplici motivi: il primo, prevedibile, l’ora più calda della giornata, che mette a dura prova la resistenza del pubblico; il secondo, da poco acquisito, l’essere i primi a suonare dopo l’annuncio della cancellazione dei Behemoth.
Fortunatamente la band svizzera non è esattamente l’ultima della fila e la sua ferrea e glaciale attitudine live permette loro di inanellare uno dietro l’altro i propri brani senza nessun calo di tono e con pochissime sbavature, anzi, portando in crescendo uno show inaugurato dalla sorniona “Golden Cashmere Sleeper, Part 1”, in grado di corroborare l’animo degli orfani di Nergal con il suo incedere inafferrabile e pulsante. “Serpent Moves”, anch’essa sinuosa quanto il titolo suggerisce, segue subito dopo per permettere la corretta inoculazione del technical thrash metal del quartetto di Zurigo, condotto per mano da uno strepitoso Diego Rapacchietti alla batteria e da un efficacissimo Tommy T. Baron all’unica chitarra.
E’ un diverso tipo di thrash, quello che propongono i Coroner, tecnico sì, ma lontano sia dalle trame arzigogolate dei Vektor sia da quelle più violente e belluine dei Kreator che seguiranno. La staticità di Ron Royce al centro del palco è quasi ipnotica e lo stile degli elvetici conquista sulla lunga distanza, grazie alla precisione d’esecuzione e alla passione con cui i tre – accompagnati sul palco dal ‘tastierista’ Daniel Stossel – si esibiscono.
“Divine Step” e “Semtex Revolution” fanno decollare il set definitivamente, set che prosegue solido come un trattore per tutto il tempo a disposizione del gruppo. Le superbe “Masked Jackal” e “Reborn Through Hate”, estratto dal primo disco “R.I.P”, mettono il punto ad una performance impeccabile, aiutata dai suoni migliori fin qui provenienti dal palco. Sono passati trent’anni da “Grin”, ultimo lavoro in studio dei Coroner, ma nessuno sembra accorgersene; musica e musicisti immortali.
(Marco Gallarati)

ELEGANT WEAPONS
Unica parentesi più dal piglio melodico e rockeggiante di oggi, il progetto Elegant Weapons, capitanato dal chitarrista dei Judas Priest Richie Faulkner e dal cantante cileno Ronnie Romero, fa capolino sul palco iniziando a scaldare la platea con il tema di “Terminator 2” e con gli inediti del loro album d’esordio, ovvero “Do Or Die”, “Blind Leading The Blind” e “Horns For Halo”. Tuttavia, è giusto far presente che i momenti di esaltazione sono essenzialmente tre: l’esecuzione della cover di “Lights Out” degli UFO, la conclusione con “War Pigs” dei Black Sabbath e, infine, l’intonazione di bestemmie ad opera dello stesso Richie, che invoglia il pubblico a solfeggiare le sue canzoni proprio servendosi di tali sacramenti. Una prova di simpatia e voglia di divertirsi con fare spensierato da parte di un combo di professionisti, in cui figurano anche il bassista degli Uriah Heep Dave Rimmer e il batterista degli Accept Christopher Williams, che con il suo tocco riesce a rendere in chiave heavy metal tutti i pezzi, incluse le cover; si tratta di un discorso applicabile a tutta la band, comunque, considerando il tocco difficile da criticare del biondo Richie e la timbrica vocale a metà tra quella di Ronnie James Dio e quella di Russell Allen, sfoggiata naturalmente dal sopracitato frontman dal sorriso smagliante.
Per quanto ci riguarda, un’ottima prima prova in terra italiana da parte di questo nuovo progetto, che ci auguriamo di poter rivedere presto in un’altra occasione.
(Roberto Guerra)

KREATOR
Ebbene, è il momento che la più celebre tra le formazioni teutoniche di genere thrash si palesi sul palco dinnanzi a una folla gremita di estimatori provvisti di magliette ed accessori marchiati col logo dei Kreator. La formazione guidata da Mille Petrozza non ha bisogno di nessuna presentazione, così come i loro concerti, che a prescindere dal giudizio soggettivo in merito alle uscite discografiche, racchiudono sempre al loro interno quel perfetto mix di violenza, aggressività ed orecchiabilità. Già, perché uno dei punti forti dei Kreator è da sempre rappresentato dalle canzoni, che smitragliano come armi da guerra, ma che si lasciano anche ascoltare serenamente, entrando in testa senza difficoltà, indipendentemente che si tratti di brani più dal piglio catchy (“Satan Is Real” o “Phobia”) o di autentici scoppi di belligerante ferocia, come “Enemy Of God”, “Hordes Of Chaos” e “Flag Of Hate”.
Nessuno può dire che lo show odierno della line-up tedesca non sia uno dei migliori di oggi, e ci fa enormemente piacere carpire frasi di stupore dagli astanti che da anni non si confrontavano con una performance di Mille e soci. Anche il palco appare agghindato per l’occasione (con tanto di cadaveri finti appesi) e i suoni risultano efficienti, e questo spiega ulteriormente l’enorme moshpit, con relativo polverone, che si scatena dentro e fuori dal pit, con tanto di crowd surfing da parte di una moltitudine di thrasher scatenati. Inoltre, l’assenza dei Behemoth ha permesso alla band di fornire una prestazione più lunga e carica di collera, così come di quietare per un attimo gli animi con la volontà di porgere un saluto ai loro amici rimasti arenati all’aeroporto di Varsavia, cui viene dedicato il pezzo “Strongest Of The Strong”.
Il meglio del meglio arriva naturalmente con “Pleasure To Kill”, durante la quale il wall of death fa letteralmente smuovere la terra, mentre il cielo inizia ad oscurarsi e la consapevolezza di ciò che verrà dopo comincia a manifestarsi nella mente dei presenti. Considerando il lieve scetticismo che accompagna la calata italica degli headliner di oggi, ci rassicura sapere che, nella peggiore delle ipotesi, abbiamo assistito a un concerto devastante da parte dei Kreator. Ergo, bene così.
(Roberto Guerra)

PANTERA
Sono le 21:30, il sole di un limpido pomeriggio estivo ha cotto tutti i presenti all’arena durante le ore precedenti, ma finalmente si accinge a tramontare e la temperatura scende lievemente; nel mentre, sul palco, è stato innalzato il banner per nascondere momentaneamente lo stage, pronto ad accogliere la prossima esibizione dei Pantera e, nel pubblico, sentiamo una felice ed impaziente eccitazione.
Dobbiamo ammettere che leggere il nome della band texana, prima sulle locandine dei vari show e festival in giro per il mondo, ed ora sul palco di fronte a noi, fa decisamente un effetto strano, quasi anomalo, ma ad ogni modo la sensazione che pervade in modo predominante è la genuina curiosità, soprattutto per quelle persone che, negli anni ’90, erano troppo giovani o addirittura non erano ancora presenti a questo mondo, per poter assistere ad un concerto del quartetto allora formato da Phil Anselmo, Rex Brown e dai fratelli Abbott.
Sui maxischermi ai lati del palco vengono proiettati degli estratti dai vari “Vulgar Videos” a fare da intro e a caricare gli astanti. Dagli speaker salgono i feedback, viene fatto cadere il banner e i Pantera si rivelano e fanno scapocciare la folla, iniziando lo show con “A New Level”.
Il loro ritorno sui palchi ha fatto discutere molto, tra le varie critiche da un lato, l’interesse e il supporto dall’altro ma, alla fine dei conti, correnti di pensiero e schieramenti non reggono quando si ha la possibilità di vivere un evento storico, in cui l’unica cosa che conta è prenderne parte e lasciarsi andare alle emozioni.
La scaletta riempita di grandi classici ruota con scioltezza e il tutto funziona a dovere: Charlie Benante, davvero in gran forma, è padrone della propria performance, chiusa egregiamente, senza un briciolo di sbavature, merito anche di un drum rig estremamente simile a quello utilizzato da Vinnie Paul in passato, e ciò lo ha aiutato ancora di più nel calarsi nella parte e ‘fare i compiti per casa’ alla perfezione.
Ad onorare Dimebag Darrell è presente Zakk Wylde, dallo stile e dal carisma inconfondibili, oltre ad essere smosso dalla gigante vicinanza emotiva con il proprio amico tragicamente scomparso; ovviamente Zakk non è lo stesso tipo di chitarrista che era Dime, ma comunque suona ogni riff e assolo con gusto cercando di unire il proprio stile con quello classico dei Pantera. Il risultato si amalgama benissimo con il resto della band e possiamo sbilanciarci nel dire che Zakk sia ben riuscito nell’intento di ricoprire una posizione impossibile da occupare senza provocare qualche contestazione.
Rex Brown e Phil Anselmo non sono da meno e non sbagliano un singolo colpo, la loro prestazione è impeccabile, enfatizzata inoltre da un ottimo gioco di luci, visual sui led wall e fiammate continue sul palco. Scontate sono le numerose e giustissime dediche ai fratelli Abbott lungo la scaletta: il momento più bello e toccante si verifica durante l’intro di “Cemetery Gates”, colorato da varie foto proiettate sui maxischermi mostranti Vinnie e Darrell insieme in varie situazioni positive della loro carriera, minuti toccanti, chiusi poi con la cover dei Sabbath “Planet Caravan”.
L’esibizione prosegue sulle note de “la canzone che tutti avete ascoltato almeno centinaia di volte“, azzeccata presentazione di Phil, prima di lasciar tuonare il riff di “Walk”. A scandire “Respect, Walk” durante i ritornelli, al microfono, sono presenti i Kreator, freschi di live: altro episodio molto apprezzato da tutti i presenti. L’intesa tra pubblico e frontman viene confermata alla pausa successiva, quando qualche membro della crew consegna a Phil una torta di compleanno con candeline accese, per i suoi cinquantacinque anni d’età, compiuti il 30 giugno.
Bologna risponde con grande cuore cantando “Happy Birthday To You”, tra i sorrisi e i ringraziamenti dal palco. Lo show viene chiuso energicamente e alla perfezione con “Cowboys From Hell” e “Yesterday Don’t Mean Shit”, prima del consueto rito finale di saluti, foto e abbracci. Lo show presentato poteva essere facilmente intuibile dagli estratti dei recenti concerti, ma sentire dal vivo i brani dei Pantera, eseguiti da loro stessi, ha provocato delle sensazioni impossibili da immaginare a priori e siamo certi del positivo impatto che hanno avuto sul pubblico italiano. Lo show all’Arena Joe Strummer di Bologna è stato l’ultimo del loro tour europeo, ed ora rimane un unico quesito da chiederci: ritorneranno?
(Vanny Piccoli)

Setlist:
A New Level
Mouth For War
Strength Beyond Strength
Becoming
Throes Of Rejection (outro)
I’m Broken
By Demons Be Driven (outro)
Suicide Note Pt. II
5 Minutes Alone
This Love
Fucking Hostile
Cemetery Gates (intro)
Planet Caravan
Walk
Domination
Hollow
Cowboys From Hell
Yesterday Don’t Mean Shit